Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date

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Alcuni giorni fa ero in strada con mia nipote, una bambina di circa 8 anni.
Stavamo camminando, quando vedemmo sul marciapiede un mucchietto di buste e cartoni, con un giovane tutto rannicchiato sopra.

Quello che tutti chiameremmo “barbone.”

Il mio occhio, anche se “cristiano”, ma purtroppo abituato a queste scene, quasi aveva escluso dall’attenzione questa presenza.
Ma quello della bambina no!
Più ci avvicinavamo al povero, più lei lo guardava con occhio evangelicamente misericordioso.
Accortomi di questo atteggiamento, diedi una moneta alla bambina per metterla nel cestino, quasi vuoto, del povero.

A questo punto il giovane si alzò e velocemente si allontanò.

“Dove starà andando?” mi chiesi.
Entrò in un bar e quasi subito uscì da lì con un ovetto di cioccolato in mano e lo donò alla bambina con un sorriso che non dimenticherò mai!
E subito scomparve, tornando al suo mucchio di povere cose!

Rimasi senza parole!

Anche la nipotina rimase colpita dal dono ricevuto.
Mi ripresi subito e spiegai alla bambina che quello che conta è l’amore!
Noi avevamo donato solo una moneta, lui aveva donato oltre all’uovo di cioccolato un enorme gesto d’amore!

Brano senza Autore.

Arrivarono solo in tre (La storia dei Re Magi)

Arrivarono solo in tre
(La storia dei Re Magi)

Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo:
i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva.
Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano;

per questo erano chiamati Re Magi.

Nell’anno 0 (zero), studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione:
proprio in una notte di quell’anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla del Re dei re.
Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché, davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima.
I Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada.
Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello.

Così, ben presto, si scordò della stella.

Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso.
Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi.
Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell’universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana.

Quando si ricordò della stella era troppo tardi:

non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell’Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali.
Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio.
Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchiorre, re dei Persiani, Baldassarre, re degli Arabi e Gaspare, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore.
Così ognuno di loro arrivò puntuale all’appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.

Brano tratto dal libro “Novena di Natale per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Pago il mio e quello di Toni

Pago il mio e quello di Toni

Qualche anno fa, in un piccolo paesino del veneto, si era affermato un piccolo bar.
Sin dal mattino presto era diventato luogo d’incontro.
I clienti frettolosi consumavano la propria colazione e coglievano l’opportunità per dare anche una sbirciatina veloce alla gazzetta cittadina.

Toni era il frequentatore più assiduo.

Con il suo tavolino fisso sembrava essere parte integrante dell’arredamento del locale.
Viveva con la pensione di invalidità ed era sempre a corto di soldi per via delle spese, per i diversi hobby e per alcuni piccoli vizietti.

Aveva escogitato un espediente tutto suo per lucrare qualche caffè e qualche aperitivo.

Teneva per se il giornale e lo cedeva agli avventori del bar, che avevano fretta poiché dovevano andare a lavorare, in cambio del pagamento della sua ordinazione.
“Pago il mio e quello di Toni.” era per il locale una frase usuale.

Un giorno, però, il giornale non lo cedette a nessuno.

Quasi tutti capirono immediatamente che voleva nascondere qualcosa, così andarono di corsa in edicola a comprare il giornale, scoprendo che fosse un falso invalido.
“Pago il mio e quello di Toni.” non si sentì più dire in quel locale che, inoltre, perse cliente, invalido e macchietta.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I merli

I merli

Mi racconto.
Negli anni scorsi, come avevo un po’ di tempo libero, andavo a far visita agli anziani di una casa di riposo del mio comune.
Ci andavo per un senso civico e tornavo a casa appagato da questa esperienza, dato che incontravo una grande e variegata umanità.

Avevo stretto delle belle e vere amicizie.

Alcuni di loro attendevano il mio ritorno per affrontare insieme discorsi interessanti.
Tra coloro che incontravo abitualmente, c’era anche una signora che si chiamava Giulietta, con la quale trattavamo sempre lo stesso tema fisso:
quello della caccia.
Era stata figlia, moglie e madre di un cacciatore ed usava il gergo dei cacciatori e le loro metafore su tutto.
Ricordo che, durante una di quelle visite, appena arrivato,

la vidi nel corridoio e le chiesi come fosse andata.

Intendevo l’operazione a cui si era sottoposta, ma lei non capì la mia domanda.
Mi rispose, pensando alla caccia anche se in senso metaforico, che ai “merli” aveva rinunciato.
Non li cercava più dato che, chiunque la corteggiasse, poco tempo dopo “ci lasciava le penne.”
Attribuiva la colpa di tutto ciò al suo bizzarro comportamento.
Ovviamente si riferiva agli anziani signori ospitati dalla casa di riposo.

