La ragione di Stato


La ragione di Stato

Il figlio di un re si innamorò, come succede nelle fiabe, della figlia del fornaio, che era povera ma bella.
E la sposò.
Per alcuni anni i due sposi vissero in piena armonia e felicità.
Ma, alla morte del padre, il principe salì sul trono.
I ministri e i consiglieri si affrettarono a fargli capire che per la salvezza del regno doveva ripudiare la moglie popolana e sposare invece la figlia del potente re confinante, assicurandosi con questo matrimonio pace e prosperità.
“Ripudiatela, sire, dopotutto è la figlia di un fornaio!” gli consigliarono i ministri, “La sicurezza del trono e dei vostri sudditi viene prima di tutto!”
Le insistenze dei ministri si fecero sempre più pressanti e alla fine il giovane re cedette.
“Ti devo ripudiare,” disse alla moglie, “domani tornerai da tuo padre.
Potrai portare via ciò che ti è più caro!”

Quella sera mangiarono insieme per l’ultima volta.
In silenzio.
La donna, apparentemente tranquilla, continuava a versare vino nel bicchiere del re.
Alla fine della cena, il re sprofondò in un sonno pesante.
La donna lo avvolse in una coperta e se lo caricò sulle spalle.
Il mattino dopo, il re si svegliò nella casa del fornaio.
“Ma, come?” si meravigliò.
La moglie gli sorrise:
“Hai detto che potevo portarmi via ciò che avevo di più caro.
Ebbene, ciò che ho di più caro sei tu.”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

È così difficile immaginare quanto sia straordinario l’ordinario


È così difficile immaginare quanto sia straordinario l’ordinario

Dopo una vita semplice e serena, una donna morì e si trovò subito a far parte di una lunga e ordinatissima processione di persone che avanzavano lentamente verso il Giudice Supremo.
Man mano che si avvicinava alla mèta, udiva sempre più distintamente le parole del Signore.
Udì così che il Signore diceva ad uno:
“Tu mi hai soccorso quando ero ferito sull’autostrada e mi hai portato all’ospedale, entra nel mio Paradiso!”
Poi ad un altro:
“Tu hai fatto un prestito senza interessi ad una vedova, vieni a ricevere il premio eterno!”
E ancora:
“Tu hai fatto gratuitamente operazioni chirurgiche molto difficili, aiutando a ridare la speranza a molti, entra nel mio Regno!”
E così via.

La povera donna venne presa dallo sgomento perché, per quanto si sforzasse, non ricordava di aver fatto in vita sua niente di eccezionale.
Cercò di lasciare la fila per avere il tempo di pensare, ma non le fu assolutamente possibile:
un angelo sorridente ma deciso non le permise di abbandonare la lunga coda.
Col cuore che le batteva forte, e tanto timore, arrivò davanti al Signore.
Subito si sentì avvolta dal suo sorriso.
“Tu hai stirato tutte le mie camicie… Entra nella mia felicità!”
A volte è così difficile immaginare quanto sia straordinario l’ordinario.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

Dov’è il mio bacio?


Dov’è il mio bacio?

C’era una volta una bambina che si chiamava Cecilia.
Il papà e la mamma della bambina lavoravano tanto.
La loro era una bella famiglia e vivevano felici.
Mancava solo una cosa, ma Cecilia non se ne era mai accorta.
Un giorno, quando aveva nove anni, andò per la prima volta a dormire a casa della sua amica Adele.
Quando fu ora di dormire, la mamma di Adele rimboccò loro le coperte e diede a ognuna il bacio della buonanotte.

“Ti voglio bene!” disse la mamma ad Adele.

“Anch’io!” sussurrò la bambina.
Cecilia era così sconvolta che non riuscì a chiudere occhio.
Nessuno le aveva mai dato il bacio della buonanotte o le aveva detto di volerle bene.
Rimase sveglia tutta la notte, pensando e ripensando:
“È così che dovrebbe essere!”
Quando tornò a casa, non salutò i genitori e corse in camera sua.
Li odiava.
Perché non l’avevano mai baciata?
Perché non l’abbracciavano e non le dicevano che le volevano bene?

Forse non gliene volevano?

Cecilia pianse fino ad addormentarsi e rimase arrabbiata per diversi giorni.
Alla fine decise di scappare di casa.
Preparò il suo zainetto, ma non sapeva dove andare!
Era bloccata per sempre con i genitori più freddi e peggiori del mondo.
All’improvviso, trovò una soluzione.
Andò dritta da sua madre e le stampò un bacio sulla guancia:
“Ti voglio bene!”
Poi corse dal papà, lo abbracciò e gli disse:
“Buonanotte papà!
Ti voglio bene!”

