Il professore e la lezione sull’amore

Il professore e la lezione sull’amore

Durante una lezione una ragazza piangeva perché era stata lasciata dal suo ragazzo.
Il professore dopo aver chiesto alla ragazza cosa avesse, disse:
“L’amore.
L’amore dovete prenderlo come un gioco.
Anzi è un gioco.
E sapete chi vince?”
Un primo studente rispose:
“Chi fugge?”
“Assolutamente no!” esclamò il professore.
Intervenne un secondo studente dicendo:
“Chi è online su Whatsapp o Facebook e non risponde?”

A lui si accodò un terzo studente che chiese:
“Vince chi si accontenta dei mi piace sui post e sulle foto di Instagram o Facebook?
O chi attende sempre che l’altra persona lo contatti?”
Il professore rispose ad entrambi:
“Interessante ma no.
Nessuno lo sa?”
Un altro studente tentò la soluzione, esclamando:
“Vince chi non si lascia spezzare il cuore. Giusto?”
Ascoltati i vari studenti il professore concluse:
“No.
Nessun ha ancora capito come funziona questo gioco.
Avete mai visto un libretto delle istruzioni?

No ragazzi, l’amore ognuno lo gioca come vuole.
Una volta iniziato a giocare non potrà più smettere, non riuscirà.
È una battaglia.
Vi viene spezzato il cuore una volta?
Andate in cerca di qualcosa che ve lo aggiusti, non state a piangervi addosso.
Quando giocate alla Playstation e il nemico vi spara, voi cosa fate?
Vi rimboccare le maniche e fate di tutto per schivare ulteriori colpi e portare a termine la missione.
Ebbene, rimboccatevi le mani e provate a vincere il gioco.
Non è ancora perso, mai.
Siate voi i vincitori.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La Pietra Azzurra (La Ragazza con gli occhi turchesi)

La Pietra Azzurra (La Ragazza con gli occhi turchesi)

Un gioielliere era seduto alla scrivania e guardava distrattamente la strada attraverso la vetrina del suo elegante negozio.
Una bambina si avvicinò al negozio e schiacciò il naso contro la vetrina.
I suoi occhi color del cielo si illuminarono quando videro uno degli oggetti esposti.
Entrò decisa e puntò il dito verso uno splendido collier di turchesi azzurri.
“E’ per mia sorella! Può farmi un bel pacchetto regalo?”
Il padrone del negozio fissò incredulo la piccola cliente e le chiese:

“Quanti soldi hai?”

Senza esitare, la bambina, alzandosi in punta di piedi, mise sul banco una scatola di latta, la aprì e la svuotò.
Ne vennero fuori qualche biglietto di piccolo taglio, una manciata di monete, alcune conchiglie, qualche figurina.
“Bastano?” disse con orgoglio.
“Voglio fare un regalo a mia sorella più grande.
Da quando non c’è più la nostra mamma, è lei che ci fa da mamma e non ha mai un secondo di tempo per se stessa.
Oggi è il suo compleanno e sono certa che con questo regalo la farò molto felice.
Questa pietra ha lo stesso colore dei suoi occhi!”
L’uomo entrò nel retro e ne riemerse con una stupenda carta regalo rossa e oro con cui avvolse con cura l’astuccio.

“Prendilo!” disse alla bambina, “Portalo con attenzione!”

La bambina partì orgogliosa tenendo il pacchetto in mano come un trofeo.
Un’ora dopo entrò nella gioielleria una bella ragazza con la chioma color miele e due meravigliosi occhi azzurri.
Posò con decisione sul banco il pacchetto che con tanta cura il gioielliere aveva confezionato e domandò:
“Questa collana è stata comprata qui?”
“Sì, signorina!” rispose cordialmente il gioielliere.

“E quanto è costata?” chiese la ragazza.

“I prezzi praticati nel mio negozio sono confidenziali: riguardano solo il mio cliente e me.” aggiunse il gioielliere.
“Ma mia sorella aveva solo pochi spiccioli.
Non avrebbe mai potuto pagare un collier come questo!” esclamò la ragazza.
Il gioielliere prese l’astuccio, lo chiuse con il suo prezioso contenuto, rifece con cura il pacchetto regalo e lo consegnò alla ragazza.
“Sua sorella ha pagato.
Ha pagato il prezzo più alto che chiunque possa pagare: ha dato tutto quello che aveva!”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Oggi ho imparato che bisogna lasciare che la vita ci spettini!