Per questa ragione,

aveva deciso di non affezionarsi più a nessuno spasimante, dato che per l’età avanzata, in punta di piedi, uno per volta, i suoi Romei se ne dipartivano, lasciando dentro di lei l’ennesimo vuoto incolmabile.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I Re Magi dimenticati

I Re Magi dimenticati

I ragazzi dell’oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale.
Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe.
C’era una particina perfino per il bue e l’asino.
Avevano distribuito le parti.
Tutti volevano fare Giuseppe e Maria.
Nessuno voleva fare la parte dell’asino.
Avevano così deciso di travestire da asino il cane di Lucia.

Era abbastanza grosso e pacifico:

con le orecchie posticce faceva un asinello passabile.
Purché non sì fosse messo ad abbaiare in piena scena…
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò:
“Avete dimenticato i Re Magi!”
Enzo, il regista, si mise le mani nei capelli.
Mancava solo un giorno alla rappresentazione.
Dove trovare tre Re Magi così su due piedi?
Fu don Pasquale, il vice parroco, a trovare una soluzione.
“Cerchiamo tre persone della parrocchia.” disse, “Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengano con i loro abiti di tutti i giorni e portino un dono a Gesù Bambino.
Un dono a loro scelta.
Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono.”

La squadra dei ragazzi si mise in moto.

Nel giro di due ore, erano stati trovati i tre Re Magi.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito.
Il cane-asino si addormentò e la barba di san Giuseppe non si staccò.
Senza che nessuno lo potesse prevedere, però, l’entrata in scena dei tre Re Magi divenne il momento più commovente della serata.
Il primo Re era un uomo di cinquant’anni, padre di cinque figli, impiegato del municipio.
Portava in mano una stampella.
La posò accanto alla culla del Bambino Gesù e disse:
“Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d’auto.
Uno scontro frontale.
Fui ricoverato all’ospedale con parecchie fratture.

I medici erano pessimisti sul mio recupero.

Nessuno azzardava un pronostico.
Da quel momento incominciai ad essere felice e riconoscente per ogni più piccolo progresso:
poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via.
Quei mesi in ospedale mi cambiarono.
Sono diventato un umile scopritore di quanto sia bello ciò che possiedo.
Sono riconoscente e felice per le cose piccole e quotidiane di cui prima non mi accorgevo.
Porto questa stampella a Gesù Bambino in segno di riconoscenza.”
Il secondo Re era una “Regina,” madre di due figli.
Portava un catechismo.
Lo posò accanto alla culla del Bambino e disse:
“Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata.
Poi i ragazzi sono cresciuti e ho incominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi.
Chiesi al parroco di fare catechismo ai bambini.
Così ridiedi un senso a tutta la mia vita.

Mi sento come un apostolo, un profeta:

aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un’attività che mi appassiona.
Sento di nuovo di essere importante.”
Il terzo Re era un giovane.
Portava un foglio bianco.
Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse:
“Mi chiedevo se fosse il caso di accettare questa parte.
Non sapevo proprio che cosa dire, né che cosa portare.
Le mie mani sono vuote.
Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la mia vita.
Dentro di me si ammucchiano inquietudini, domande, attese, errori, dubbi.
Non ho niente da presentare.
Il mio futuro mi sembra così vago.
Ti offro questo foglio bianco, Bambino Gesù.
Io so che sei venuto per portarci speranze nuove.
Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita.
Ora che ci sei tu, tutto cambierà!”

Brano tratto dal libro “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La pace verrà… se…

La pace verrà… se…
La pace verrà… se…

… tu credi che un sorriso è più forte di un’arma.
… tu credi alla forza di una mano tesa.
… tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide.
… tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo.
… tu sai scegliere tra la speranza o il timore.
… tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora …

La pace verrà… se…

… lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore.
… tu sai gioire della gioia del tuo vicino.
… l’ingiustizia che colpisce gli altri ti rivolta come quella che subisci tu.
… per te lo straniero che incontri è un fratello.
… tu sai donare gratuitamente un po’ del tuo tempo per amore.
… tu sai accettare che un altro ti renda un servizio.
… tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora …

La pace verrà… se…

… tu credi che il perdono ha più valore della vendetta.
… tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria.
… tu sai accogliere il misero che ti fa perdere tempo e guardarlo con dolcezza.
… tu sai accogliere e accettare un fare diverso dal tuo.
… tu credi che la pace è possibile, allora …

La pace verrà!

Poesia di Charles de Foucauld

Il quadro “La cosa più bella del Mondo”

Il quadro “La cosa più bella del Mondo”

Un celebre pittore, che aveva realizzato vari lavori di grande bellezza, si convinse che ancora gli mancava di dipingere la sua opera prima.
Si incamminò alla ricerca di un’ispirazione o di un modello, e un giorno, in una strada polverosa, incontrò un anziano sacerdote che gli chiese dove era diretto.
“Non so!” rispose il pittore, “Voglio dipingere la cosa più bella del mondo.

