Un regalo per il giorno di San Valentino

Un regalo per il giorno di San Valentino

Stazione di Toledo ore 12:00, un tenero signore si siede accanto a me, ed involontariamente una parte della rosa che ha comprato si poggia sulla mia spalla, lui mi chiede scusa e mi racconta che non prende con piacere i mezzi pubblici, non ha più l’età; mi dice sorridendo che aveva voglia di fare una sorpresa a sua moglie nel giorno degli innamorati, dato che a lei piace tanto un anello che vede sempre in una pubblicità.
Le nipotine gli hanno detto che poteva comprarlo solo a via Toledo da Pandora, ma lui non guida più, quindi ha dovuto necessariamente prendere la metropolitana.

“Sono 54 anni che stiamo insieme,” mi dice con dolcezza, “ai miei tempi non c’erano tutte queste ricorrenze, però mi piacciono.”
Ha scelto di prendere anche una rosa, perché regalare dei fiori è uno dei gesti più romantici.
Lo guardavo e pensavo a quanto sia meraviglioso tutto l’amore che ha per la moglie dopo così tanti anni vissuti insieme, pensavo che non è vero che basta il pensiero, sono questi piccoli gesti, le attenzioni che rendono un rapporto indissolubile, resistente ad ogni inverno e ancor di più ad ogni primavera.
Viva l’amore, in questo giorno come ogni altro giorno, perché l’amore ci rende liberi.


Brano senza Autore, tratto dal Web

La persona giusta per noi

La persona giusta per noi

Un mio non più giovane professore universitario, durante una lezione, ad un certo punto, cambiando discorso, iniziò a dirci:
“Vedete ragazzi, solo dopo quaranta anni ho finalmente capito con chi è giusto, per ognuno, trascorrere la propria vita.
Non è importante quanto la persona che sta con voi sia bella fisicamente, ma è importante quello che lei prova per voi, e voi per lei.

Si, può essere rilevante l’aspetto fisico, ma ancora più importante è che questa persona sia bella dentro, e che soprattutto con lei possiate essere felici in ogni momento e possiate parlare di tutto.
Persone (ragazze e ragazzi) dai gusti e dai costumi facili se ne trovano dovunque, voi dovete riuscire a trovare quella giusta per voi, che vi faccia innamorare, e che sia semplice e carina.
Io ho impiegato quaranta anni per capirlo, ma spero che voi ci riusciate prima!”

Brano di Michele Bruno Salerno
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.

L’Attesa

L’Attesa

Si erano dati appuntamento al tramonto, certi che nessuno dei due sarebbe mancato all’incontro.
Fu lui ad arrivare per primo, così, dopo aver controllato l’ora sul proprio orologio, non gli rimase altro da fare che aspettare.
Il sole stava andando via, lentamente cominciava a scivolare all’orizzonte, mentre alcune nuvole nere tentavano di raggiungerlo e coprirlo.
Ben presto il cielo iniziò ad oscurarsi, allora l’uomo sollevò lo sguardo sperando che non iniziasse a piovere almeno fino a quando lei non fosse arrivata.
Invece, quasi subito, alcune timide gocce caddero a terra, prima distanti tra loro, poi sempre più fitte e fastidiose.
L’uomo rimase impassibile, apparentemente la pioggia sembrava non toccarlo, anche se la sua intensità aumentava con il passare dei minuti e lei era già in ritardo.

Egli si guardò attorno, pian piano i passanti erano scomparsi, tutti frettolosamente rientrati in casa, mentre le finestre si erano chiuse all’unisono, presagendo una cospicua precipitazione.
Tuttavia l’uomo non aveva nessuna intenzione di spostarsi, temeva che lei avrebbe potuto non vederlo; non gli importava di essere senza ombrello, di non avere nemmeno un cappello che gli riparasse la testa, al massimo avrebbe preso un bel raffreddore.
Intanto ella non arrivava, il suo ritardo si faceva considerevole, così egli diede un’occhiata all’orologio, accorgendosi che si era fermato, probabilmente a causa della pioggia.
Ormai tra il cielo e la terra pareva non esserci alcuna differenza, il buio avvolgeva ogni cosa, trafitto solamente dalle precise quanto insistenti gocce di pioggia.
Davanti a lui l’unico lampione ancora acceso, emanava una luce fioca, quasi si dovesse piegare da un momento all’altro, stanco di illuminare un posto così buio.

Egli si toccò i vestiti appesantiti dall’acqua, e pensò che se avesse dovuto aspettare ancora molto a lungo, forse il suo corpo si sarebbe sciolto, diventando liquido anch’esso, e risucchiato da chissà quale fogna: così lei non l’avrebbe mai trovato.
In fondo si trattava soltanto di una pioggia innocua, ma se ogni goccia fosse stata appuntita come uno spillo, allora egli avrebbe iniziato a sanguinare da migliaia di minuscoli buchi, per morire in pochi istanti.
Si sforzò di mettere da parte tali strani pensieri, promettendosi che in ogni caso avrebbe resistito, senza cedere in alcun modo, aspettando fino a quando la pioggia non si fosse stancata di cadere.
Invece essa sembrava non avere intenzione di smettere, anzi all’improvviso si era fatta alquanto rumorosa, fino a diventare praticamente insopportabile.
Ad un certo punto l’uomo si tappò le orecchie, imprecando verso il cielo, ormai indefinibile, visto che anche l’ultimo lampione rimasto acceso si era spento.

Anche se lei gli aveva assicurato che sarebbe arrivata al tramonto, le sue speranze subirono un altro duro colpo:
infatti una inaspettata ondata d’acqua, giunta da chissà dove, lo trascinò in terra, sbattendolo senza pietà da una parte all’altra della strada.
Tuttavia con un disperato tentativo, l’uomo riuscì ad aggrapparsi ad un lampione, che abbracciò con tutte le forze rimaste.
L’acqua gli schiaffeggiava la faccia, ma egli non avrebbe mollato a costo di affogare, finché i suoi occhi non videro un raggio di sole tagliare di nuovo il cielo.
Allora si alzò di scatto, notando che la pioggia si stava ormai facendo da parte, quasi si fosse convinta di non poterlo battere.
Pochi istanti dopo, egli sentì dei passi farsi sempre più vicini, così cercò di sistemarsi nel miglior modo possibile, certo che l’attesa fosse finalmente giunta alla fine.
Quando ella arrivò, subito gli coprì la testa con un ombrello, gli diede un lungo bacio sulla bocca infreddolita, quasi volesse farsi perdonare per il lungo ritardo, e poi gli chiese:
“Stai aspettando da molto?”
Egli, abbozzando un sorriso, e passandosi una mano tra i capelli fradici, rispose:
“Non preoccuparti, la pioggia mi ha tenuto compagnia per tutto il tempo…”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’amore senza età


L’amore senza età

 

Erano circa le ore 8:30, quando un anziano signore ottantenne è arrivato per rimuovere dei punti di sutura dal pollice della mano.
Egli ha dichiarato che aveva fretta dato che aveva un appuntamento alle ore 9.00.
Ho verificato i suoi segni vitali e l’ho fatto accomodare.
Sapevo che ci sarebbe voluto più di un’ora prima che qualcuno potesse occuparsi di lui.
L’ho visto controllare l’orologio con ansia e ho deciso di controllare la sua ferita perché non ero occupato con un altro paziente.
La ferita era guarita bene.

Quindi, ho parlato con uno dei medici per rimuovere i punti di sutura.
Abbiamo iniziato a conversare mentre mi prendevo cura della sua ferita.
Gli ho chiesto se avesse un altro appuntamento medico dopo, dato che aveva molta fretta.
Il signore mi ha detto di no e ha risposto che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie.
Mi ha detto che sua moglie si trovava nella casa di cura da un po’ di tempo, poiché era affetta dal morbo di Alzheimer.
Gli ho chiesto se la moglie si sarebbe preoccupata se fosse stato un po’ in ritardo.
Mi ha risposto che lei non lo riconosceva più già da cinque anni.

Allora, ho esclamato:
“E ancora vai ogni mattina, anche se lei non sa chi sei?”
Lui ha sorriso, mi ha accarezzato la mano e ha detto:
“Lei non mi conosce, ma io so ancora chi è!”
Ho dovuto trattenere le lacrime.
Ho avuto la pelle d’oca, e ho pensato:
“Questo è il genere di amore che voglio nella mia vita.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Pane (Come avrei voluto il Mondo)

Il Pane (Come avrei voluto il Mondo)

Ho capito esattamente come avrei voluto il mondo quella volta in cui da piccolino mia madre mi scrisse sulla mano pane e mi disse:
“Esci e torna solo quando avrai trovato quello che ti ho scritto sulla mano.”
Facile, pensai.
Vado fino al forno che è all’angolo della via e torno
Mentre camminavo vidi una coppia di vecchietti litigare tra loro ma non mi fermai perché avevo troppa fretta di prendere il pane e tornare a casa.
Arrivai nel negozio e chiesi del pane, la commessa abbastanza turbata mi chiese che tipo e quanto:
“Ragazzino mica puoi venire fin qui se non mi sai dire nemmeno quello che vuoi!”
Tornai a casa quel primo giorno senza pane e molto triste.

Mia madre sorrideva ed io non capii.
Il secondo giorno mi disse:
“Adesso ci riproviamo!” e mi scrisse di nuovo pane.
Inquieto nel voler risolvere la pratica, le stavo per chiedere cosa, quanto.
Ma lei con voce amorevole aggiunse:
“Decidi tu!”
Corsi al panificio e nonostante lungo la strada mi accorsi di una bella ragazzina con i capelli biondi che piangeva triste all’angolo della via, non mi fermai!

Quel giorno presi del pane a caso.
Era decisamente troppo e non del tipo che mangiavamo noi di solito.
Così decisi di prendermi un giorno e fare il furbetto.
La sera avrei osservato che tipo di pane mamma aveva preso e in che quantità, così finalmente sarei riuscito a portare a tavola il pane giusto.
Quel pomeriggio uscii e camminando per la solita strada vidi la coppia di anziani del primo giorno, mi fermarono e mi dissero che avevano fatto pace dopo avermi visto passare qualche giorno prima, perché gli avevo ricordato il loro figlio da piccolino:
“Sai, ora è in missione di pace.
Ma noi la chiamiamo guerra.”
Poi rividi quella splendida ragazzina.
Le sorrisi.
Lei sorrise a me.
E ci fermammo a parlare.

“Piangevo perché i miei nonni si stavano facendo la guerra.” mi disse.
“Non facevano la guerra, litigavano.” le dissi
“Si comincia non capendo le piccole cose dell’altro, di chi ti è tanto vicino, e si continua facendo la guerra a chi non conosci solo perché non lo conosci ed è diverso da te.” aggiunse.
Mi sembrò così grande in quel momento.
Le chiesi se le andava di venire a cena da noi.
Lei mi disse… sì.
La sera intorno alla mia tavola, apparecchiata in giardino come tutte le nostre sere d’estate, con la mia bellissima nuova amica e con il pane caldo che mamma aveva comprato mi sentivo finalmente felice.

Mamma mi sorrise e mi disse:
“Finalmente sei tornato con quello che ti avevo chiesto!”
Mi guardai la mano.
C’era scritto:
“Pace” e non pane come avevo pensato fino a quel momento!
Sì.
Ho capito esattamente come avrei voluto il mondo, quella sera d’estate…

Brano di Sara Cicolani

Riferimento sito web https://saracicolanipoesia.blogspot.it/2016/08/il-pane.html

Non esiste una persona giusta per noi


Non esiste una persona giusta per noi

Esiste una persona che, se ti fermi un attimo a pensare, è in realtà la persona sbagliata.
Perché la persona giusta fa tutto giusto, arriva puntuale, dice le cose giuste, fa le cose giuste, ma non abbiamo sempre bisogno delle cose giuste.
La persona sbagliata ti fa perdere la testa, fare pazzie, scappare il tempo, morire d’amore.
Verrà il giorno in cui la persona sbagliata non ti cercherà e sarà proprio in quel momento in cui vi incontrerete che il vostro donarsi l’un l’altra sarà più vero.
La persona sbagliata è, in realtà, quello che la gente definisce una persona giusta.
Quella persona ti farà piangere, ma un’ora dopo ti asciugherà le lacrime.
Quella persona ti farà perdere il sonno, ma ti darà in cambio una notte d’amore indimenticabile.

Quella persona forse ti ferisce e dopo ti riempie di gentilezze chiedendo il tuo perdono.
Quella persona potrà anche non essere sempre al tuo fianco ma ti penserà.
E’ bene che ci sia una persona sbagliata per ognuno di noi perché la vita non è sicura, niente qui è sicuro, quello che è sicuro è che dobbiamo vivere ogni momento, ogni secondo, amando, sorridendo, piangendo, emozionando, pensando, agendo, desiderando.

Brano tratto dalla poesia “La persona sbagliata.” di Luis Fernando Verissimo

La storia del Destino che unisce due giovani con un Filo Rosso

La storia del Destino che unisce due giovani con un Filo Rosso

C’era una volta un ragazzino che studiava per diventare un funzionario statale.
Anticamente per poterlo diventare, bisognava sostenere degli esami piuttosto pesanti.
Durante una passeggiata solitaria, per rilassarsi dallo studio, vide sulla riva di un fiume un vecchio con la barba e i capelli bianchi che ripetutamente, dopo aver preso due sassi da terra, li univa insieme con un doppio giro di filo rosso e scriveva due nomi su un grande registro.
Il ragazzino incuriosito si avvicinò, e chiese al vecchio cosa stesse facendo.
Questi gli disse che stava decidendo le coppie che poi si sarebbero in futuro sposate.
Il ragazzino chiese allora se anche a lui avesse già assegnato una sposa.