Oggi ho imparato che bisogna lasciare che la vita ci spettini!

Oggi ho imparato che bisogna lasciare che la vita ci spettini, e ho deciso di viverla con maggiore intensità.
Il mondo è pazzo.
Decisamente pazzo.
Le cose buone, ingrassano.
Le cose belle, costano.
Il sole che ti illumina il viso, fa venire le rughe.
E tutte le cose veramente belle di questa vita, spettinano.
Fare l’amore, spettina.
Ridere a crepapelle, spettina.
Viaggiare, volare, correre, tuffarti in mare, spettina.
Toglierti i vestiti, spettina.

Baciare la persona che ami, spettina.
Giocare, spettina.
Cantare fino a restare senza fiato, spettina.
Ballare fino a farti venire il dubbio che sia stata una buona idea uscire, ti lascia i capelli irriconoscibili.
Quindi, ogni volta che ci vedremo, avrò sempre i capelli spettinati.
Tuttavia, non dubitare che io stia vivendo il momento più felice della mia vita.
E’ la legge della vita: sarà sempre più spettinato colui che sceglie il primo vagoncino sulle montagne russe di quello che sceglie di non salire.
Questo mondo esige bella presenza:
pettinati, mettiti, togliti, compra, corri, dimagrisci, mangia bene, cammina!

Forse dovrei seguire le istruzioni, però…
Quando mi ordineranno di essere felice?
Forse non si rendono conto che per risplendere di bellezza, bisogna sentirsi belli.
La persona più bella che possa esistere!
L’unica cosa che veramente importa è che quando mi guardo allo specchio, vedo la persona che voglio essere.
Perciò abbandonati, mangia le cose più buone, bacia, abbraccia, balla, innamorati, rilassati, viaggia, salta, vai a dormire tardi, alzati presto, rilassati, impiega del tempo a preparati, ammira il paesaggio e soprattutto lascia che la vita ti spettini…
Il peggio che può succederti è che sorridendo di fronte allo specchio…
Tu debba pettinarti di nuovo.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Anche questo passerà…

Anche questo passerà…

Un re disse ai saggi che aveva a corte:
“Voglio farmi fare un anello bellissimo.
Possiedo uno tra i diamanti più belli e voglio incastonarlo in un anello.
E nell’anello voglio tener nascosto un messaggio che mi possa essere utile in un istante di assoluta disperazione.
Deve essere un messaggio brevissimo, in modo che lo possa nascondere sotto il diamante, all’interno dell’anello stesso.”
I saggi di quel re erano tutti grandi studiosi, uomini in grado di scrivere profondi trattati, ma dare al re un messaggio di non più di due o tre parole, in grado di aiutarlo in un istante di assoluta disperazione, li mise in difficoltà nonostante essi pensarono e scrutarono nei loro testi, senza riuscire a trovare nulla di nulla.
Il re aveva un vecchio servitore, per lui era quasi un padre, ed esso era già stato al servizio di suo padre.

La madre del re era morta giovane e quell’uomo lo aveva accudito, pertanto il re non lo considerava un semplice servo, provava per lui un profondo rispetto.
Quel vecchio gli disse:
“Io non sono un sapiente, un uomo colto, uno studioso; ma conosco questo messaggio poiché esiste un unico messaggio.
Quelle persone non te lo possono dare; solo un mistico potrebbe, un uomo che ha realizzato il proprio essere.
Nella mia lunga vita qui a palazzo ho incontrato ogni sorta di persone, e una volta anche un mistico.
Anche lui era ospite di tuo padre ed io ero stato messo al suo servizio.
Quando è ripartito, come ringraziamento per tutti i miei servigi, mi ha dato questo messaggio.”
Il servitore lo scrisse su un pezzettino di carta, lo piegò e disse al re:

“Non leggerlo, tienilo semplicemente nascosto nell’anello.
Aprilo solo quando ogni altra cosa si sarà rivelata un fallimento; aprilo solo quando senti di non avere più alcuna via d’uscita.”
E quel momento venne ben presto.
Il paese fu invaso e il re perse il suo regno.
Stava fuggendo con il suo cavallo per salvarsi la vita e i cavalli dei nemici lo inseguivano.
Era solo, i nemici erano tanti.
A un certo punto il sentiero di fronte a lui terminò, si trovava in una gola cieca:
di fronte a lui c’era un baratro, caderci dentro avrebbe significato una morte certa.
Non poteva neppure tornare indietro:
i nemici gli erano alle spalle e già poteva sentire lo scalpitare e i nitriti dei loro cavalli.

