Il bacio della mia mamma

Il bacio della mia mamma

C’era una volta un bambino, che andando, e rimanendo, a scuola, teneva sempre chiuso il pugno della mano sinistra.
Quando era interrogato dalla maestra si alzava e rispondeva tenendo il suo pugno chiuso;

scriveva, con la destra, e conservava il pugno sinistro ben chiuso.

Un giorno la maestra, anche per dare soddisfazione a tutti gli alunni, gli chiese il perché di questo atteggiamento.
Il bambino non voleva rispondere, ma poi, dietro le insistenze della maestra e soprattutto per accontentare i compagni di scuola, decise di svelare il segreto:
“Quando, ogni mattina, parto da casa per venire a scuola, mia madre mi stampa sul palmo della mano sinistra un forte bacio e poi, chiudendomi la mano, mi dice sorridendo:

“Bambino mio, tieni sempre ben chiuso qui nella tua mano il bacio di tua madre!”

Per questo tengo sempre il pugno chiuso:
c’è il bacio della mia mamma dentro!”

Brano senza Autore

La bacchetta della maestra Pia

La bacchetta della maestra Pia

Una volta la scuola primaria era molto diversa da quella odierna.
Alcuni insegnanti usavano metodi didattici molto discutibili, oggi da codice penale.
Colpivano con una bacchetta le mani degli alunni che avevano errato nello scrivere o che copiavano da altri.

In alternativa gli alunni venivano fatti inginocchiare in castigo dietro la lavagna

o venivano obbligati ad indossare delle orecchie da asino di carta.
Un giorno, in classe arrivò una giovane maestra supplente che si fece apprezzare subito dai ragazzi per la sua solarità e per la competenza didattica.
Dopo i saluti di rito, per prima cosa prese la bacchetta di legno da sopra la scrivania e la spezzò in varie parti, facendo gioire i ragazzi che la temevano.

Domandò:

“Chi ha portato in classe questo strumento di tortura?”
Dall’ultimo banco si alzò la mano dell’allievo più robusto, solo perché ripetente, che con orgoglio disse:
“Sono stato io su richiesta della nostra maestra Pia!”
La supplente sorrise ed aggiunse:
“Scommetto che questa bacchetta è stata usata maggiormente con te.
Certamente non è stata pia nei tuoi riguardi e non occorre che guardi il registro!”

Lo scolaro chiese:

“Come fa a saperlo?”
La risposta dell’insegnante fu:
“Perché sei il meno furbo di tutti.
Hai portato a scuola lo strumento che ti punisce ed addirittura ne sei fiero.
Fino a quando io sarò in questa classe userò il metodo Montessori che non prevede bacchettate.
Questo metodo vi farà amare di più la scuola e le sue materie, ed arriveremo al punto che le vacanze vi annoieranno!”

Ricordi, ricordi di un tempo passato, oggi nuovamente attuali.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Un nodo alla punta del lenzuolo

Un nodo alla punta del lenzuolo

In una scuola, durante una riunione con i genitori degli alunni, la Direttrice metteva in risalto l’appoggio che i genitori devono dare ai loro figli.
Capiva che, la maggior parte dei genitori della comunità erano lavoratori, ma chiedeva loro di passare il maggior tempo possibile con i propri figli, per ascoltarli e capirli.
Tuttavia, la direttrice rimase sorpresa quando un padre si alzò e spiegò, in maniera umile, che lui non aveva il tempo di parlare con suo figlio durante la settimana.
Quando rientrava dal lavoro, molto tardi,

il figlio era ormai addormentato.

Quando usciva per andare al lavoro, era molto presto e suo figlio stava ancora dormendo.
Spiegò, inoltre, che doveva lavorare in questo modo per provvedere al sostentamento della famiglia.
Dichiarò anche che non avere il tempo per suo figlio, l’angosciava molto e cercava di rimediare andando tutte le notti a baciarlo, quando arrivava a casa e, affinché suo figlio sapesse della sua presenza, faceva un nodo alla punta del lenzuolo.
Questo succedeva religiosamente ogni notte in cui si recava a baciarlo.
Quando il figlio si svegliava e vedeva il nodo, sapeva che suo papà era stato lì e lo aveva baciato.

Il nodo era il mezzo di comunicazione fra loro.

La direttrice si emozionò per quella storia singolare e si sorprese ancora di più quando constatò che suo figlio, era uno dei migliori alunni della scuola.
Il fatto ci fa riflettere sulle molteplici forme in cui le persone possono essere presenti e comunicare con gli altri.
Quel padre aveva trovato la sua maniera, che era semplice ma efficace.
E la cosa più importante era che suo figlio percepiva, attraverso il nodo affettivo, quello che suo papà gli stava dicendo.
Certe volte ci preoccupiamo per il modo in cui diciamo le cose e dimentichiamo che la cosa principale è la comunicazione attraverso il sentimento.

