Il contadino e lo strano giovane

Il contadino e lo strano giovane

Il padrone di una grossa fattoria aveva bisogno di un aiutante che badasse alle stalle e al fienile. Come voleva la tradizione, il giorno della festa del paese, cominciò a cercare.
Scorse un ragazzo di 16-17 anni che si aggirava tra i baracconi.
Era un tipo alto e magro, che non sembrava molto forte.
“Come ti chiami giovanotto?” chiese.
“Alfredo, signore!” rispose il giovane
“Sto cercando qualcuno che voglia lavorare nella mia fattoria.
Ti intendi di lavori agricoli?” continuò.
“Sissignore. Io so dormire in una notte ventosa!” rispose il giovane.

“Che cosa?” chiese il contadino sorpreso.

“Io so dormire in una notte ventosa!” replicò il giovane.
Il contadino scosse la testa e se ne andò.
Nel tardo pomeriggio, incontrò nuovamente Alfredo e gli rifece la proposta.
La risposta di Alfredo fu la medesima:
“Io so dormire in una notte ventosa!”
Al contadino serviva un aiutante non un giovanotto che si vantava di dormire nelle notti ventose.
Provò ancora a cercare, ma non trovò nessuno disposto a lavorare nella sua fattoria.

Così decise di assumere Alfredo che gli ripeté:

“Stia tranquillo, padrone, io so dormire in una notte ventosa!”
“D’accordo. Vedremo quello che sai fare!”
Alfredo lavorò nella fattoria per diverse settimane.
Il padrone era molto occupato e non faceva molta attenzione a quello che faceva il giovane.
Poi una notte fu svegliato dal vento.
Il vento ululava tra gli alberi, ruggiva giù per i camini, scuoteva le finestre.
Il contadino saltò giù dal letto.
La bufera avrebbe potuto spalancare le porte della stalla, spaventare cavalli e mucche, sparpagliare il fieno e la paglia, combinare ogni sorta di guai.
Corse a bussare alla porta di Alfredo, ma non ebbe risposta.

Bussò più forte.

“Alfredo, alzati!
Vieni a darmi una mano, prima che il vento distrugga tutto!”
Ma Alfredo continuò a dormire.
Il contadino non aveva tempo da perdere.
Si precipitò giù per le scale, attraversò di corsa l’aia e raggiunse la cascina.
Ed ebbe una bella sorpresa.
Le porte delle stalle erano saldamente chiuse e le finestre erano bloccate.
Il fieno e la paglia erano coperti e legati in modo tale da non poter essere soffiati via.
I cavalli erano al sicuro, e i maiali e le galline erano quieti.

All’esterno il vento soffiava con impeto.

Dentro la cascina, gli animali erano calmi e tutto era al sicuro.
D’improvviso il contadino scoppiò in una sonora risata.
Aveva capito che cosa intendeva dire Alfredo quando affermava di saper dormire in una notte ventosa.
Il giovane faceva bene il suo lavoro ogni giorno.
Si assicurava che tutto fosse a posto.
Chiudeva accuratamente porte e finestre e si prendeva cura degli animali.
Si preparava alla bufera ogni giorno.
Per questo non la temeva più.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

Il contadino ed il poeta

Il contadino ed il poeta

Un contadino stanco della solita routine quotidiana, tra campi e duro lavoro, decise di vendere la sua tenuta.
Dovendo scrivere il cartello per la vendita decise di chiedere aiuto al suo vicino che possedeva delle doti poetiche innate.

Il romantico vicino accettò volentieri e scrisse per lui un cartello che diceva:

“Vendo un pezzettino di cielo, adornato da bellissimi fiori e verdi alberi, con un fiume, dall’acqua cosi pura e dal colore più cristallino, più bello di quelli che abbiate mai visto fino ad ora.”
Fatto ciò, il poeta dovette assentarsi per un po’ di tempo, al suo rientro però, decise di andare a conoscere il suo nuovo vicino.

La sua sorpresa fu immensa nel vedere il solito contadino,

impegnato nei suoi lavori agricoli.
Il poeta domandò quindi:
“Amico non sei andato via dalla tenuta?”

Il contadino rispose sorridendo:

“No, mio caro vicino, dopo aver letto il cartello che avevi scritto, ho capito che possedevo il pezzo più bello della terra e che non ne avrei trovato un altro migliore.”