Non poteva più avanzare e non poteva prendere un’altra strada.
All’improvviso si ricordò dell’anello.
Lo aprì, prese quel rotolino di carta e lesse un messaggio il cui valore era veramente prezioso.
Diceva semplicemente:
“Anche questo passerà…”
Sul re discese un profondo silenzio, mentre quella frase penetrava in lui:
anche questo passerà e passò.
Tutto passa, in questo mondo nulla permane.

I nemici che lo stavano inseguendo si perdettero nella foresta, presero un altro sentiero; pian piano lo scalpitare dei loro cavalli si allontanò e scomparve.
Il re provò una profonda gratitudine per il suo servitore e per quell’ignoto mistico.
Quelle parole si rivelarono miracolose.
Ripiegò il foglietto, lo rimise nell’anello, ricostruì il suo esercito e riconquistò il regno.
E il giorno in cui rientrò nella capitale, vittorioso, mentre tutti inneggiavano a lui e lo festeggiavano con musiche e danze, e lui si sentiva al settimo cielo per la felicità e l’orgoglio di quella conquista, di fianco al suo cocchio camminava il vecchio servitore che gli disse:
“Anche questo è un momento adatto per leggere un’altra volta quel messaggio.”

Il re disse:
“Cosa vuoi dire?
Adesso sono un vincitore, il popolo mi sta festeggiando.
Non sono affatto disperato, non sono in una situazione senza vie d’uscita.”
E il vecchio gli disse:
“Ascolta.
Ecco cosa mi disse quel mistico:
questo messaggio non serve solo nei momenti di disperazione, serve anche quando si è alle stelle per la felicità.
Non serve solo quando si è sconfitti; è utile anche quando si è vincitori, non solo quando ti trovi in fondo a un vicolo cieco, ma anche quando sei in cima a una vetta.”
Il re aprì di nuovo l’anello, lesse il messaggio:

“Anche questo passerà…” e all’improvviso la stessa pace, lo stesso silenzio, tra quella folla che festeggiava e lo inneggiava, che danzava intorno a lui ma ogni orgoglio, l’ego se n’erano andati.
Tutto passa.
Il re chiese al vecchio servitore di salire sul cocchio e di sedere vicino a lui.
E gli chiese:
“C’è qualcos’altro?
Tutto passa.
Il tuo messaggio mi è stato di immenso aiuto.”
E il vecchio disse:
“La terza cosa che quel santo mi disse è questa:
ricorda, tutto passa.
Tu solo permani sempre; tu resti in eterno, in quanto testimone.”

Brano Popolare Sufi.
Brano senza Autore, tratto dal Web

I tre figli

I tre figli

Tre donne andarono alla fontana per attingere acqua.
Presso la fontana, su una panca di pietra, sedeva un uomo anziano che le osservava in silenzio ed ascoltava i loro discorsi.

Le donne lodavano i rispettivi figli.

“Mio figlio,” diceva la prima, “è così svelto ed agile che nessuno gli sta alla pari!”
“Mio figlio,” sosteneva la seconda, “canta come un usignolo.
Non c’è nessuno al mondo che possa vantare una voce bella come la sua!”
“E tu, che cosa dici di tuo figlio?” chiesero alla terza che rimaneva in silenzio.
“Non so che cosa dire di mio figlio!” rispose la donna, “E’ un bravo ragazzo, come ce ne sono tanti. Non sa fare niente di speciale!”
Quando le anfore furono piene, le tre donne ripresero la via di casa.
Il vecchio le seguì per un pezzo di strada.
Le anfore erano pesanti, le braccia delle donne stentavano a reggerle.
Ad un certo punto si fermarono per far riposare le povere schiene doloranti.

Vennero loro incontro tre giovani.

Il primo improvvisò uno spettacolo: appoggiava le mani a terra e faceva la ruota con i piedi per aria, poi inanellava un salto mortale dopo l’altro.
Le donne lo guardavano estasiate:
“Che giovane abile!”
Il secondo giovane intonò una canzone.
Aveva una voce splendida che ricamava armonie nell’aria come un usignolo.
Le donne lo ascoltavano con le lacrime agli occhi: “E’ un angelo!”
Il terzo giovane si diresse verso sua madre, prese la pesante anfora e si mise a portarla, camminando accanto a lei.

