La leggenda dei Denti di Leone
Nel prato di un giardino pubblico, con il tiepido sole della primavera, in mezzo all’erba tenera, erano spuntate le foglie dentellate e robuste dei Denti di Leone.
Uno di questi esibì un magnifico fiore giallo, innocente, dorato e sereno come un tramonto di maggio.
Dopo un po’ di tempo il fiore divenne un “soffione”:
una sfera leggera, ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semini che se ne stavano stretti stretti al centro del soffione.
E quante congetture facevano i piccoli semi.
Quanti sogni cullava la brezza alla sera, quando i primi timidi grilli intonavano la loro serenata.
Si chiedevano:
“Dove andremo a germogliare?”
“Chissà?”
“Solo il vento lo sa.”
Un mattino il soffione fu afferrato dalle dita invisibili e forti del vento.
I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute e volarono via, ghermiti dalla corrente d’aria.
“Addio… Addio…” si salutavano i piccoli semi.
Mentre la maggioranza atterrava nella buona terra degli orti e dei prati, uno, il più piccolo di tutti, fece un volo molto breve e finì in una screpolatura del cemento di un marciapiede.
C’era un pizzico di polvere depositato dal vento e dalla pioggia, così meschino in confronto alla buona terra grassa del prato.
“Ma è tutta mia!” si disse il semino.
Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò subito a lavorare di radici.
Davanti alla screpolatura nel cemento c’era una panchina sbilenca e scarabocchiata.
Proprio su quella panchina si sedeva spesso un giovane.
Era un giovane dall’aria tormentata e lo sguardo inquieto.
Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue mani erano sempre strette a pugno.
Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento, rise amaramente:
“Non ce la farai!
Sei come me!” e con un piede le calpestò.
Ma il giorno dopo vide che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro.
Da quel momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda coraggiosa pianticella.
Dopo qualche giorno spuntò il fiore, giallo brillante, come un grido di felicità.
Per la prima volta dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l’amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi.
Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni.
Diede un gran pugno sullo schienale della panchina e gridò:
“Ma certo!
Ce la possiamo fare!”
Aveva voglia di piangere e di ridere.
Sfiorò con le dita la testolina gialla del fiore.
Le piante sentono l’amore e la bontà degli esseri umani.
Per il piccolo e coraggioso Dente di Leone la carezza del giovane fu la cosa più bella della vita.