Non aspettare che arrivi un poeta per farti un cartello che ti dica quanto è meravigliosa la tua vita, la tua casa, la tua famiglia e tutto ciò che possiedi…

Brano senza Autore, tratto dal Web

La quercia e il giunco. (Forza e saggezza)



La quercia e il giunco.
(Forza e saggezza)

La quercia è il simbolo della forza e della saggezza.
Essa si erge maestosa e potente tra il verde dei prati, innalza le fronde verso il cielo con forza e determinazione e domina incontrastata su tutto il paesaggio che la circonda.
Nemmeno l’inverno è in grado di sottometterla:
la quercia a differenza degli altri alberi non si denuda, non cede mai il suo fogliame al signore del gelo, ma conserva sempre la sua dignità, soprattutto di fronte alle intemperie.
Fiera e composta, essa è signora degli alberi e padrona di se medesima, ostello misericordioso per i piccoli roditori e gli uccelli, nido di sapienza e di esperienza, roccaforte inespugnabile e grandiosa, torre imperturbabile e quasi eterna…

Ma, nonostante questo, la quercia talvolta pecca di superbia e il suo orgoglio e la sua fierezza spesso possono rivelarsi fatali.

E, così, nelle giornate in cui infuria la tempesta, la grande quercia si ostina a sfidare il vento violento e brutale.
Non si abbassa, ma conserva il suo fiero comportamento anche di fronte al vento più crudele e impetuoso.
Consapevole e orgogliosa della propria potenza, non si piega e ostenta un’incrollabile fermezza.
Ma, nonostante questo, nonostante la sua esasperata ostinazione, non riesce a resistere alla furia del vento, il quale senza alcuna pietà la spezza.
Così la quercia cade a terra, spezzata in due, distrutta dalla sua stessa arroganza.
In fin di vita si guarda intorno per osservare per l’ultima volta quella che è sempre stata la sua terra, il luogo dove essa stessa ha mostrato a tutti la sua incredibile forza.

Ed è in tale momento che la bellissima quercia scorge un timido e insignificante giunco.

Lo guarda attentamente stupendosi di trovarlo ancora lì, ancorato al suolo, nonostante la brutalità del vento.
In un primo momento non riesce a spiegarsi un fatto tanto assurdo:
il giunco ha ancora le sue radici, mentre lei, la signora degli alberi, si trova in fin di vita e, inoltre, con una buona parte del suo corpo distesa al suolo, spezzata dalla bufera.
Ed è allora che la quercia comprende.
Il giunco è salvo per il semplice, ma pur sempre straordinario fatto, che, a differenza di lei, ha saputo piegarsi alla follia del vento, torcendo l’esile corpicino e avvicinandolo al suolo.
Umile e consapevole dei propri limiti, il giunco ha saputo saggiamente piegarsi e il vento l’ha risparmiato.

Superba e altera, la quercia ha voluto dimostrare la sua forza e il vento l’ha punita.

Fissando il giunco, la quercia prova dolore e il suo viso s’inumidisce.
Che siano lacrime o rugiada la quercia lo sa bene, ma preferisce non pensarci.
Essa si spegne e abbandonando questo mondo comprende finalmente il significato della sua esistenza e il senso del suo patetico destino.
Infine nella sua mente prende consistenza una domanda, di cui la quercia conosce bene la risposta:
nei giorni di tempesta chi è il più forte tra la quercia e il giunco?

Brano di Jean de La Fontaine

Ogni persona ha una propria storia. Non giudicatela sino a quando non la conoscete.


Ogni persona ha una propria storia.
Non giudicatela sino a quando non la conoscete.

Un ragazzo di 24 anni guardando attraverso la finestra dell’autobus gridò:
“Papà guarda, gli alberi ci vengono incontro!”

Il padre alzò lo sguardo verso di lui e sorrise.

Una giovane coppia seduta vicino rise per il comportamento infantile del ragazzo.
Il ragazzo tornò ad esclamare:

“Guarda papà, le nuvole ci seguono!”

La coppia non poté resistere e disse al padre del ragazzo:
“Perché non porti tuo figlio da un buon medico?”

