Il filo d’oro

Il filo d’oro

Massimo era un ragazzino davvero strano:
gli piaceva tantissimo sognare ad occhi aperti.
Soprattutto a scuola, quando la lezione non gli interessava molto.
Il maestro, che lo considerava intelligente ma svogliato, gli chiese un giorno, un po’ seccato:
“A cosa stai pensando, Massimo?
Perché non stai attento?”
“Sto cercando di immaginare cosa farò da grande!” rispose il ragazzino.
“Oh, non è una bella cosa!” replicò il maestro, “Cerca di godere quest’età meravigliosa e spensierata e spera che gli anni della giovinezza scorrano lentamente!”
Massimo non riusciva a capire le parole del maestro.

A lui non piaceva aspettare.

Infatti, quando era inverno e pattinava sul ghiaccio, non vedeva l’ora che arrivasse l’estate per poter nuotare; quando poi arrivava la tanto sospirata estate, desiderava l’autunno per poter giocare con il suo aquilone sul grande prato dei giardini pubblici.
Insomma, se qualcuno chiedeva a Massimo quale fosse la cosa che più desiderasse al mondo, riceveva una risposta ben precisa:
“Io vorrei che il tempo passasse in fretta…”
Un giorno d’estate, Massimo si fermò a riposare dopo una corsa sulla panchina del parco.
All’improvviso si sentì chiamare:
si voltò di scatto e vide una vecchietta che lo osservava con dolcezza.
La vecchietta mostrò al ragazzo una scatoletta d’argento con un forellino da cui usciva un filo d’oro e gli disse:
“Guarda, Massimo.
Questo filo sottile è il filo della tua vita.
Se proprio desideri che il tempo per te trascorra velocemente, non devi far altro che tirare un po’ il filo.
Un piccolissimo pezzo di filo corrisponde ad un’ora di vita.
Soltanto, ricordati di non dire a nessuno che possiedi questa scatoletta, altrimenti morirai il giorno stesso!

Tienila, e buona fortuna!”

La vecchietta consegnò al ragazzo la scatoletta e scomparve.
Massimo, tornò a casa, saltellando, con la scatoletta in tasca.
Il giorno dopo, a scuola, il maestro si accorse che Massimo era più distratto del solito e gli fece una bella lavata di capo:
“Ecco!
Sei sempre con la testa fra le nuvole!
Finirai bocciato, te lo posso garantire, se continui così…”
Massimo era veramente stanco di sentir predicozzi e pensò di usare il filo per accorciare le giornate di scuola.
In pratica quasi ogni mattina, tirava un pezzettino di filo e così, appena entrato in classe, sentiva la voce del maestro che diceva:
“Le lezioni sono finite.
Potete andare a casa!”
Il ragazzo era felicissimo:
la vita era un susseguirsi di giornate di vacanza e di giochi all’aria aperta.
Trascorsi un po’ di giorni, però, Massimo cominciò ad annoiarsi e pensò:

“Oh, come sarebbe bello aver già finito la scuola e poter lavorare!”

Una notte in cui non riusciva ad addormentarsi, Massimo decise di dare una bella tiratina al filo e così, la mattina seguente, si svegliò che aveva i baffi, faceva l’ingegnere e aveva messo su una bella fabbrica.
Era molto felice del suo mestiere e per un po’ tirò il filo con moderazione, giusto solo per far arrivare in fretta i soldi a fine mese.
Un giorno, però, un particolare turbò Massimo per un momento:
la sua mamma era invecchiata, aveva già molti capelli grigi.
Si pentì di aver tirato così spesso il filo magico e promise a se stesso che, ora che era grande, non l’avrebbe fatto più.
“Sembra anche a te che tutto sia passato in un soffio?” gli chiedeva la mamma.
Massimo non poteva rispondere e si sentiva molto triste.
Un giorno che sonnecchiava nel parco, sulla solita panchina, il vecchio Massimo si sentì chiamare.
Aprì gli occhi e vide la vecchina che, tanti e tanti anni prima, gli aveva regalato la scatoletta con il filo magico.

“Allora Massimo, com’è andata?