Semplici dettagli come un bacio e un nodo alla punta del lenzuolo,

significavano, per quel figlio, molto di più che regali e scuse varie.
È importante che ci preoccupiamo per le persone ma è più importante che esse lo sappiano, che possano sentirlo.
Affinché esista la comunicazione, è necessario che le persone “ascoltino” il linguaggio del nostro cuore, poiché, in materia di affetto, i sentimenti parlano sempre più forte delle parole.
È per questo motivo che un bacio, rivestito del più puro affetto, cura il mal di testa, l’abrasione al ginocchio, la paura per il buio.
Le persone qualche volta non capiscono il significato di molte parole, però sanno registrare un gesto d’amore.
Anche se il gesto è solamente un nodo.
Un nodo pieno d’affetto e amore …

Brano tratto dal libro “Un Regalo Para Ti.” di Patricia Morgado Tapia

Il professore e le domande su Dio

Il professore e le domande su Dio

Germania, primi anni del XX secolo.
Durante una conferenza tenuta per gli studenti universitari, un professore ateo dell’Università di Berlino lanciò una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda:
“Dio ha creato tutto quello che esiste?”
Uno studente diligentemente rispose:
“Sì! Certo!”
“Allora Dio ha creato proprio tutto?” replicò il professore
“Certo!” affermò lo studente

Il professore rispose:

“Se Dio ha creato tutto, allora Dio ha creato il male, poiché il male esiste e, secondo il principio che afferma che noi siamo ciò che produciamo, allora Dio è il Male!”
Gli studenti ammutolirono a questa asserzione.
Il professore, piuttosto compiaciuto con se stesso, si vantò con gli studenti che aveva provato per l’ennesima volta che la fede religiosa era un mito.
Un altro studente alzò la sua mano e disse:
“Posso farle una domanda, professore?”
“Naturalmente!” replicò il professore.
Lo studente si alzò e disse:
“Professore, il freddo esiste?”
“Che razza di domanda è questa?
Naturalmente, esiste!
Hai mai avuto freddo?”
Gli studenti sghignazzarono alla domanda dello studente.

Il giovane replicò:

“Infatti signore, il freddo non esiste.
Secondo le leggi della fisica, ciò che noi consideriamo freddo è in realtà assenza di calore.
Ogni corpo od oggetto può essere studiato solo quando possiede o trasmette energia ed il calore è proprio la manifestazione di un corpo quando ha o trasmette energia.
Lo zero assoluto (-273 °C) è la totale assenza di calore; tutta la materia diventa inerte ed incapace di qualunque reazione a quella temperatura.
Il freddo, quindi, non esiste.
Noi abbiamo creato questa parola per descrivere come ci sentiamo… se non abbiamo calore!”
Lo studente continuò:
“Professore, l’oscurità esiste?”
Il professore rispose:
“Naturalmente!”

Lo studente replicò:

“Ancora una volta signore, è in errore, anche l’oscurità non esiste.
L’oscurità è in realtà assenza di luce.
Noi possiamo studiare la luce, ma non l’oscurità.
Infatti possiamo usare il prisma di Newton per scomporre la luce bianca in tanti colori e studiare le varie lunghezze d’onda di ciascun colore.
Ma non possiamo misurare l’oscurità.
Un semplice raggio di luce può entrare in una stanza buia ed illuminarla.
Ma come possiamo sapere quanto buia è quella stanza?
Noi misuriamo la quantità di luce presente.
Giusto?
L’oscurità è un termine usato dall’uomo per descrivere ciò che accade quando la luce non è presente!”
Finalmente il giovane chiese al professore:
“Signore, il male esiste?”

A questo punto, titubante, il professore rispose:

“Naturalmente, come ti ho già spiegato.
Noi lo vediamo ogni giorno.
È nella crudeltà che ogni giorno si manifesta tra gli uomini.
Risiede nella moltitudine di crimini e di atti violenti che avvengono ovunque nel mondo.
Queste manifestazioni non sono altro che male!”
A questo punto lo studente replicò:
“Il male non esiste, signore, o almeno non esiste in quanto tale.
Il male è semplicemente l’assenza di Dio.
È proprio come l’oscurità o il freddo, è una parola che l’uomo ha creato per descrivere l’assenza di Dio.
Dio non ha creato il male.
Il male è il risultato di ciò che succede quando l’uomo non ha l’amore di Dio presente nel proprio cuore.
È come il freddo che si manifesta quando non c’è calore o l’oscurità che arriva quando non c’è luce!”
Il giovane fu applaudito da tutti in piedi e il professore, scuotendo la testa, rimase in silenzio.
Il rettore dell’Università si diresse verso il giovane studente e gli domandò:
“Qual è il tuo nome?”
“Mi chiamo Albert Einstein, signore!” rispose il ragazzo.

Aneddoto attribuito ad Albert Einstein

Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa

Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa

Una volta, in una piccola città, uguale a tante altre, cominciarono a succedere dei fatti strani.
I bambini dimenticavano di fare i compiti, i grandi si dimenticavano di togliersi le scarpe prima di andare a dormire, nessuno si salutava più.
Le porte della chiesa rimanevano chiuse.
Le campane non suonavano più.
Nessuno sapeva più le preghiere.