L’uomo sorrise e rispose:

“Ci siamo appena stati, siamo usciti dall’ospedale proprio pochi minuti fa.
Mio figlio era cieco dalla nascita e oggi per la prima volta può vedere.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Desiderio per domani…


Desiderio per domani…

C’erano una volta tre anziani compagni di scuola che si ritrovarono dopo molto tempo.
Ognuno cominciò a raccontare la propria vita.
Uno era diventato un importante uomo d’affari ed un politico, un altro era un eminente studioso e il terzo un giardiniere.
Conversando intorno ad un bicchiere di buon vino, i tre uomini si scambiavano le impressioni sulla vita, che scorreva sempre più rapida.
Arrivarono alla conclusione che ogni giorno era un dono prezioso che ricevevano.

Giunsero così ad una bizzarra decisione:

“Impegniamoci a realizzare domani il desiderio più intenso che ci portiamo dentro.”
Ognuno confidò il proprio desiderio per l’indomani:
Il politico disse:
“lo voglio usare il mio prezioso servizio da tè di porcellana cinese e il mio magnifico cavallo per galoppare nella mia tenuta.”
Lo studioso disse:
“Io mi procurerò una tazza di cioccolata profumata e un libro antico pregiato da leggere seduto nella mia biblioteca.”

Il giardiniere disse:

“Io domani vorrei godermi una bella giornata di sole, ascoltando un ruscello di acqua gorgogliante, degli uccelli che cantino in cielo e sugli alberi.
Questi ultimi colmi di frutti maturi.”
Proprio quella notte un forte terremoto scosse la regione.
Quando il politico cercò la sua porcellana la trovò in frantumi; il suo prezioso cavallo era morto sotto il muro della scuderia, che a causa del terremoto era crollato.

Lo studioso non riuscì a bere la cioccolata né a leggere,

perché nella sua casa non c’era più una tazza rimasta intatta; la sua biblioteca aveva preso fuoco e tutti i suoi libri erano ormai perduti.
Il giardiniere invece poté godersi il sole che scaldava il suo giardino, bere l’acqua fresca del ruscello e, anche se il deposito degli attrezzi era stato distrutto dal terremoto, gli alberi erano rimasti in piedi, colmi di frutti; anche gli uccelli cantavano come tutti gli altri giorni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

I due boscaioli


I due boscaioli

Due boscaioli lavoravano nella stessa foresta ad abbattere alberi.
I tronchi erano imponenti, solidi e tenaci.
I due boscaioli usavano le loro asce con identica bravura, ma con una diversa tecnica:
il primo colpiva il suo albero con incredibile costanza, un colpo dietro l’altro, senza fermarsi se non per riprendere fiato rari secondi.
Il secondo boscaiolo faceva una discreta sosta ogni ora di lavoro.

Al tramonto, il primo boscaiolo era a metà del suo albero.

Aveva sudato sangue e lacrime e non avrebbe resistito cinque minuti di più.
Il secondo era incredibilmente al termine del suo tronco.
Avevano cominciato insieme e i due alberi erano uguali!
Il primo boscaiolo non credeva ai suoi occhi:
“Non ci capisco niente!
Come hai fatto ad andare così veloce se ti fermavi tutte le ore?”
L’altro sorrise:
“Hai visto che mi fermavo ogni ora.
Ma quello che non hai visto è che approfittavo della sosta per affilare la mia ascia!”

Il tuo spirito è come l’ascia.

Non lasciarlo arrugginire.
Ogni giorno affilalo un po’:
1. Fermati dieci minuti e ascolta un po’ di musica.
2. Cammina ogni volta che puoi.
3. Abbraccia ogni giorno le persone che ami e dì loro: “Ti voglio bene.”
4. Festeggia compleanni, anniversari, onomastici e tutto quello che ti viene in mente.

5. Sii gentile con tutti. Anche con quelli di casa tua.

6. Sorridi.
7. Prega.
8. Aiuta qualcuno che ha bisogno di te.
9. Coccolati.
10. Guarda il cielo e punta in alto.

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero

L’avventura dei ricci


L’avventura dei ricci

Un’estate, una famiglia di ricci andò ad abitare nella foresta.
Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi.
Folleggiavano nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mosche per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane.

Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno.

Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po’ più fredde, dormivano sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo.
Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie.

I ricci tremavano tutto il giorno, e la notte non potevano chiudere occhio, tanto avevano freddo.

Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all’altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe.
Timidamente, si avvicinarono ancora, ma di nuovo si punsero il muso.
E tutte le volte che uno correva verso l’altro, capitava la stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini:

gli uccelli si tenevano caldo uno con l’altro, così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.

Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accostarono l’uno all’altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo” di Bruno Ferrero

La storia di Azzurra. (La storia di una goccia d’acqua)


La storia di Azzurra. (La storia di una goccia d’acqua)

Sgorgò dalla terra un mattino in cui il cielo azzurro si rispecchiava nella sorgente dove era nata.
Per questo fu chiamata Azzurra.
Azzurra era una goccia d’acqua e con le sue innumerevoli sorelle formò subito un ruscelletto allegro che gorgogliando e saltellando scorreva tra le pietre e l’erba sui pendii di una montagna.
Azzurra faceva capriole e giocava con i raggi del sole.
La sua breve infanzia trascorse nella più assoluta spensieratezza.
Il ruscello confluì in un torrente che si precipitava baldanzoso verso il fondovalle, trascinando ghiaia e detriti.
Azzurra e le sue compagne si divertivano a fare il solletico alle radici degli alberi, scherzavano con le giovani trote che tentavano di fermarsi nelle pozze limpide e chiare.

Azzurra amava i giochi pericolosi:

con alcune amiche si buttava in corse sfrenate, si impennava con spruzzi improvvisi e iridescenti.
Si fermava talvolta in placidi laghetti.
In quei momenti di tranquillità, Azzurra chiedeva:
“Sorelle mie dove stiamo andando?”
“Al mare! Al mare!” sentiva rispondere da tutte le parti.
“Al mare, naturalmente!” dicevano le nuvole che si vantavano di avere un punto di vista molto più alto.
“Al mare, sciocchina!” ripetevano le anatre con il loro becco giallo.
“E com’è il mare?” continuava a chiedere Azzurra.

“Il mare è la cosa più bella e grande.

Non puoi neanche immaginarla e non si può dire a parole” dicevano le nuvole.
Il torrente confluì un giorno in un piccolo fiume che si muoveva fluido e deciso fra i campi e i boschetti della pianura.
Azzurra e le sue amiche non giocavano più e si erano stancate delle stupide conversazioni dei pesci, che oltretutto non hanno nessun senso dell’umorismo.
“Correre, correre senza un momento di pausa…
Chi ce lo fa fare?” sbottò un giorno Dora, la più cara amica di Azzurra.
“Dopotutto che ce ne importa del mare?”
È vero pensò anche Azzurra.
“Fermiamoci qui, possiamo sfuggire al fiume,” propose un’altra “ci sono cataletti che si inoltrano nella boscaglia, ne infiliamo uno e restiamo lì a divertirci fin che ci pare.”

Un bel gruppo di gocce accettò con entusiasmo e Azzurra si unì a loro.

Trovarono rivoli di acqua che filtravano in mezzo all’erba, rallentarono il loro cammino e si fermarono formando pozze di acqua stagnante.
I primi tempi furono di grande euforia.
Era così bello starsene a far niente, pigrottare tra chiacchiere e risate, come in una perenne vacanza.
Ma poi qualcosa cambiò.
Lentamente le gocce cominciarono a intorpidirsi e quella parte di fiume stava diventando una palude.
Era come una lenta agonia.
Un gruppetto di gocce, tra cui Azzurra, decisero di aprirsi un varco e raggiungere di nuovo il grande letto del fiume.
E muovendosi a fatica, prive di forze com’erano ormai, finirono in una secca.
Azzurra ora aveva davanti a sé solo rocce, sabbia.

E fu presa dal panico.

“E’ la mia fine, non riuscirò ad attraversare questo deserto!
La sabbia mi assorbirà ed io scomparirò…
non arriverò mai al mare… ho fallito tutto!” e si disperò.
Ma il Vento aveva ascoltato i suoi lamenti e decise di salvarle la vita.
“Lasciati scaldare dal sole, salirai in cielo sotto forma di vapore acqueo… al resto penserò io.” le suggerì.