Il filo magico ti ha procurato una vita felice, secondo i tuoi desideri?” gli chiese.
“Non saprei…
Grazie a quel filo non ho mai dovuto attendere o soffrire troppo nella mia vita, ma ora mi accorgo che è passato tutto così in fretta ed eccomi qui, vecchio e debole…” spiegò lui.
“Ah, sì?” disse la vecchina, “E che cosa vorresti, allora?”
“Vorrei tornare ragazzino!” esclamò disse Massimo con un po’ di vergogna, “E poter rivivere la mia vita senza il filo magico.
Vivere come tutte le altre persone e accettare tutto quello che la vita mi riserva, senza più essere impaziente!”
“Lo desideri davvero?” domandò allora l’anziana signora.
“Sì!” disse Massimo senza esitare un attimo, “Quello che ho passato in questi anni mi è servito di lezione e sono sicuro che non ricadrei più negli stessi errori!”
“Se è così, sono davvero felice.
Vedrai che ora gusterai di più la vita e sarai in grado di apprezzarne anche i momenti di fatica e di sconforto che senz’altro incontrerai nel tuo cammino.
Ora non ti resta che restituirmi la scatoletta e…

Buona fortuna, Massimo!”

Appena Massimo pose nella mano della vecchina la scatoletta, cadde in un sonno profondo.
“Ehi, dormiglione!
Sveglia!”
Massimo aprì gli occhi e si trovò nel suo letto, con la mamma (giovane e bella) che lo guardava dolcemente.
Corse allo specchio e vide il suo solito volto paffuto da ragazzino.
Baciò e abbracciò la mamma come fossero cent’anni che non la vedeva più.
Si lavò e si vestì in un baleno, mangiò la colazione come un fulmine e partì per la scuola.
Per la strada incontrò Marta, che era anche lei la solita bambina bionda.
La prese per mano e mentre correvano sul marciapiede le disse:
“Ho un sacco di cose da raccontarti…
Ma tu lo sapevi che la nostra età è la più bella?”

Brano senza Autore

Il ritorno dei fiori

Il ritorno dei fiori

Siccome non riusciva più ad accettare la cattiveria degli uomini, il più potente dei maghi aveva lasciato la regione per andare a vivere sulla vetta di un’alta montagna.
Dal giorno della sua partenza, tutti i fiori della prateria, quelli che spuntano sulle colline e nei boschi, quelli che fioriscono sui bordi dei fiumi, sulle rive dei laghi e del mare, appassirono e morirono.
Nessuno sopravvisse.
Il paese divenne un deserto, perché dopo la morte dei fiori, gli uccelli, le farfalle, le api e tutti gli insetti fuggirono lontano.
I vecchi abitanti della regione raccontavano ai bambini la bellezza dei fiori e degli insetti, ma i bambini non ci credevano.

“Sono soltanto storie!” dicevano.

Solo il figlio di una povera vedova credeva che esistessero ancora, da qualche parte, fiori e insetti.
E quando la mamma taceva, reclamava ancora un’altra storia, perché voleva sentir parlare della bellezza dei fiori.
“Ah!” diceva, “Quando sarò grande, andrò a cercare il mago per chiedergli di ridarci i fiori.”
Quando fu cresciuto, la sua passione per i fiori era sempre più forte.
Allora disse alla madre:
“Ho deciso: parto per cercare il mago e domandargli di ridarci i fiori!”
Sua madre, all’inizio si rifiutò di credergli.
“Figlio mio!
Io ti ho raccontato solo delle storie!
Ho sentito mia madre raccontarle, perché le aveva sentite da sua madre.
Ma non bisogna credere a queste storie!
Probabilmente i fiori non sono mai esistiti.
E quanto al mago, nessuno potrà mai ritrovarlo.
La montagna su cui vive è la più alta di tutte le montagne!”
Ma il giovane non la ascoltò neppure e un bel mattino partì.
La gente del paese che lo guardava allontanarsi sorrideva ironicamente.
“È proprio matto!” dicevano, “Bisogna essere pazzi per credere a queste storie!”

E i suoi amici lo prendevano in giro.

Il giovane si diresse a nord.
Camminò per tanto e tanto tempo.
Alla fine arrivò ai piedi di una montagna, così alta, ma così alta che non si intravedeva la cima.
Non si perse di coraggio.
Girò intorno alla montagna, ma non vide nessun sentiero, solo rocce ripide e levigate.
Per tre volte, lentamente, ripercorse la base della montagna.
“Se il mago ha trovato un modo per salire, lo troverò anch’io!” si diceva.
Dopo aver scrutato attentamente ogni più piccolo appiglio, si accorse che ad un certo punto una roccia aveva un’attaccatura, che formava come un minuscolo gradino.
Guardò meglio e poco più in alto ne scoprì un altro.
Si allontanò un po’ e vide che sulla parete della montagna era tracciata una scala che saliva a spirale.
Prese a salire, pieno di entusiasmo, senza mai voltarsi indietro perché aveva paura delle vertigini.
Dopo il primo giorno, la vetta della montagna non si vedeva ancora.

Neppure dopo il secondo e il terzo giorno.

Le forze cominciavano ad abbandonarlo quando, il quarto giorno, si rese conto tutto d’un colpo che la vetta era vicina e, al calar della notte, finalmente, riuscì a raggiungerla.
Poco sotto le rocce della cima gorgogliava una sorgente.
Stremato e assetato, il giovane s’inchinò e bevve l’acqua fresca.
Appena le sue labbra assaggiarono l’acqua tutta la sua stanchezza scomparve.
Si sentì rinvigorito e più forte che mai.
In quel momento, sentì una voce che gli chiedeva che cosa era venuto a cercare.
“Sono venuto,” rispose il giovane, “per chiedere al grande mago di ridarci i fiori e gli insetti.
Un paese senza fiori, senza uccelli e senza api, è triste e senza gioia.
Sono sicuro che gli abitanti del mio paese la farebbero finita con tutta la loro cattiveria se il mago ridonasse loro i fiori.”
Allora il giovane fu sollevato da mani invisibili.
Dolcemente fu portato verso la regione dei fiori eterni, e le mani invisibili lo deposero al suolo nel bel mezzo di un tappeto di fiori di tutti i colori.
Il giovane non credeva ai suoi occhi.

Non li aveva immaginati così belli i fiori!

Un profumo delicato aleggiava nell’aria e i raggi del sole danzavano sui fiori multicolori.
La gioia del giovane fu così grande, che si mise a piangere.
Udì nuovamente la voce che gli disse di cogliere tutti i fiori che preferiva.
Si riempì le braccia di tutti i fiori che riuscì a raccogliere.
Poi le mani invisibili lo risollevarono e lo riportarono sulla cima della montagna.
Allora, la voce gli disse:
“Riporta questi fiori nel tuo paese che solo grazie alla tua fede e al tuo coraggio da questo momento non sarà mai più senza fiori.
Fioriranno dappertutto.
I venti del nord, del sud, dell’est e dell’ovest porteranno la pioggia che sarà il loro nutrimento e le api torneranno per donarvi il miele che esse ricaveranno dai fiori.”
Il giovane ringraziò e iniziò subito la discesa dalla montagna che, malgrado la quantità di fiori che portava, gli parve molto più facile della salita.
Quando gli abitanti del paese lo videro tornare con le braccia cariche di fiori, si misero a respirare il profumo e furono presi dalla voglia di cantare.
Non riuscivano a credere alla loro felicità.

Quando furono certi di non sognare, dissero:

“Ah! Lo sapevamo che i fiori esistevano e che le storie dei nostri vecchi dicevano il vero!”
Il paese ridivenne un grande giardino.
Sulle colline, nelle valli, sui bordi dei fiumi e dei laghi, nei boschi, nei campi, i fiori sbocciarono e si moltiplicarono.
I venti dei quattro punti cardinali si davano il cambio per innaffiarli.
Tornarono gli uccelli e le farfalle, gli insetti ronzanti e soprattutto le api.
Finalmente la gente poté riassaggiare il miele e la gioia tornò a regnare nel paese.
Quando gli uomini videro la loro terra trasformata grazie al giovane che aveva osato ciò che nessuno aveva creduto possibile, gli chiesero di essere il loro re.
Egli accettò e divenne un re buono, coraggioso e intelligente.
“Ricordiamoci sempre,” diceva, “che era stata la cattiveria degli uomini a provocare la scomparsa dei fiori dal nostro paese.”
E siccome nessuno voleva ricominciare ad abitare in un deserto ed essere privato del miele, si sforzavano tutti di essere più buoni che mai.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La fontana vicino al lago