Le donne si rivolsero al vecchio:

“Allora che cosa dici dei nostri figli?”
“Figli?” esclamò meravigliato il vecchio “Io ho visto un figlio solo!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un grazie inaspettato

Un grazie inaspettato

Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui sentissero di ringraziare il Signore.
Pensò quanto poco di cui essere grati in realtà avessero questi bambini provenienti da quartieri poveri.
Ma sapeva che quasi tutti avrebbero disegnato panettoni o tavole imbandite.
L’insegnante fu colta di sorpresa dal disegno consegnato da Tino:
una semplice mano disegnata in maniera infantile.
“Ma la mano di chi?”
La classe rimase affascinata dall’immagine astratta.

“Secondo me è la mano di Dio che ci porta da mangiare!””disse un bambino.
“Un contadino,” disse un altro “perché alleva i polli e le patatine fritte.”
Mentre gli altri erano al lavoro, l’insegnante si chinò sul banco di Tino e domandò di chi fosse la mano.
“E’ la tua mano, maestra!” mormorò il bambino.
Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino, che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita.
Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

L’Incontro

L’Incontro

“Ebbi lo scompartimento del treno tutto per me…
Poi salì una ragazza!” raccontava un giovane indiano cieco.
“L’uomo e la donna venuti ad accompagnarla dovevano essere i suoi genitori.
Le fecero molte raccomandazioni.
Dato che ero già cieco allora, non potevo sapere che aspetto avesse la ragazza, ma mi piaceva il suono della sua voce.”
“Va a Dehra Dun?” chiesi mentre il treno usciva dalla stazione.
Mi chiedevo se sarei riuscito a impedirle di scoprire che non ci vedevo.
Pensai: “Se resto seduto al mio posto, non dovrebbe essere troppo difficile!”
“Vado a Saharanpur.” disse la ragazza “Là viene a prendermi mia zia. E lei dove va?”
“A Dehra Dun, e poi a Mussoorie.” risposi.

“Oh, beato lei!
Vorrei tanto andare a Mussoorie.
Adoro la montagna.
Specialmente in ottobre.” aggiunse lei.
“Sì è la stagione migliore.” dissi, attingendo ai miei ricordi di quando potevo vedere.
“Le colline sono cosparse di dalie selvatiche, il sole è delizioso, e di sera si può star seduti davanti al fuoco a sorseggiare un brandy.
La maggior parte dei villeggianti se n’è andata, e le strade sono silenziose e quasi deserte.”
Lei taceva, e mi chiesi se le mie parole l’avessero colpita, o se mi considerasse solo un sentimentaloide.

Poi feci un errore.
“Com’è fuori?” chiesi.
Lei però non sembrò trovare nulla di strano nella domanda.
Si era già accorta che non ci vedevo?
Ma le parole che disse subito dopo mi tolsero ogni dubbio.
“Perché non guarda dal finestrino?” mi chiese con la massima naturalezza.
Scivolai lungo il sedile e cercai col tatto il finestrino.
Era aperto, e io mi voltai da quella parte fingendo di studiare il panorama.
Con gli occhi della fantasia, vedevo i pali telegrafici scorrere via veloci.

“Ha notato!” mi azzardai a dire “Sembra che gli alberi si muovano mentre noi stiamo fermi!”
“Succede sempre così!” fece lei.
Mi girai verso la ragazza, e per un po’ rimanemmo seduti in silenzio.
“Lei ha un viso interessante.” dissi poi.
Lei rise piacevolmente, una risata chiara e squillante.
“E’ bello sentirselo dire!” fece.
“Sono talmente stufa di quelli che mi dicono che ho un bel visino!”
“Dunque, ce l’hai davvero una bella faccia” pensai, e a voce alta proseguii:
“Beh, un viso interessante può anche essere molto bello.”