Forse lei può indicarmi dove posso trovarla.”

“È molto semplice.” disse il sacerdote. “In qualsiasi chiesa o nella fede puoi trovare quello che cerchi.
La fede è la più bella cosa del mondo.”
Il pittore proseguì il suo viaggio e incontrò una giovane sposa.
Le domandò se sapeva quale fosse la cosa più bella del mondo.
“L’amore.” rispose la donna, “L’amore fa diventare ricchi i poveri, cura le ferite, fa diventare molto il poco.

Senza amore, non c’è bellezza.”

Il pittore continuò ancora la sua ricerca.
Un soldato esausto incrociò la sua strada, e quando il pittore gli pose la stessa domanda, rispose: “La Pace è la più bella cosa del mondo.
La guerra è la cosa più brutta.
Dove si trova la pace, è sicuro che si troverà anche la bellezza.”
Fede, Amore e Pace.

Come potrei dipingerle?

Pensò tristemente l’artista.
Scuotendo la testa scoraggiato, riprese la direzione di casa.
Entrando nella sua casa, vide la cosa più bella del mondo:
Negli occhi dei figli c’era la Fede, l’Amore brillava nel sorriso della sua sposa.
E qui, nel suo focolare, c’era la Pace di cui gli aveva parlato il soldato.
Il pittore realizzò così il quadro “La cosa più bella del Mondo.”
E, una volta terminato, lo chiamò “La mia casa.”

Brano senza Autore.

L’albero e la natura

L’albero e la natura

C’era una volta un albero che viveva solitario in un piccolo frammento di terra in mezzo ad uno specchio d’acqua.
Era bellissimo, ma su quel pezzettino di terra c’era spazio solamente per lui e lui, per sopravvivere, doveva spingere le sue radici sempre più giù, fin quasi al cuore della Madre Terra.
Gli altri alberi un po’ ne ammiravano ed invidiavano la bellezza, ma soprattutto lo compativano, e nella compassione c’era quasi un piccolissimo, impalpabile velo di disprezzo.
“Guarda quel poveraccio,” dicevano continuamente, “sempre solo, vive, invecchia e muore senza nessuno accanto, senza nessuno da amare e che lo ami.
A che gli serve tanto spreco di bellezza?

A che gli serve vivere così?

Che se ne fa di un cuore se non ha un altro albero per cui battere?
Sarà un cuore indurito e atrofizzato!”
L’albero sentiva giorno dopo giorno queste parole portate dal vento e un po’ lo rattristavano.
I suoi rami non avevano accanto altri rami da carezzare e stringere, ed il destino che lo aveva fatto nascere su un coriandolo di terra, lo aveva condannato ad una vita solitaria.
Lacrime di resina e linfa sgorgavano copiose dal suo cuore.
Madre Terra udì il vibrare del pianto dell’albero, scuoterne le radici e, con voce dolcissima, parlò direttamente al cuore di quella rigogliosa pianta:

“Tu non sei solo!

Ed il tuo cuore non è arido e solitario.
Io lo sento pulsare e battere più forte per ogni nido che i tuoi amici uccellini costruiscono fra i tuoi rami e vedo, alla schiusa delle uova, i tuoi rami amorevolmente e premurosamente protendersi a cullare e proteggere i piccoli appena nati.
Vedo con quanto amore offri i tuoi rami fronzuti agli scoiattoli ed agli altri animaletti che vivono con te.
Tu li ami tutti e da tutti sei amato.
Vedi, albero mio, non esiste soltanto un tipo di amore!
Amore è affetto, c’è tanto amore nell’amicizia e nella solidarietà che dà senza mai chiedere, amore è dare e darsi, e tu ti dai con generosità a tutti quelli che ti sono accanto.
Il tuo cuore è vivo e grande e tu non sei solo e mai tu lo sarai.”
Non soltanto l’albero udì la voce della Madre Terra.

La sentì l’acqua che aggiunse:

“Ti ho visto nascere e crescere e diventare così bello e grande, abbraccio la tua immagine in ogni istante e tu, con la tua ombra, consenti nella calura a tutte le creature che in me vivono di trovar refrigerio.
E tu, lo vedo e sento, tendi con dolcezza i tuoi bei rami a carezzarmi.
Non te l’ho detto mai quanto ti voglio bene?”
A quelle parole si levò un canto.
Tutti gli uccellini intonarono la più dolce canzone d’amore che mai avevano cantato.
Lacrime di felicità carezzarono il cuore di quell’albero, che si unì al loro canto con voce di foglie arpeggiate dalle dita gentili di una brezza amica.

