Il leone, il moscerino ed il ragno

Il leone, il moscerino ed il ragno

Sulla riva del ruscello, un moscerino minuscolo si era addormentato.
Ma dal profondo della foresta arrivò un ruggito sordo e possente.
Il povero moscerino sì spaventò terribilmente.
Un grande, grosso, grasso leone alla ricerca della cena, ruggiva a pieni polmoni.
Il moscerino gridò indignato:
“Ehilà! La volete smettere?
Cos’è tutto sto trambusto?
Non potete lasciar dormire in pace la brava gente?
Che diritto avete di stare qui?”
Il leone sbuffò:
“Che diritto?
Il mio diritto!

Io sono il re della foresta.

Faccio quello che mi piace, dico quello che mi piace, mangio chi mi piace, vado dove mi piace, perché io sono il re della foresta!”
“Chi ha detto che voi siete il re?” domandò tranquillamente il moscerino.
“Chi l’ha detto?…” ruggì il leone, “Io lo dico, perché io sono il più forte e tutti hanno paura di me.”
“Ma io, tanto per fare un esempio, non ho paura di voi, quindi voi non siete re.”
“Non sono re? Ripetilo se hai coraggio!”.
“Certo, lo ripeto. E non sarete re se non vi battete contro di me e non vincete.”
“Battermi con te?” sbuffò il leone calmandosi un po’.

“Chi ha mai sentito niente di simile?

Un leone contro un moscerino?
Piccolo atomo insignificante, con un soffio ti mando in capo al mondo!”
Ma non mandò niente da nessuna parte.
Ebbe un bel soffiare e sforzarsi con tutta la forza dei polmoni.
Tutto quel che ottenne fu un moscerino che faceva l’altalena sullo stelo d’erba e gridava:
“Sono più forte di voi!
Sono io il re!”
Allora il leone perse definitivamente il senso delle proporzioni e si buttò avanti a fauci spalancate per inghiottire il moscerino, ma inghìotti solo una zolla d’erba.
E l’astuto insettino dov’era?
Proprio in una narice del leone e là cominciò a solleticarlo e punzecchiarlo.
Il leone sbatteva la testa contro gli alberi, si graffiava con i suoi unghioni, strepitava, ruggiva…
“Oh! Il mio naso!
Il mio povero naso!
Pietà!
Esci di lì!
Sei tu il re della foresta, sei tutto quello che vuoi…

Ma esci dal mio naso!” piagnucolò infine il leone.

Allora il moscerino volò fuori dalla narice del leone, che mortificato e umiliato sparì nel profondo della foresta.
Il moscerino cominciò a danzare di gioia:
“Sono il re, re, re, re!
Ho battuto un leone!
L’ho fatto scappare!
Sono il più forte e il più furbo, io!”.
A forza di saltellare, esultando, qua e là, il moscerino non si accorse di essersi avvoltolato in qualche cosa di fine, e di leggero e di forte… dei lunghi fili bianchi, quasi invisibili tra i fili d’erba e che si attorcigliavano intorno al corpo dell’insetto, legando le sue zampe e le sue ali.
Il ragno arrivò sulle sue otto zampe, borbottando:
“Che bello stuzzichino per la cena…”

Grossi o piccoli, i superbi sono sempre stupidi.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Pace e le sue sorelle

Pace e le sue sorelle

Quando il mondo iniziò ad esistere, quando il grande sole giallo riscaldava la terra e di notte la bianca luna tutto illuminava, nacquero in una tiepida mattina d’autunno Pace e le sue sorelle.
Adagiate su una foglia di ninfea che faceva loro da culla, le piccole creature del bene si guardavano intorno incuriosite da tanta bellezza:
prati verdeggianti, animali liberi, un cielo azzurro e pulito, cascate limpide e cristalline.
Quando Felicità svolazzava nei prati, era solita fare a gara con le farfalle a chi raggiungeva prima la grande quercia.
E dove passava lei era felicità ovunque.
Armonia, poi, amava dondolarsi pigramente su un’altalena di liane, canticchiando dolci melodie ai suoi amici animali che, catturati da tanta soavità, rimanevano ore ed ore ad ascoltare quella meravigliosa voce.

E quando cantava lei era armonia ovunque.

Di notte Silenzio raggiungeva a piedi nudi la collina e, seduto sull’erba baciata dalla rugiada, rimirava quel paesaggio incantevole rischiarato da luna e stelle e ne assaporava la quiete.
E quando il sonno li rapiva, era silenzio ovunque.
Amore e Amicizia insegnavano agli abitanti di quel paradiso ad ascoltare il proprio cuore e ad essere sempre pronti ad aiutarsi a vicenda.
E quando parlavano loro, tutti si volevano bene ovunque.
Pace, dal canto suo, regnava sovrana ed era tanto felice nel vedere che era facile mantenere quell’equilibrio così ben costruito dal Buon Dio.
E fino a che lei regnò vi fu pace su tutta la Terra.
Poi arrivò l’uomo.
Era un essere umile e buono, rispettoso e gentile verso i suoi simili:
ma non fu così a lungo.
L’uomo iniziò a coltivare dentro di sé il seme della gelosia e dell’invidia, voleva possedere sempre più cose per essere il padrone indiscusso su tutto.
Gelosia, Invidia e Potere, creature del male senza fissa dimora, giunsero nel regno di Pace e tutto distrussero.

E al loro passaggio vi fu desolazione ovunque.

Infine arrivò Guerra, e dopo lei Tristezza.
Il mondo si tinse dei toni del nero, gli animali cercavano riparo nei boschi, l’uomo si scagliava contro i suoi fratelli, disseminando dolore ovunque.
Pace e le sue sorelle piansero per giorni e giorni, non trovando il modo per rimettere ordine sulla Terra.
In disparte, in un cantuccio, se ne stavano silenziose le due sorelline più piccole, Uguaglianza e Fratellanza, timide e un po’ impaurite.
Pace fissò a lungo i loro occhi e, avvicinandosi, disse:
“È giunto il tempo di far sentire la vostra voce.
Il mondo così sta morendo:
l’uomo lo sta rovinando con le sue stesse mani e noi dobbiamo fermarlo.
A me sta a cuore il futuro dei bambini che così non avranno più case, patiranno la fame e non giocheranno più.
Il loro mestiere è quello di fare i bambini, non vivere tra lo scempio delle guerre dei grandi.”
Uguaglianza e Fratellanza partirono subito.

Anche Amore si unì alle due sorelle.

Dall’alto, lo scenario era tanto triste:
guerra e dolore ovunque.
“Dove saranno i bambini?” si domandavano.
Poi li videro:
chiusi nelle case con le loro mamme, senza sorriso, spaventati.
“Ci pensiamo noi, piccoli.
Venite, seguiteci, fate presto e non abbiate paura!” disse a gran voce Amore.
E così, poco a poco, si formò una catena di bambini che via via diventava sempre più forte e sempre più lunga:
un vero e proprio esercito di chiassosi bimbi.
Al loro passaggio, come per magia, la terra si ricopriva di profumati fiori: fiori ovunque.

Fiori che uscivano dai fucili, dalle macchine da guerra.

Fiori nelle stanze dei bottoni, fiori che cadevano dagli aerei in volo come una pioggia colorata.
Gli uomini così non poterono più fare la guerra e finalmente capirono e si vergognarono tanto per ciò che avevano fatto.
Riposero le armi e la cattiveria e ritornarono nelle loro case, dalle loro famiglie.
Pace tornò così a regnare sulla Terra.
“La guerra è stata vinta dai bambini!” dissero le tre sorelle al loro ritorno.
Pace le accolse con gioia e disse:
“Durante la vostra assenza è venuta alla luce un’altra sorellina. Venite, vuole abbracciarvi!”
Mai i colori della Terra furono meravigliosi come in quel giorno, un giorno da ricordare.
Era nata la Speranza.

Fiaba di Greta Blu

L’albero e il bambino


L’albero e il bambino

C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino andava a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice.”

“Voglio dei soldi.

Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare.” disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi.
Voglio dei soldi.
Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace,” rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi.
Ho solo foglie e frutti.
Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città.
Così avrai dei soldi e sarai felice.”
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice.”
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi.” rispose il bambino “Voglio una casa che mi ripari.” continuò, “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa.

Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa,” disse l’albero “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa.
Allora sarai felice.”
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio,” mormorò “vieni a giocare.”
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare.” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui.
Tu puoi darmi una barca?”
“Taglia il mio tronco e fatti una barca;” disse l’albero, “così potrai andartene ed essere felice.”
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio,” disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti…

Non ho più frutti.”

“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti.” disse il bambino.
“Non ho più rami,” continuò l’albero, “non puoi più dondolarti.”
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami.” disse il bambino.
“Non ho più tronco.” disse l’albero, “Non puoi più arrampicarti.”
“Sono troppo stanco per arrampicarmi.” disse il bambino.
“Sono desolato.” sospirò l’albero.
“Vorrei tanto donarti qualcosa… ma non ho più niente.
Sono solo un vecchio ceppo.
Mi rincresce tanto…”
“Non ho più bisogno di molto, ormai.” disse il bambino.
“Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi.
Mi sento molto stanco.”
“Ebbene,” disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.
Avvicinati, bambino mio, siediti.
Siediti e riposati.”
Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.

Brano di Shel Silverstein