“Lei è molto galante.” disse “Ma perché è così serio?”
“Fra poco lei sarà arrivata!” dissi in tono piuttosto brusco.
“Grazie al cielo. Non sopporto i viaggi lunghi in treno!”
Io invece sarei stato disposto a rimaner seduto all’infinito, solo per sentirla parlare.
La sua voce aveva il trillo argentino di un torrente di montagna.
Appena scesa dal treno, avrebbe dimenticato il nostro breve incontro; ma io avrei conservato il suo ricordo per il resto del viaggio e anche dopo.
Il treno entrò in stazione.

Una voce chiamò la ragazza che se ne andò, lasciando dietro di se solo il suo profumo.
Un uomo entrò nello scompartimento, farfugliando qualcosa.
Il treno ripartì.
Trovai a tentoni il finestrino e mi ci sedetti davanti, fissando la luce del giorno che per me era tenebra.
Ancora una volta potevo rifare il mio giochetto con un nuovo compagno di viaggio.
“Mi spiace di non essere un compagno attraente come quella che è appena uscita!” mi disse lui, cercando di attaccar discorso.

“Era una ragazza interessante!” dissi io “Potrebbe dirmi… aveva i capelli lunghi o corti?”
“Non ricordo!” rispose in tono perplesso.
“Sono i suoi occhi che mi sono rimasti impressi, non i capelli.
Aveva gli occhi così belli!
Peccato che non le servissero affatto… era completamente cieca.
Non se n’era accorto?”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

Bisogna saper ascoltare…


Bisogna saper ascoltare…

Mauro proveniva da una buona famiglia con genitori amorevoli, due fratelli e una sorella, che avevano successo nella vita scolastica e sociale.
Vivevano in un bel quartiere e Mauro aveva tutto quello che un ragazzino può desiderare.
Ma alle elementari, Mauro fu subito etichettato come soggetto speciale.
Nelle medie era il disadattato piantagrane.
Alle scuole superiori cominciò a inanellare espulsioni e voti disastrosi.
Una domenica, un insegnante incrociò la famiglia e disse:
“Mauro sta facendo molto bene in questo periodo.
Siamo molto soddisfatti di lui.”

“Forse ci state confondendo con un’altra famiglia.
Il nostro Mauro non ne azzecca mai una.
Siamo molto imbarazzati e non sappiamo capire perché!” disse il padre.
Mentre l’insegnante se ne andava, la madre osservò:
“Però, a pensarci bene, Mauro non si è cacciato nei guai nell’ultimo mese.
Inoltre è sempre andato a scuola presto e si è sempre fermato più del necessario.
Che cosa starà succedendo?”
Alla consegna della prima pagella, i genitori di Mauro si aspettavano voti bassi e note insoddisfacenti sul comportamento.

Invece sulla pagella c’erano voti più che sufficienti e una menzione speciale in condotta.
Mamma e papà erano sconcertati.
“A chi ti sei seduto vicino, per avere questi voti?” chiese il papà con sarcasmo.
“Ho fatto tutto da solo!” rispose umilmente Mauro.
Perplessi e non completamente convinti, i genitori di Mauro lo riportarono a scuola per parlare con il preside.
Egli assicurò loro che Mauro stava andando molto bene.
“Abbiamo una nuova insegnante di sostegno, e sembra che lei abbia una particolare influenza su Mauro.
Penso che dovreste conoscerla!”

Quando il trio si avvicinò, la donna aveva il capo abbassato.
Le ci volle un istante per accorgersi che aveva visite.
Quando lo capì, si alzò in piedi e iniziò a gesticolare con le mani.
“Cos’è questo?” chiese indignato il padre di Mauro.
“Linguaggio dei segni.
Questa donna è sordomuta!
Ecco perché è così straordinaria!” disse Mauro, mettendosi in mezzo.
“Lei fa molto di più, papà.
Lei sa ascoltare!”

Brano tratto dal libro “Io e me alla ricerca del treno: Pensieri e racconti di uno strano ragazzo.” di Andrea Cardinale

Voglio essere single, ma insieme a te…

Voglio essere single, ma insieme a te…

Voglio che tu esca a bere una birra con gli amici.
Voglio che, nel pieno dei postumi di una sbornia, mi chieda di raggiungerti perché desideri stringermi tra le braccia e voglio accoccolarmi accanto a te.
Voglio che, appena sveglia, parli con me di tutto quello che ti passa per la testa ma che ti senta libera di fare dei piani diversi per il resto della giornata.
Io farò altrettanto.
Voglio che mi racconti delle tue serate con gli amici.
Che tu mi dica di quel ragazzo al bar che non smetteva di guardarti.
Voglio che mi scrivi quando sei ubriaca per dirmi cose senza senso, solo per assicurarti che anche io ti sto pensando.
Voglio ridere mentre facciamo l’amore, magari perché ci sentiamo goffi mentre sperimentiamo tra le lenzuola.