Quindi andò a letto, lasciando i genitori ammutoliti in cucina.

Il mattino seguente, quando scese per colazione, diede un bacio alla mamma e uno al papà.
Alla fermata dell’autobus si sollevò in punta di piedi e diede ancora un bacio alla mamma:
“Ciao, mamma.
Ti voglio bene!”
Cecilia andò avanti così giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese.
A volte, i suoi genitori si scostavano, rigidi e impacciati.
A volte ne ridevano.
Ma Cecilia non smise.
Aveva il suo piano e lo seguiva alla lettera.
Poi, una sera, si dimenticò di dare il bacio alla mamma prima di andare a letto.
Poco dopo, la porta della sua camera si aprì e sua madre entrò.
“Allora, dov’è il mio bacio?” chiese, fingendo di essere contrariata.
Cecilia si sollevò a sedere:
“Oh, l’avevo scordato!”

La baciò e poi:

“Ti voglio bene, mamma!”
Quindi tornò a coricarsi e chiuse gli occhi.
Ma la mamma rimase lì e alla fine disse:
“Anch’io ti voglio bene!”
Poi si chinò e baciò Cecilia proprio sulla guancia.
Poi aggiunse con finta severità:
“E non ti dimenticare più di darmi il bacio della buonanotte!”
Cecilia rise e promise:
“No mamma, non succederà più!”

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero. Casa editrice ElleDici.

La Pietra Azzurra (La Ragazza con gli occhi turchesi)

La Pietra Azzurra (La Ragazza con gli occhi turchesi)

Un gioielliere era seduto alla scrivania e guardava distrattamente la strada attraverso la vetrina del suo elegante negozio.
Una bambina si avvicinò al negozio e schiacciò il naso contro la vetrina.
I suoi occhi color del cielo si illuminarono quando videro uno degli oggetti esposti.
Entrò decisa e puntò il dito verso uno splendido collier di turchesi azzurri.
“E’ per mia sorella! Può farmi un bel pacchetto regalo?”
Il padrone del negozio fissò incredulo la piccola cliente e le chiese:

“Quanti soldi hai?”

Senza esitare, la bambina, alzandosi in punta di piedi, mise sul banco una scatola di latta, la aprì e la svuotò.
Ne vennero fuori qualche biglietto di piccolo taglio, una manciata di monete, alcune conchiglie, qualche figurina.
“Bastano?” disse con orgoglio.
“Voglio fare un regalo a mia sorella più grande.
Da quando non c’è più la nostra mamma, è lei che ci fa da mamma e non ha mai un secondo di tempo per se stessa.
Oggi è il suo compleanno e sono certa che con questo regalo la farò molto felice.
Questa pietra ha lo stesso colore dei suoi occhi!”
L’uomo entrò nel retro e ne riemerse con una stupenda carta regalo rossa e oro con cui avvolse con cura l’astuccio.

“Prendilo!” disse alla bambina, “Portalo con attenzione!”

La bambina partì orgogliosa tenendo il pacchetto in mano come un trofeo.
Un’ora dopo entrò nella gioielleria una bella ragazza con la chioma color miele e due meravigliosi occhi azzurri.
Posò con decisione sul banco il pacchetto che con tanta cura il gioielliere aveva confezionato e domandò:
“Questa collana è stata comprata qui?”
“Sì, signorina!” rispose cordialmente il gioielliere.

“E quanto è costata?” chiese la ragazza.

“I prezzi praticati nel mio negozio sono confidenziali: riguardano solo il mio cliente e me.” aggiunse il gioielliere.
“Ma mia sorella aveva solo pochi spiccioli.
Non avrebbe mai potuto pagare un collier come questo!” esclamò la ragazza.
Il gioielliere prese l’astuccio, lo chiuse con il suo prezioso contenuto, rifece con cura il pacchetto regalo e lo consegnò alla ragazza.
“Sua sorella ha pagato.
Ha pagato il prezzo più alto che chiunque possa pagare: ha dato tutto quello che aveva!”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Un grazie inaspettato

Un grazie inaspettato

Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui sentissero di ringraziare il Signore.
Pensò quanto poco di cui essere grati in realtà avessero questi bambini provenienti da quartieri poveri.
Ma sapeva che quasi tutti avrebbero disegnato panettoni o tavole imbandite.
L’insegnante fu colta di sorpresa dal disegno consegnato da Tino:
una semplice mano disegnata in maniera infantile.
“Ma la mano di chi?”
La classe rimase affascinata dall’immagine astratta.