La fontana vicino al lago

Il lago, limpido e silenzioso, aveva trascorso anni a rimirare la splendida fontana che sorgeva sulle sue rive e ad invidiare le belle forme che creava ed i suoni che, ininterrottamente, produceva.
“Quant’è piena di vita!
Quant’è vivace!
Non riposa mai:
non è mai stanca!
È sempre così viva!
Quanto vorrei essere una fontana!” pensava, “Quanto vorrei poter vivere la sua vita:

così varia e interessante!

Quante volte ho udito la gente meravigliarsi ed entusiasmarsi dei suoi giochi d’acqua!
Quando giungono sulle mie rive si limitano a passarmi davanti, in silenzio!
A volte qualche coppia se ne sta lì, mano nella mano:
ma non so bene il perché…
Altri, seduti sui prati o su una panchina, fissano il paesaggio statico e monotono che offro!
Quanto vorrei essere una fontana!
Ma, purtroppo, sono un lago e neppure dei più belli:
non sono particolarmente profondo, né grande, né suggestivo!
Sono così insignificante!”

Da anni, allo stesso modo, la fontana osservava il lago, limpido e silenzioso, e lo invidiava immensamente.

“Quant’è calmo!” pensava, “Guardatelo:

non cerca di impressionare nessuno!
Le sue acque non corrono, non si agitano!
Non gli servono acrobazie!
Io, invece, ho un bisogno compulsivo dell’attenzione altrui.
Faccio di tutto per attirare la gente, ma sono così stanca!
Quant’è felice, invece, il lago!
La gente passeggia sulle sue rive senza che lui debba intrattenere nessuno:
si siede sul prato e si gode il placido sciabordio delle sue piccole onde.
Un lago non fatica, non pena!
Se io smettessi di far tutti i miei giochi, chi verrebbe più a vedermi?
Niente è più patetico dello spettacolo di una fontana ferma e muta.
Ah, quanto vorrei essere un lago silenzioso e placido!
Darei qualunque cosa per cambiare la mia sorte con la sua, anche per poco!”

Accettare la propria vita non significa dire:

“Va tutto bene!”
Ma:
“C’è tutto!
C’è già tutto quello che può rendermi felice e realizzato!”

Brano senza Autore

Quello che va in giro torna

Quello che va in giro torna
(Alexander Fleming e Winston Churchill)

Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese.
Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d’aiuto venire da una palude vicina.
Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude.
Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c’era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
Il fattore Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile.

Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese;

ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato.
“Vorrei ripagarvi.” gli disse il gentiluomo, “avete salvato la vita di mio figlio!”
“Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto!” replicò il contadino scozzese rifiutando l’offerta.
In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola.
“È vostro figlio?” chiese il gentiluomo.
“Si!” rispose il padre orgoglioso.

“Vi propongo un patto:

lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio.
Se il ragazzo somiglia al padre, non c’è dubbio che diventerà un uomo di cui entrambi saremo orgogliosi!”
E così accadde.
Il figlio del fattore Fleming frequentò le migliori scuole dell’epoca, si laureò presso la scuola medica dell’ospedale St.Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite.

Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita.

Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio sir Winston Churchill.
Qualcuno una volta ha detto:
quello che va in giro torna.
Lavorate come se non aveste bisogno di danaro, amate come se non foste mai stati feriti, danzate come se nessuno stesse a guardare, cantate come se nessuno stesse a sentire, vivete come se in terra ci fosse il paradiso.

Leggenda Inglese.
Brano senza Autore.

I Re Magi dimenticati

I Re Magi dimenticati

I ragazzi dell’oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale.
Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe.
C’era una particina perfino per il bue e l’asino.
Avevano distribuito le parti.
Tutti volevano fare Giuseppe e Maria.
Nessuno voleva fare la parte dell’asino.
Avevano così deciso di travestire da asino il cane di Lucia.

Era abbastanza grosso e pacifico:

con le orecchie posticce faceva un asinello passabile.
Purché non sì fosse messo ad abbaiare in piena scena…
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò:
“Avete dimenticato i Re Magi!”
Enzo, il regista, si mise le mani nei capelli.
Mancava solo un giorno alla rappresentazione.
Dove trovare tre Re Magi così su due piedi?
Fu don Pasquale, il vice parroco, a trovare una soluzione.
“Cerchiamo tre persone della parrocchia.” disse, “Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengano con i loro abiti di tutti i giorni e portino un dono a Gesù Bambino.
Un dono a loro scelta.
Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono.”

La squadra dei ragazzi si mise in moto.

Nel giro di due ore, erano stati trovati i tre Re Magi.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito.
Il cane-asino si addormentò e la barba di san Giuseppe non si staccò.
Senza che nessuno lo potesse prevedere, però, l’entrata in scena dei tre Re Magi divenne il momento più commovente della serata.
Il primo Re era un uomo di cinquant’anni, padre di cinque figli, impiegato del municipio.
Portava in mano una stampella.
La posò accanto alla culla del Bambino Gesù e disse:
“Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d’auto.
Uno scontro frontale.
Fui ricoverato all’ospedale con parecchie fratture.

I medici erano pessimisti sul mio recupero.

Nessuno azzardava un pronostico.
Da quel momento incominciai ad essere felice e riconoscente per ogni più piccolo progresso:
poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via.
Quei mesi in ospedale mi cambiarono.
Sono diventato un umile scopritore di quanto sia bello ciò che possiedo.
Sono riconoscente e felice per le cose piccole e quotidiane di cui prima non mi accorgevo.
Porto questa stampella a Gesù Bambino in segno di riconoscenza.”
Il secondo Re era una “Regina,” madre di due figli.
Portava un catechismo.
Lo posò accanto alla culla del Bambino e disse:
“Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata.
Poi i ragazzi sono cresciuti e ho incominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi.
Chiesi al parroco di fare catechismo ai bambini.
Così ridiedi un senso a tutta la mia vita.

Mi sento come un apostolo, un profeta:

aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un’attività che mi appassiona.
Sento di nuovo di essere importante.”
Il terzo Re era un giovane.
Portava un foglio bianco.
Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse:
“Mi chiedevo se fosse il caso di accettare questa parte.
Non sapevo proprio che cosa dire, né che cosa portare.
Le mie mani sono vuote.
Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la mia vita.
Dentro di me si ammucchiano inquietudini, domande, attese, errori, dubbi.
Non ho niente da presentare.
Il mio futuro mi sembra così vago.
Ti offro questo foglio bianco, Bambino Gesù.
Io so che sei venuto per portarci speranze nuove.
Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita.
Ora che ci sei tu, tutto cambierà!”

Brano tratto dal libro “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La pace verrà… se…

La pace verrà… se…
La pace verrà… se…

… tu credi che un sorriso è più forte di un’arma.
… tu credi alla forza di una mano tesa.
… tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide.
… tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo.
… tu sai scegliere tra la speranza o il timore.
… tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora …

La pace verrà… se…

… lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore.
… tu sai gioire della gioia del tuo vicino.
… l’ingiustizia che colpisce gli altri ti rivolta come quella che subisci tu.
… per te lo straniero che incontri è un fratello.
… tu sai donare gratuitamente un po’ del tuo tempo per amore.
… tu sai accettare che un altro ti renda un servizio.
… tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora …

La pace verrà… se…

… tu credi che il perdono ha più valore della vendetta.
… tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria.
… tu sai accogliere il misero che ti fa perdere tempo e guardarlo con dolcezza.
… tu sai accogliere e accettare un fare diverso dal tuo.
… tu credi che la pace è possibile, allora …

La pace verrà!

Poesia di Charles de Foucauld

La ragazza ed il barbone

La ragazza ed il barbone

Un giorno, mentre passeggiava per strada, una ragazza notò un barbone che cantava in cambio di qualche monetina.
Non ci fece troppo caso ed entrò in una caffetteria.
Qualche minuto dopo aver presto posto ed aver ordinato, vide entrare il barbone.
Questi iniziò a contare le monetine, vicino a lei, ma con le offerte ricevute aveva raccolto solo poco più di un euro.

Titubante e deluso si avviò verso l’uscita,

ma la ragazza, avendo assistito a tutta la scena, impulsivamente, decise di offrigli un caffè ed un bel panino.
Il barbone indeciso se accettare o meno si convinse solamente quando la stessa ragazza lo invitò al suo tavolo.
Nonostante fosse rimasto sorpreso e combattuto dalla proposta si sedersi con lei, alla fine la raggiunse.
Iniziarono a parlare ed il barbone le fece diverse confidenze.
Le raccontò che la maggior parte delle volte le persone erano cattive nei suoi confronti,

solo per il fatto che vivesse per strada.

Le ammise anche che furono le droghe a farlo finire per la strada e che per questo si odiava.
Lui continuava a sognare di essere il figlio del quale la propria madre possa essere orgogliosa, nonostante la donna fosse morta per un tumore diversi anni prima.
I due parlarono per più di un’ora, ma ad un certo punto la ragazza si rese conto che il tempo era trascorso in fretta e che si era fatto molto tardi.
Nel momento in cui la ragazza stava per alzarsi, il barbone le chiese di aspettare solo un momento e si mise a scrivere qualcosa su un foglietto tutto spiegazzato.
Le diede il foglio di carta in mano e le chiese scusa per la sua brutta lettera, poi si salutarono.
Quando la ragazza aprì il biglietto capì di aver fatto qualcosa di molto più importante che offrire un semplice pasto ad un mendicante.

Sul foglietto c’era scritto:

“Mi sarei voluto suicidare oggi, ma grazie a te non lo voglio più fare.
Grazie bella persona.”
A volte un gesto generoso o solamente un sorriso possono fare la differenza, più di quanto possiamo immaginare.

Storia vera, liberamente ispirata al racconto autobiografico di Casey Fisher

Bisogna accettare ciò che la vita ci offre

Bisogna accettare ciò che la vita ci offre

Nei giorni scorsi, mentre stavo leggendo un trafiletto di giornale, ricevetti una telefonata da una vecchia amica, che non sentivo da un po’ di tempo…
Si sa, è sempre piacevole risentire una persona con cui si è percorso un tratto di strada insieme, e dopo le solite domande di rito, abbiamo iniziato a chiacchierare di quello che stava accadendo nelle nostre vite…

Tutto tranquillo, finché ad un certo punto lei esordisce con una frase del tipo: “Voi ragazzi maturate solo dopo i 27 anni…”,

legato al fatto che la sua ultima storia sentimentale era finita non proprio in maniera piacevole…
Udite queste parole, la reazione naturale sarebbe stata mandare a fare una passeggiata alla mia interlocutrice, invece, mantenendo una alquanto strana tranquillità, chiesi a questa ragazza se il suo ultimo partner fosse uno dei ragazzi che per diverso tempo le aveva fatto la corte, e naturalmente la risposta fu negativa…

La loro breve love-story era nata all’improvviso e per caso,

e per un altro assurdo motivo così era terminata, quindi a me venne naturale chiedere come mai si fosse lanciata in questa storia a scatola chiusa, e non avesse dato retta a nessuno dei suoi ammiratori precedenti…
Non sapendo cosa dire, farfugliò delle parole tipo che questo ragazzo le sembrava quello adatto, ma alla fine convenne con me che non sempre le storie non vanno o non iniziano proprio solo per colpa dei ragazzi, ma anche che le ragazze stesse nella maggior parte delle volte, non ascoltano proprio chi le vuole conoscere con le scuse più banali…

In quel momento mi ritornarono in mente le parole di un film:

“E’ la storia più vecchia del mondo: lui ama lei, ma lei ama un altro…”.
Partendo da questo presupposto qualunque discorso inizia a non aver alcun senso, ma nella vita bisogna sempre ricordare “che esistono persone che ci amano profondamente ma che non sanno come esprimere o mostrare i loro sentimenti…”

Brano di Michele Bruno Salerno
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