Il vecchio gli rispose di sì, e alle pressanti richieste dello studente gli indicò la ragazzina che viveva con la madre in fondo alla strada al limite del paese.
Il ragazzino, curioso di sapere come ella fosse corse a vedere la sposa a lui destinata, ma quando la vide rimase alquanto deluso perché gli sembrava piuttosto brutta, e preso dall’ira raccolse un sasso e lo lanciò con forza contro la ragazzina.
Quando la vide stramazzare al suolo, fuggì via e dopo aver vagato per ore nel bosco decise, per evitare di rendere conto alla giustizia dell’accaduto, di trasferirsi da parenti che aveva ed abitavano molto lontano.
Lì trascorse alcuni anni a studiare per finire la sua preparazione per gli esami.
Finalmente venne il giorno in cui li superò brillantemente.
I parenti allora gli suggerirono che, poiché era giovane e non aveva più da preoccuparsi per il futuro, era il momento adatto per lui di prendere moglie.

Se lui fosse stato d’accordo, loro avrebbero potuto presentargli una giovane donna di buona famiglia, molto bella ed istruita che, essendole morta da poco la madre con cui viveva, era stata accolta da dei parenti che abitavano lì vicino.
Lui si dichiarò d’accordo e fu portato a conoscere questa giovane donna.
Fu un amore a prima vista per entrambi, tanto che si sposarono dopo brevissimo tempo.
La sera delle nozze, accarezzando la moglie lui si accorse che sotto i capelli lei aveva una lunga cicatrice sulla tempia e gliene chiese la ragione.
Lei gli rispose che anni prima, uno stupido ragazzino, senza alcuna ragione le aveva lanciato un sasso che l’aveva colpita alla tempia facendola cadere a terra come morta.
Lui si gettò allora in ginocchio ai suoi piedi chiedendole perdono, perché lo stupido ragazzino era stato lui.
Perdono che naturalmente ottenne pienamente.

Leggenda popolare Giapponese.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Piccolo Principe e la volpe

Il Piccolo Principe e la volpe

In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno.” disse la volpe.
“Buon giorno.” rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui,” disse la voce, “sotto al melo!”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, “Sei molto carina…”
“Sono una volpe!” disse la volpe.
“Vieni a giocare con me,” le propose il piccolo principe, “sono così triste!”
“Non posso giocare con te,” disse la volpe, “non sono addomesticata!”
“Ah! Scusa.” replicò il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire addomesticare?”
“Non sei di queste parti, tu,” disse la volpe “che cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini.” disse il piccolo principe “Che cosa vuol dire addomesticare?”

“Gli uomini,” disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano.
È molto noioso!
Allevano anche delle galline.
È il loro solo interesse.
Tu cerchi delle galline?”
“No!” disse il piccolo principe “Cerco degli amici.
Che cosa vuol dire addomesticare?”
“È una cosa da molto dimenticata.
Vuol dire creare dei legami!”
“Creare dei legami?” chiese sorpreso il piccolo principe.

“Certo!” disse la volpe “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini.
E non ho bisogno di te.
E neppure tu hai bisogno di me.
Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi.
Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro.
Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”
“Comincio a capire…” disse il piccolo principe “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato!”
“È possibile!” disse la volpe “Capita di tutto sulla Terra!”
“Oh! non è sulla Terra.” disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa.

“Su un altro pianeta?”
“Sì.”
“Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
“No.”
“Questo mi interessa! E delle galline?”
“No.”
“Non c’è niente di perfetto!” sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea:
“La mia vita è monotona.
Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me.
Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano.
E io mi annoio perciò.
Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.

Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri.
Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.
E poi, guarda!
Vedi laggiù, in fondo, dei campi di grano?
Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile.
I campi di grano non mi ricordano nulla.
E questo è triste!
Ma tu hai dei capelli color dell’oro.
Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata.

Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te.
E amerò il rumore del vento nel grano!”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami!” disse.
“Volentieri,” rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però.
Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose.”

“Non si conoscono che le cose che si addomesticano!” disse la volpe, “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla.
Comprano dai mercanti le cose già fatte.
Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici.
Se tu vuoi un amico, addomesticami!”
“Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti!” rispose la volpe, “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba.
Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla.
Le parole sono una fonte di malintesi.
Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”

Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora.” disse la volpe, “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice.
Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e a inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.
Ci vogliono i riti!”
“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata.” disse la volpe, “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.
C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori.

Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio.
Allora il giovedì è un giorno meraviglioso!
Io mi spingo sino alla vigna.
Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza.”
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe “… piangerò!”

“La colpa è tua,” disse il piccolo principe, “io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi!”
“È vero!” disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“Sicuramente!” disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?” domandò il piccolo principe.
“Ci guadagno,” disse la volpe, “il colore del grano.”
Poi aggiunse:
“Va’ a rivedere le rose.
Capirai che la tua è unica al mondo.
Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto.”

Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente!” disse, “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno.
Voi siete come era la mia volpe.
Non era che una volpe uguale a centomila altre.
Ma ne ho fatto il mio amico e ora è per me unica al mondo.”
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote.” disse ancora, “Non si può morire per voi.
Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiato.
Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro.
Perché è lei che ho riparata col paravento.

Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre affinché divenissero farfalle).

Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere.
Perché è la mia rosa.”
E ritornò dalla volpe.
“Addio.” disse.
“Addio.” disse la volpe, “Ecco il mio segreto.
È molto semplice:
Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”
“L’essenziale è invisibile agli occhi!” ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.”
“È il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità.
Ma tu non la devi dimenticare.
Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato.
Tu sei responsabile della tua rosa!”
“Io sono responsabile della mia rosa.” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

Brano tratto dal libro “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry

Il Piccolo Principe e la rosa


Il Piccolo Principe e la rosa

“Ti amo!” disse il Piccolo Principe.
“Anche io ti voglio bene.” rispose la rosa.
“Ma non è la stessa cosa.” rispose lui, “Voler bene significa prendere possesso di qualcosa, di qualcuno.
Significa cercare negli altri ciò che riempie le aspettative personali di affetto, di compagnia.
Voler bene significa rendere nostro ciò che non ci appartiene, desiderare qualcosa per completarci, perché sentiamo che ci manca qualcosa.
Voler bene significa sperare, attaccarsi alle cose e alle persone a seconda delle nostre necessità.

E se non siamo ricambiati, soffriamo.

Quando la persona a cui vogliamo bene non ci corrisponde, ci sentiamo frustrati e delusi.
Se vogliamo bene a qualcuno, abbiamo alcune aspettative.
Se l’altra persona non ci dà quello che ci aspettiamo, stiamo male.
Il problema è che c’è un’alta probabilità che l’altro sia spinto ad agire in modo diverso da come vorremmo, perché non siamo tutti uguali.
Ogni essere umano è un universo a sé stante.
Amare significa desiderare il meglio dell’altro, anche quando le motivazioni sono diverse.
Amare è permettere all’altro di essere felice, anche quando il suo cammino è diverso dal nostro.
È un sentimento disinteressato che nasce dalla volontà di donarsi, di offrirsi completamente dal profondo del cuore.

Per questo, l’amore non sarà mai fonte di sofferenza.

Quando una persona dice di aver sofferto per amore, in realtà ha sofferto per aver voluto bene.
Si soffre a causa degli attaccamenti.
Se si ama davvero, non si può stare male, perché non ci si aspetta nulla dall’altro.
Quando amiamo, ci offriamo totalmente senza chiedere niente in cambio, per il puro e semplice piacere di “dare.”
Ma è chiaro che questo offrirsi e regalarsi in maniera disinteressata può avere luogo solo se c’è conoscenza.
Possiamo amare qualcuno solo quando lo conosciamo davvero, perché amare significa fare un salto nel vuoto, affidare la propria vita e la propria anima.
E l’anima non si può indennizzare.
Conoscersi significa sapere quali sono le gioie dell’altro, qual è la sua pace, quali sono le sue ire, le sue lotte e i suoi errori.
Perché l’amore va oltre la rabbia, la lotta e gli errori e non è presente solo nei momenti allegri.
Amare significa confidare pienamente nel fatto che l’altro ci sarà sempre, qualsiasi cosa accada, perché non ci deve niente:
non si tratta di un nostro egoistico possedimento, bensì di una silenziosa compagnia.

Amare significa che non cambieremo né con il tempo né con le tormente né con gli inverni.

Amare è attribuire all’altro un posto nel nostro cuore affinché ci resti in qualità di partner, padre, madre, fratello, figlio, amico; è sapere che anche nel cuore dell’altro c’è un posto speciale per noi.
Dare amore non ne esaurisce la quantità, anzi, la aumenta.
E per ricambiare tutto quell’amore, bisogna aprire il cuore e lasciarsi amare.”
“Adesso ho capito!” rispose la rosa dopo una lunga pausa.
“Il meglio è viverlo.” le consigliò il Piccolo Principe.

Brano tratto dal libro “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry

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