Azzurra ebbe ancor più paura:

“Io sono fatta per scorrere fra due rive di terra, liquida, pacifica, limpida… non sono fatta per volare per aria.”
Il Vento rispose: “Non aver paura quando salirai nel cielo sotto forma di vapore diventerai una nuvola e io ti porterò al di là del deserto e tu potrai di nuovo cadere sulla terra sotto forma di pioggia, ritroverai il fiume e arriverai al mare.”
Molte compagne di Azzurra avevano troppa paura e furono divorate dal deserto.
“Verrò con te.” sussurrò Azzurra al Vento.
I raggi del sole la presero con grande dolcezza e la sollevarono nel cielo e con tante altre compagne divenne una nuvola bianca che il vento spingeva con garbo.

Volare era un’ebbrezza stupenda e dall’alto Azzurra vedeva tutto il percorso della sua vita:

la montagna su cui era nata, il ruscello, il torrente, il fiume, e la palude in cui aveva rischiato di perdersi…
E improvvisamente tutto le fu chiaro e una gioia sconfinata la inondò:
c’era un piano in tutto ciò e laggiù, oltre l’orizzonte qualcuno la stava aspettando, il mare.
Il vento mantenne la promessa e un mattino Azzurra scese come pioggia leggera nei pressi del grande fiume, che l’accolse nel suo cuore liquido.
Il fiume si muoveva maestoso verso il mare e Azzurra scorreva leggera, pervasa da una gioiosa speranza.
Quando il caldo abbraccio del mare l’accolse, conobbe quello che da sempre cercava.
Una cosa la colpì: nell’incontro col mare non si era dissolta nel tutto era rimasta se stessa e così tutte le altre gocce immerse nella felicità del mare infinito che tutte le accoglieva e le superava.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Gli amici e l’orso


Gli amici e l’orso

Due amici facevano la stessa strada che attraversava una pericolosa e tenebrosa foresta.
Improvvisamente un orso enorme e ringhiante si parò davanti ai due uomini.
Uno, in preda alla paura si arrampicò su un albero e si nascose, l’altro non fece in tempo e accorgendosi di non essere in grado si sfuggire alla bestia feroce si lasciò cadere a terra, fingendo di essere morto.

Sapeva infatti che gli orsi non toccano i morti.

Quando gli arrivò vicino, l’orso lo annusò, gli grugnì negli orecchi, provò a smuoverlo con il muso.
Il poveretto tratteneva il respiro con tutte le sue forze.
L’orso lo credette effettivamente morto e se ne andò.
Appena vide sparire tra gli alberi l’orso, l’altro uomo scese dall’albero su cui si era arrampicato e chiese all’amico:
“Che cosa ti ha detto l’orso all’orecchio?”
“Mi ha detto di non viaggiare più insieme a certi amici, che nel momento del pericolo invece di aiutarmi se la danno a gambe levate.”

L’amore fa ancora molta paura.

Esso chiede il lasciarsi andare, l’abbandono di sé, l’abbandono a sé, la fiducia che abbaglia e non acceca, la donazione assoluta.
Bisognerà render conto della paura e dell’avarizia che impedirono di amare, dell’accecamento e dell’orgoglio che soffocarono gli slanci.
Bisognerà render conto di tutti i gesti non compiuti, delle lacrime ingoiate, dell’amore non dato, delle promesse e del tempo perduto.
Bisognerà pagare per tutte le parole non dette, per tutte le carezze perdute, per tutti i sogni abbandonati.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero

La leggenda del salice “piangente”


La leggenda del salice “piangente”

Gesù saliva verso il Calvario, portando sulle spalle piagate la croce pesante.
Sangue e sudore rigavano il volto santo coronato di spine.

Vicino a Lui camminava la Madre, insieme ad altre pie donne.

Gli uccellini, al passaggio della triste processione, si rifugiavano, impauriti, tra i rami degli alberi.
Ad un tratto Gesù stramazzò al suolo.
Due soldati dell’epoca, armati di frusta, si precipitarono su di Lui ed allontanarono la Madre che tentava di rialzarlo, dicendogli:

“Su, muoviti!

E tu, donna, stattene da parte.”
Gesù tentò di rialzarsi, ma la croce troppo pesante glielo impedì.
Era caduto ai piedi di un salice.

Cercò inutilmente di aggrapparsi al tronco.

Allora l’albero pietoso chinò fino a terra i suoi rami lunghi e sottili perché potesse, afferrandosi ad essi, rialzarsi con minor fatica.
Quando Gesù riprese il faticoso cammino, l’albero rimase con i rami pendenti verso terra:
da quel momento venne chiamato “Salice Piangente.”


Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web