“Secondo me è la mano di Dio che ci porta da mangiare!””disse un bambino.
“Un contadino,” disse un altro “perché alleva i polli e le patatine fritte.”
Mentre gli altri erano al lavoro, l’insegnante si chinò sul banco di Tino e domandò di chi fosse la mano.
“E’ la tua mano, maestra!” mormorò il bambino.
Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino, che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita.
Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

L’Incontro

L’Incontro

“Ebbi lo scompartimento del treno tutto per me…
Poi salì una ragazza!” raccontava un giovane indiano cieco.
“L’uomo e la donna venuti ad accompagnarla dovevano essere i suoi genitori.
Le fecero molte raccomandazioni.
Dato che ero già cieco allora, non potevo sapere che aspetto avesse la ragazza, ma mi piaceva il suono della sua voce.”
“Va a Dehra Dun?” chiesi mentre il treno usciva dalla stazione.
Mi chiedevo se sarei riuscito a impedirle di scoprire che non ci vedevo.
Pensai: “Se resto seduto al mio posto, non dovrebbe essere troppo difficile!”
“Vado a Saharanpur.” disse la ragazza “Là viene a prendermi mia zia. E lei dove va?”
“A Dehra Dun, e poi a Mussoorie.” risposi.

“Oh, beato lei!
Vorrei tanto andare a Mussoorie.
Adoro la montagna.
Specialmente in ottobre.” aggiunse lei.
“Sì è la stagione migliore.” dissi, attingendo ai miei ricordi di quando potevo vedere.
“Le colline sono cosparse di dalie selvatiche, il sole è delizioso, e di sera si può star seduti davanti al fuoco a sorseggiare un brandy.
La maggior parte dei villeggianti se n’è andata, e le strade sono silenziose e quasi deserte.”
Lei taceva, e mi chiesi se le mie parole l’avessero colpita, o se mi considerasse solo un sentimentaloide.

Poi feci un errore.
“Com’è fuori?” chiesi.
Lei però non sembrò trovare nulla di strano nella domanda.
Si era già accorta che non ci vedevo?
Ma le parole che disse subito dopo mi tolsero ogni dubbio.
“Perché non guarda dal finestrino?” mi chiese con la massima naturalezza.
Scivolai lungo il sedile e cercai col tatto il finestrino.
Era aperto, e io mi voltai da quella parte fingendo di studiare il panorama.
Con gli occhi della fantasia, vedevo i pali telegrafici scorrere via veloci.

“Ha notato!” mi azzardai a dire “Sembra che gli alberi si muovano mentre noi stiamo fermi!”
“Succede sempre così!” fece lei.
Mi girai verso la ragazza, e per un po’ rimanemmo seduti in silenzio.
“Lei ha un viso interessante.” dissi poi.
Lei rise piacevolmente, una risata chiara e squillante.
“E’ bello sentirselo dire!” fece.
“Sono talmente stufa di quelli che mi dicono che ho un bel visino!”
“Dunque, ce l’hai davvero una bella faccia” pensai, e a voce alta proseguii:
“Beh, un viso interessante può anche essere molto bello.”

“Lei è molto galante.” disse “Ma perché è così serio?”
“Fra poco lei sarà arrivata!” dissi in tono piuttosto brusco.
“Grazie al cielo. Non sopporto i viaggi lunghi in treno!”
Io invece sarei stato disposto a rimaner seduto all’infinito, solo per sentirla parlare.
La sua voce aveva il trillo argentino di un torrente di montagna.
Appena scesa dal treno, avrebbe dimenticato il nostro breve incontro; ma io avrei conservato il suo ricordo per il resto del viaggio e anche dopo.
Il treno entrò in stazione.

Una voce chiamò la ragazza che se ne andò, lasciando dietro di se solo il suo profumo.
Un uomo entrò nello scompartimento, farfugliando qualcosa.
Il treno ripartì.
Trovai a tentoni il finestrino e mi ci sedetti davanti, fissando la luce del giorno che per me era tenebra.
Ancora una volta potevo rifare il mio giochetto con un nuovo compagno di viaggio.
“Mi spiace di non essere un compagno attraente come quella che è appena uscita!” mi disse lui, cercando di attaccar discorso.

“Era una ragazza interessante!” dissi io “Potrebbe dirmi… aveva i capelli lunghi o corti?”
“Non ricordo!” rispose in tono perplesso.
“Sono i suoi occhi che mi sono rimasti impressi, non i capelli.
Aveva gli occhi così belli!
Peccato che non le servissero affatto… era completamente cieca.
Non se n’era accorto?”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

Bruno Ferrero

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