Brano senza Autore.

L’abete che volle tornare a casa

L’abete che volle tornare a casa

Il piccolo abete aveva impiegato tutta l’estate a crescere.
Si era proprio messo d’impegno e ora giocava felice con i venti invernali.
Si sentiva abbastanza robusto per resistere anche ai (venti) più forti.
Le radici, che si erano ramificate in profondità, conferivano al giovane abete una baldanzosa sicurezza.
Ma una gelida mattina di dicembre, mentre i fiocchi di neve sfarfallavano pigri, l’abete avvertì uno strumento acuminato che gli tagliava e strappava le radici.
Poco dopo due mani d’uomo, rudi e sgarbate, lo estirparono dalla terra e lo caricarono nel baule puzzolente di un’automobile che ripartì subito verso la città.
Il viaggio fu terribile per il povero abete, che pianse tutte le sue lacrime di profumata resina.
Dopo mille dolorosi sballottamenti, si ritrovò finalmente alla luce.

Lo misero in un grosso vaso, in bella mostra.

La terra del vaso era fresca e l’abete ebbe un po’ di sollievo e ricominciò a sperare.
Divenne perfino euforico, quando mani di donna e piccole mani di bambini cominciarono a infilare tra i suoi rami fili dorati, luci colorate e lustrini scintillanti.
“Mi credono il re degli alberi.” pensava, “Sono stato veramente fortunato.
Altro che starmene là al freddo e alla neve!”
Per un po’ di giorni tutto andò bene.
L’abete faceva un figurone, nel suo abbigliamento luccicante.
Era contento anche del presepe che avevano collocato ai suoi piedi:
guardava con commozione Maria e Giuseppe, il Bambino nella mangiatoia e anche l’asino e il bue.
Di sera, quando tutte le piccole luci colorate erano accese, gli abitanti della casa lo guardavano e facevano: “Ooooh, che bello!”
Poi gli venne sete.

Sul principio era sopportabile.

“Qualcuno si ricorderà di sicuro di darmi un po’ d’acqua.” pensava l’abete.
Ma nessuno si ricordava e la sofferenza dell’abete divenne terribile.
I suoi aghi, i suoi bellissimi aghi verde scuro, cominciarono ad ingiallire e cadere.
Si rese conto che aveva lentamente cominciato a morire.
Una sera, ai suoi piedi vennero ammucchiati molti pacchetti confezionati con carta luccicante e nastri colorati.
C’era molta eccitazione nell’aria.
Il mattino dopo scoppiò il finimondo:
bambini e adulti aprivano i pacchetti, gridavano, si abbracciavano.
L’abete riuscì appena a pensare:
“Tutti qui parlano d’amore, ma fanno morire me…”
Improvvisamente una piccola mano lo sfiorò.

La sorpresa dell’abete fu infinita:

davanti a lui c’era il Bambino del presepe.
“Piccolo abete,” disse il Bambino Gesù, “vuoi tornare a vivere nel tuo bosco, in mezzo ai tuoi fratelli?”
“Oh sì, per piacere!” rispose cortesemente l’albero.
“Ora, che hanno avuto i regali, non gliene importa più niente di te…
E nemmeno di me!”
Il Bambino Gesù prese l’abete, che d’incanto ridivenne verde e vigoroso.
Poi insieme volarono via dalla finestra.

Brano tratto dal libro “Le storie del Buon Natale.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La luna sul campanile

La luna sul campanile

Tomo è una ridente frazione della città di Feltre, nel Bellunese, ed è da sempre chiamata Ton.
Questa frazione è nota per i suoi abitanti che un tempo avevano la nomea di sprovveduti, dando adito ad alcune leggende di cui ancora oggi vanno fieri.

Una di queste narra che, alcuni secoli fa,

i suoi abitanti erano molto fieri del loro paesello, ma si lamentavano poiché il monte Tomatico, con i suoi 1595 metri, oscurava la visibilità della luna.
Non riuscivano a regolarsi con le fasi lunari per i lavori e per le tradizioni agresti.
Fecero il gran consiglio del paese e decisero di costruirne una in casa.

Iniziarono una straordinaria raccolta di uova per creare una frittata gigante

da appendere come simulacro della luna al loro campanile.
Per renderla più realistica ci aggiunsero dei fiori e alcuni germogli mangerecci.
La fecero talmente bella e profumata che gli abitanti della vicina frazione “Rasai” andarono di notte, con una scala, per tagliarne una bella fetta, per poi mangiala,

dato che la fame, in quel periodo, era atavica.

Il giorno dopo quelli da Tomo, vedendone mancare uno spicchio, esclamarono:
“La nostra luna è stata fatta talmente bene che si è adattata al nostro paese, ha iniziato a segnare anche i quarti!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno