Dove vai?

Dove vai?

Gli insegnanti di Zen abituano i loro giovani allievi a esprimersi.
Due templi Zen avevano ciascuno un bambino che era il prediletto tra tutti.
Ogni mattina uno di questi bambini, andando a comprare le verdure, incontrava l’altro per la strada.

“Dove vai?” domandò il primo.

“Vado dove vanno i miei piedi!” rispose l’altro.
Questa risposta lasciò confuso il primo bambino, che andò a chiedere aiuto al suo maestro.
“Quando domattina incontrerai quel bambino,” gli disse l’insegnante, “fagli la stessa domanda.
Lui ti darà la stessa risposta, e allora tu domandagli:

“Fa’ conto di non avere i piedi: dove vai, in quel caso?”

Questo lo sistemerà.”
La mattina dopo i bambini si incontrarono di nuovo.
“Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado dove soffia il vento!” rispose l’altro.
Anche stavolta il piccolo rimase sconcertato, e andò a raccontare al maestro la propria sconfitta.

“E tu domandagli dove va se non c’è vento.” gli consigliò il maestro.

Il giorno dopo i ragazzi si incontrarono per la terza volta.
“Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado al mercato a comprare le verdure!” rispose l’altro.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Aiutare gli amici

Aiutare gli amici

Un uomo bussò alla porta di un amico per chiedergli un favore:
“Puoi prestarmi quarantamila denari?

Devo saldare un debito!”

L’altro chiese alla moglie di prendere tutti i loro risparmi e gli oggetti di valore:
il piccolo tesoro, però, si rivelò insufficiente.
Chiesero aiuto ai vicini e, alla fine, fu raccolta la somma necessaria.

Quando l’uomo se ne fu andato, la donna notò che il marito stava piangendo.

“Perché sei triste?” gli domandò, “Per il fatto che ci siamo indebitati con i vicini e non sai se saremo in grado di onorare il nostro debito?”
“No, affatto.
Piango perché nutro un grande affetto per quell’amico, eppure non mi sono mai preoccupato per lui.

Mi è ritornato alla mente soltanto quando si è presentato alla nostra porta per chiedere un prestito!”

Andate, dunque, e raccontate la storia di ciò che è accaduto questo pomeriggio.
E ricordate che dobbiamo aiutare i nostri fratelli ancor prima che ce lo chiedano.

Brano tratto dal libro “Il manoscritto ritrovato ad Accra.” di Paulo Coelho. Edizione Bompiani.

Signore, lasciami prendere il tuo posto

Signore, lasciami prendere il tuo posto

Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina.
In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di “Cristo delle Grazie.”
Arrivava gente da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.
Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiedere anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all’immagine, pregò:
“Signore, lasciami prendere il tuo posto.
Voglio soffrire con te.
Voglio stare io sulla croce.”
Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.

Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse:

“Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione:
qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio!”
“Te lo prometto, Signore.” rispose Sebastiano.
Avvenne lo scambio.
Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c’era Sebastiano inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell’eremita.
I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva.
Finché un giorno…
Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenticò sul gradino la sua borsa piena di monete d’oro.

Sebastiano vide, ma conservò il silenzio.

Non parlò neppure un’ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne andò.
Né aprì bocca quando davanti a lui si inginocchiò un giovane che chiedeva la sua protezione prima di intraprendere un lungo viaggio per mare.
Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l’uomo ricco che, credendo che fosse stato il giovane a derubarlo della borsa di monete d’oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido:
“Fermi!”
Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare.
Sebastiano spiegò come erano andate le cose.
Il ricco corse allora a cercare il povero.
Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio.
Quando nel santuario non rimase più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò:

“Scendi dalla croce.

Non sei degno di occupare il mio posto.
Non hai saputo stare zitto!”
“Ma, Signore!” protestò, confuso, Sebastiano, “Dovevo permettere quell’ingiustizia?”
“Tu non sai,” rispose il Signore, “che al ricco conveniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un’ingiustizia.
Il povero, al contrario, aveva un gran bisogno di quel denaro.
Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l’imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Aspettando Dio

Aspettando Dio

Un giorno un uomo venne a sapere che Dio stava per andare a trovarlo.
“Da me?” si preoccupò, “Nella mia casa?”
Si mise a correre affannato attraverso tutte le camere, salì e scese per le scale, si arrampicò fin sul tetto, si precipitò in cantina.
Vide la sua casa con altri occhi, adesso che doveva venire Dio.
“Impossibile! Povero me!” si lamentava, “Non posso ricevere visite in questa indecenza.

È tutto sporco!

Tutto pieno di porcherie.
Non c’è un solo posto adatto per riposare.
Non c’è neppure aria per respirare!”
Spalancò porte e finestre.
“Fratelli! Amici!” invocò, “Qualcuno mi aiuti a mettere in ordine! Ma in fretta!”
E cominciò a spazzare con energia la sua casa.
Attraverso la spessa nube di polvere che si sollevava, vide uno che era venuto a dargli aiuto.

In due era più facile.

Buttarono fuori il ciarpame inutile, lo ammucchiarono e lo bruciarono.
Si misero in ginocchio e strofinarono vigorosamente le scale e i pavimenti.
Ci vollero molti secchi di acqua per pulire i pavimenti e tutti i vetri.
Pulirono anche la sporcizia che si annidava negli angoli più nascosti.
“Non finiremo mai!” sbuffava l’uomo.
“Finiremo!” diceva l’altro, fiducioso.

Continuarono a lavorare, fianco a fianco, per tutto il giorno.

E, finalmente, la casa pareva messa a nuovo, lustra e profumata di pulito.
Quando scese il buio, andarono in cucina a apparecchiarono la tavola.
“Adesso,” disse l’uomo, “può venire il mio Visitatore!
Adesso può venire Dio.
Dove starà aspettando?”
“Io sono qui!” disse l’altro.
Poi, sedendosi al tavolo, aggiunse: “Siediti e mangia con me!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Accendi la lampada

Accendi la lampada

Un tale aveva un alloggio al pian terreno che dava su un vicolo stretto e buio.
Annottava quando, per un guasto al suo impianto elettrico, rimase avvolto dalle tenebre.
Allora cominciò ad annaspare incespicando.

Fu preso dal panico e gridava:

“Aiuto! Aiuto!”
Proprio in quel momento passava di lì un amico.
Sentì e s’affacciò alla finestrella di quel monolocale.
Aveva acceso, intanto, il suo “accendino.”
Rendendosi conto dell’accaduto, disse:

“Ti faccio luce io.

Mi ricordo che hai un’antica lampada a petrolio lì in mezzo, sul camino.
Sta’ calmo, va al centro della tua casa.”
All’uomo non sembrò vero di potersi muovere pur con quella fioca luce, e subito trovò la lampada.
L’amico gli prestò l’accendino allungando il braccio dalla finestra.
La fiamma divampò sullo stoppino e ci fu una calda luce in tutto il monolocale…

Non importa da dove ti viene l’accendino.

Forse da un libro, da un amico, da altro.
Ricorda però che la lampada puoi accenderla solo tu, se vai con calma al centro del tuo cuore.
La luce che conta è Dio-Amore, Dio-luce che abita il tuo cuore profondo.
Credilo e vivrai.

Brano di Suor Maria Pia Giudici.
Casa di preghiera San Biagio. Subiaco.

Aiutare in casa


Aiutare in casa

Un giorno un uomo andò a trovare un amico a casa sua per prendere un caffè insieme.
Seduto con lui in cucina iniziarono a chiacchierare, parlando della vita.
“Vado un attimo a lavare i piatti rimasti nel lavabo.” disse l’amico.
L’ospite lo guardò a bocca aperta, un po’ ammirandolo, ma anche un po’ perplesso e disse:

“Buon per te che aiuti tua moglie!

Quando lo faccio io, mia moglie non lo apprezza.
Ho lavato i pavimenti la scorsa settimana e non ho ricevuto nemmeno un grazie!”
L’amico che si era alzato tornò a sedersi accanto a lui e gli spiegò la sua situazione:
“Amico mio, io non aiuto mia moglie.
Come regola, mia moglie non ha bisogno di aiuto, ha bisogno di un socio.
Io sono un socio in casa e per via di questa società vengono divise le mansioni, ma di certo non si tratta di un supporto nella casa.
Io non aiuto mia moglie a pulire casa, perché ci abito anch’io e bisogna che pulisca anche io.
Io non aiuto mia moglie a cucinare, perché anche io voglio mangiare e bisogna che cucini anche io.

Io non aiuto mia moglie a lavare i piatti dopo cena, perché ho usato questi piatti anch’io.

Io non aiuto mia moglie con i figli, perché sono anche figli miei ed è il mio ruolo essere padre e genitore.
Io non aiuto mia moglie a stendere o piegare i panni, perché sono anche vestiti miei e dei miei figli.
Io non sono un aiuto in casa, sono parte della casa.”
Questi poi fece una domanda all’amico perplesso:
“Quando è stata l’ultima volta che, dopo che tua moglie ha finito di pulire casa, fare il bucato, cambiare lenzuola ai letti, fare la doccia ai figli, cucinare, organizzare… le hai detto grazie?
Ma intendo un grazie del tipo:
WOW! Cara, sei la migliore!”
L’amico colpito, si mise a riflettere su questa considerazione.

L’altro aggiunse ancora:

“Quando tu una volta ogni tanto pulisci per terra, ti aspetti un premio o la gloria?
Perché? Ci hai mai pensato, amico?
Forse perché per te è scontato che tutto ciò sia compito di tua moglie.
Forse ti sei abituato all’idea che tutto questo viene fatto senza che tu debba alzare un dito.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La prova della porta

La prova della porta

C’era una volta un gruppo di giovani che si preparavano a diventare Cavalieri della Tavola Rotonda, alla corte di Camelot.
Tra loro c’era anche il figlio di Artù.
Re Artù teneva in grande considerazione la preparazione di tutti i ragazzi e ogni giorno chiedeva aggiornamenti e informazioni a Merlino:

“Mi raccomando, sono loro il futuro di Camelot!”

Questi giovani venivano educati ai grandi valori, sottoposti a prove fisiche a volte estenuanti, e non mancavano le prove di intelligenza.
Arrivò il giorno dell’ultima prova: in sostituzione di Merlino si presentò un ragazzino, designato dal mago come suo personale assistente.
“Come prova finale,” disse l’assistente di Merlino, “dovrete riuscire ad aprire questa porta senza sfondarla.”
I giovani pensarono tutti che la prova era fin troppo facile, tanto che alcuni di essi scoppiarono in una risata.

Ma dovettero ricredersi.

La porta si presentava senza serratura e senza chiave.
I giovani cominciarono allora a confrontarsi per escogitare assieme un modo di aprire la porta, ma non riuscirono a mettersi d’accordo:
ognuno voleva prevalere e nessuno riuscì a esprimersi efficacemente, perché ciascuno parlava senza lasciare finire l’altro.
“Troppe bocche e poche orecchie!” pensò l’assistente di Merlino.
Il ragazzino cercò di aiutare i giovani che volevano diventare Cavalieri dando loro dei suggerimenti, ma nessuno volle dargli attenzione, proprio perché egli era solo un ragazzino.
Alla fine, sconfortati, si arresero tutti, eccetto il figlio di Artù, che ammise di non sapere più cosa fare e chiese aiuto all’assistente, che gli rispose:
“Cosa fai quando vuoi farti accogliere in una casa che ha la porta chiusa?”

Il figlio di Artù allora capì e bussò.

La porta si aprì.
“Ma perché, non ce l’hai detto, prima?” chiesero stizziti tutti.
“Perché, solo ora, qualcuno ha deciso di ascoltarmi!”
Così dicendo, il ragazzino assistente rivelò la sua vera identità trasformandosi nel Mago Merlino.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Le quattro mogli

Le quattro mogli

C’era un ricco commerciante che aveva quattro mogli.
Lui amava la sua quarta moglie più di tutte e l’adornava con vestiti eleganti e la trattava con tanta dolcezza.
Si prendeva grande cura di lei, e non le faceva mancare nulla e le dava sempre il meglio di tutto.
Amava moltissimo anche la terza moglie.
Era molto orgoglioso di lei ed era sempre quella che mostrava ai suoi amici.
Il commerciante temeva sempre comunque che lei fuggisse con gli altri uomini.

Lui amava anche la sua seconda moglie.

Era una persona molto premurosa, sempre paziente e confidente del commerciante.
Ogni qualvolta il commerciante affrontava dei problemi, si rivolgeva sempre alla sua seconda moglie e lei riusciva ad aiutarlo e a farlo uscire dai momenti difficili.
Ora, la prima moglie del commerciante era una partner molto fedele e aveva dato grandi contributi nel fargli mantenere la sua ricchezza, gli affari e la cura della famiglia.
Comunque, il commerciante non amava la prima moglie ed anche se lei l’amava profondamente, lui non si prendeva cura di lei.
Un giorno, il negoziante cadde ammalato.
Di lì a poco, capì di stare in punto di morte.
Pensò allora a tutta la sua vita agiata e disse fra sé e sé:
“Ora ho quattro mogli con me.
Ma quando io muoio, me ne andrò da solo.
Come sarò solo!”

Così disse alla quarta moglie:

“Io ti ho amato di più, ti ho dato i migliori vestiti e ho avuto la massima cura di te.
Ora che io sto morendo, vuoi seguirmi e tenermi compagnia?”
“In nessun modo!” rispose la quarta moglie e si allontanò senza altre parole.
La risposta fu come una rasoiata nel cuore del commerciante.
Egli allora tristemente chiese alla terza moglie:
“Io ti ho tanto amato per tutta la mia vita.
Ora che sto morendo, vuoi seguirmi e tenermi compagnia?”
“Neanche per sogno!” rispose la terza moglie.
“La vita qui è così bella!
Quando morirai, subito mi sposerò di nuovo!”
Il cuore del commerciante ebbe un sussulto e diventò gelido.

Domandò poi alla seconda moglie:

“Mi sono sempre rivolto a te per aiuto e tu sempre mi hai aiutato.
Ora ho bisogno di nuovo del tuo aiuto.
Ora che sto morendo, vuoi seguirmi e tenermi compagnia?”
“Sono spiacente, ma non posso aiutarti.
Tutt’al più posso provvedere al tuo funerale!”
La risposta arrivò come una deflagrazione devastante.
Quand’ecco una voce che diceva:
“Io verrò con te!
E non mi preoccuperò di dove andrai”
Il commerciante si girò intorno e vide la sua prima moglie…
Era così magra e malnutrita!
Grandemente si addolorò, ed esclamò:
“Mi sarei dovuto prendere più cura di te quando avrei potuto!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La corda della dignità

La corda della dignità

C’era un bambino che tutti i giorni chiedeva un pezzo di pane al nonno,

poi lo metteva in tasca e si inoltrava nella foresta per poi riapparire dopo una decina di minuti.

Dopo un paio di settimane il nonno incuriosito seguì il nipotino e lo vide fermarsi in un pozzo abbandonato, tirato fuori il pezzo di pane lo getta nel pozzo, rassicurando:

“Torno domani, non piangere!”

Il nonno si avvicina e vede in fondo al pozzo un bambino di un’altra tribù che piangendo continuava a dire nel suo dialetto:
“Aiuto, ti prego, salvami!”

Allora il nonno si rivolge al nipotino dicendo:

“Che bravo nipotino che ho, che si prende cura di un bambino affamato, ma se conoscessi il suo dialetto, sapresti che lui ogni giorno ti diceva:
Grazie fratellino per il pane, ma la prossima volta, ti prego, porta una corda per tirarmi su!”

Brano tratto dal sito Web Il Buongiorno, di Don Luca Murdaca

La leggenda di Amore e Psiche

La leggenda di Amore e Psiche

Tantissimi anni fa, in un grande regno, vivevano un re e una regina che avevano tre bellissime figlie.
Delle tre figlie, le due più grandi, nonostante fossero molto belle, potevano essere descritte con parole umane; mentre la splendida bellezza della figlia minore non si poteva descrivere, si poteva solo ammirare.
Psiche, questo era il nome della sorella più piccola, era bellissima, la sua grazia e il suo splendore erano tali da attirare le invidie di Venere (Dea della bellezza) che, per vendicarsi, decise di chiedere aiuto a suo figlio Amore (Cupido).

L’invidiosa dea chiese a suo figlio di colpire Psiche con una delle sue infallibili frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.

Amore accettò ma, una volta arrivato di fronte alla fanciulla, rimase così incantato dalla sua bellezza da distrarsi al punto che una delle sue frecce lo colpì, facendolo innamorare perdutamente della splendida fanciulla.
Psiche, nonostante fosse bellissima, non riusciva a trovare marito, i genitori preoccupati consultarono un oracolo ed in seguito al consiglio dato dallo stesso, la ragazza venne portata a malincuore sulla cima di una rupe e venne lasciata lì da sola.
Con l’aiuto di Zefiro, Cupido riuscì a portarla nel suo palazzo.

Per vivere la sua storia romantica senza farlo sapere alla madre, non le rivelò la sua identità.

Ogni sera, al calar del sole, Amore andava dalla fanciulla e, senza mai mostrare il proprio volto, i due vivevano intensi momenti di passione.
La giovane principessa aveva accettato il compromesso ma, si sa, la curiosità è donna, ed una notte, mentre Amore dormiva, Psiche si avvicinò al suo volto con una lampada restando folgorata dalla bellezza del suo amante.
Mentre ammirava il profilo di Amore, però, una goccia d’olio della lampada cadde accidentalmente sul giovane che, risvegliatosi, scappò via abbandonando la fanciulla.
Quando Venere venne a sapere dell’accaduto scatenò la sua ira su Psiche che, per punizione, venne sottoposta dalla Dea a difficili prove.
La principessa superò brillantemente le prove, anche grazie all’aiuto di vari esseri divini, e questo fece ancora più infuriare Venere che le pose un’ultima prova:

discendere negli inferi e chiedere alla dea Prosepina un po’ della sua bellezza.

Come ordinatole dalla Dea, Psiche si recò negli inferi ma, stavolta, fallì.
Nonostante le fosse stato ordinato di non aprire l’ampolla donatale da Prosepina, la fanciulla, incuriosita, aprì l’ampolla dalla quale uscì una nuvola che fece cadere Psiche in un sonno profondissimo.
Intanto Amore, preso dalla nostalgia, andò alla ricerca della sua amata e, quando la trovò, la risvegliò.
Per non rischiare di perderla di nuovo Amore condusse Psiche sull’Olimpo dove, grazie all’appoggio e all’aiuto di Giove, la giovane principessa, dopo aver bevuto dell’ambrosia, divenne una dea.
Venne celebrato il matrimonio dei due innamorati ed in seguito dalla loro unione nacque una bellissima bambina che prese il nome di Voluttà.

Leggenda Mitologica.
Brano senza Autore, tratto dal Web