Voglio che, mentre siamo con i nostri amici, tu mi prenda per mano e mi porti in un’altra stanza perché non resisti più e vuoi fare l’amore con me proprio lì, in quel momento.
Già ci vedo mentre cerchiamo di essere più silenziosi possibile per non farci sentire.
Voglio mangiare con te, voglio sentirmi libero di parlarti di me e che tu faccia lo stesso.
Voglio immaginare l’appartamento dei nostri sogni, pur sapendo che forse non andremo mai a vivere insieme.
Voglio che tu mi racconti dei tuoi piani senza capo né coda.
Voglio che tu mi sorprenda, che tu mi dica “Prendi il passaporto, partiamo!”
Voglio aver paura insieme a te.
Voglio fare cose che non farei con nessun altra, solo perché con te mi sento sicuro.

Voglio rientrare a casa ubriaco dopo una serata con gli amici e voglio che tu mi prenda il viso tra le mani, mi baci e mi stringa forte.
Voglio che tu abbia la tua vita, che decida su due piedi di partire per un viaggio.
Che mi lasci qui, solo ed annoiato, ad aspettare che appaia un tuo “ciao” su Facebook.
Non voglio sempre partecipare alle tue serate fuori e non voglio sempre doverti invitare alle mie.
Così potremo raccontarcele a vicenda il giorno dopo.
Voglio qualcosa che sia, allo stesso tempo, semplice… ma non troppo.
Qualcosa che mi metta in testa mille domande ma che mi consenta di conoscere la risposta appena sono vicino a te.
Voglio che pensi che io sia carino, che tu sia orgogliosa di dirlo quando siamo insieme.
Voglio sentirti dire che mi ami, proprio come farò io con te.

Voglio che mi lasci camminare davanti a te così puoi goderti la vista del mio sedere.
Voglio fare dei piani, anche se non sappiamo se li realizzeremo oppure no.
Voglio essere tuo amico, la persona con la quale ami uscire e divertirti.
Voglio che non perda il desiderio di flirtare con altri, ma che torni da me sempre, quando la serata volge al termine.
Perché forse io sarò andato a casa prima, senza di te.
Voglio essere la persona con cui adori fare l’amore ed addormentarti subito dopo.
La persona che si leva di torno mentre lavori e che adora osservarti quando ti perdi nella musica che ami.
Voglio avere una vita da single, ma con te.
Così la nostra vita di coppia potrà essere uguale a quella che abbiamo oggi, come single, ma vissuta insieme.
Un giorno ti troverò.

Brano apparso per la prima volta su The Huffington Post US, tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo

Un regalo per il giorno di San Valentino

Un regalo per il giorno di San Valentino

Stazione di Toledo ore 12:00, un tenero signore si siede accanto a me, ed involontariamente una parte della rosa che ha comprato si poggia sulla mia spalla, lui mi chiede scusa e mi racconta che non prende con piacere i mezzi pubblici, non ha più l’età; mi dice sorridendo che aveva voglia di fare una sorpresa a sua moglie nel giorno degli innamorati, dato che a lei piace tanto un anello che vede sempre in una pubblicità.
Le nipotine gli hanno detto che poteva comprarlo solo a via Toledo da Pandora, ma lui non guida più, quindi ha dovuto necessariamente prendere la metropolitana.

“Sono 54 anni che stiamo insieme,” mi dice con dolcezza, “ai miei tempi non c’erano tutte queste ricorrenze, però mi piacciono.”
Ha scelto di prendere anche una rosa, perché regalare dei fiori è uno dei gesti più romantici.
Lo guardavo e pensavo a quanto sia meraviglioso tutto l’amore che ha per la moglie dopo così tanti anni vissuti insieme, pensavo che non è vero che basta il pensiero, sono questi piccoli gesti, le attenzioni che rendono un rapporto indissolubile, resistente ad ogni inverno e ancor di più ad ogni primavera.
Viva l’amore, in questo giorno come ogni altro giorno, perché l’amore ci rende liberi.


Brano senza Autore, tratto dal Web