Un lunedì mattina, però, un maestro domandò ai suoi alunni:

“Perché ieri non siete venuti a scuola?”
“Ma ieri era domenica!” risposero gli scolari, “La domenica non c’è scuola!”
“Perché?” chiese il maestro.
Gli alunni non seppero che cosa rispondere.
Si avvicinava il Natale.
“Perché suonano questa musica dolce?”
“Perché sull’albero ci sono le candele?”
Nessuno lo sapeva.

Due amici avevano litigato:

si erano insultati fino a diventare rauchi.
“Ora non ho più nessun amico.” pensava tristemente uno di loro il giorno dopo.
E non sapeva che cosa fare.
La piccola città si faceva sempre più grigia e triste.
La gente diventava ogni giorno più egoista e litigiosa.
“Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa!” ripetevano tutti.
Un giorno soffiava un forte vento tra i tetti, così forte da smuovere le campane della chiesa.

La campana più piccola suonò.

Improvvisamente la gente si fermò e guardò in alto.
E un uomo per tutti esclamò:
“Ecco che cosa abbiamo dimenticato: Dio!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’orologio del contadino

L’orologio del contadino

Un’insegnante della scuola primaria era molto preoccupata perché i suoi alunni, nonostante i continui richiami, arrivavano a lezione o troppo presto o in ritardo.
L’unico ad essere puntuale era il figlio di un contadino.
Pensò a cosa potesse fare per risolvere il problema e

decise di affidare ai suoi alunni un compito per casa.

Il compito consisteva nel disegnare l’orologio di un genitore con indicata l’ora di inizio delle lezioni.
Tutti disegnarono l’orologio come da consegna,

tranne il figlio del contadino che disegnò un gallo, un sole, un campanile ed un treno.

La maestra chiese delucidazioni e l’alunno spiegò:
“Mio padre si alza con il canto del gallo, si regola con il sole, con i tocchi del campanile e con il passaggio del treno, che lo fa arrabbiare perché, molte volte, fa cinque minuti di ritardo!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Tutti saranno pronti a criticare l’unica cosa sbagliata che farete

Tutti saranno pronti a criticare l’unica cosa sbagliata che farete

9×1=7
9×2=18
9×3=27
9×4=36
9×5=45
9×6=54
9×7=63
9×8=72
9×9=81
9×10=90

Quando ebbe finito di scrivere, si voltò verso la classe.

Tutti gli alunni stavano ridendo per l’evidente errore fatto nella prima riga.
L’insegnante attese qualche istante poi disse:
“Ho scritto la prima operazione sbagliata di proposito.
Voglio che impariate una lezione molto importante.

Questo è per spiegarvi come il mondo là fuori, vi tratterà.

Tutti avete visto che ho scritto nove operazioni corrette.
Ma nessuno mi ha detto che sono stata brava.
Tutti però avete notato subito e riso per l’unico errore che ho fatto, focalizzandovi su quello.

Questa è la lezione:

Il mondo non apprezzerà le tante cose giuste che farete.
Tutti saranno pronti a criticare l’unica cosa sbagliata che farete.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Come ho amato te non ho mai amato!!!


Come ho amato te non ho mai amato!!!

Un grande professore universitario docente di filosofia, come sua consuetudine ormai da 20 anni, arriva in aula e scrive alla lavagna.
“COME O AMATO TE
NON O MAI AMATO!!!”
Con una voce triste come non mai, chiede ai suoi alunni.
“Cosa ho scritto?”
Tutti imbarazzati tacciono.
Dai, dice il professore è facile da leggere.
Una ragazza si alza e legge:
“COME HO AMATO TE
NON HO MAI AMATO!!!”
Bene, dice il professore:
“Ieri sera ho invitato a cena una donna che è stata capace di farmi sentire nel profondo del mio cuore queste parole.
Ci siamo frequentati per 2 mesi.
Le nostre anime hanno vibrato insieme, tutto era meraviglioso.

Ieri volevo chiederle di sposarmi.

L’ho portata a cena.
Tutto era favoloso.
Lei era favolosa.
Sentivo la mia voce strozzarsi in gola.
Ho tirato fuori il mio quaderno, ne ho strappato un pezzetto e come si faceva da bambini le ho scritto:
“COME O AMATO TE
NON O MAI AMATO!!!”
Come un bambino, mi aspettavo di vedere sorgere un sorriso sulle sue meravigliose labbra.
Il suo viso si è spento.
Ha iniziato a piangere.
Si è scusata perché non riusciva a trattenersi ed è andata via.
Incredulo, l’ho rincorsa.
Volevo, dovevo sapere perché di quella reazione.”
Alla fine mi ha risposto:
“Tu sei un grande professore di filosofia.
Io una stimata professoressa di lettere.
Come puoi aver commesso quell’errore?

Non riesco a crederci, non riesco!”

Avrei potuto spiegarle che lo avevo fatto consapevolmente solo per fingere di essere tornati bambini.
Per dimostrarle che l’amore che provo per lei è capace di trasportarmi a quando non sapevo distinguere una O da una HO.
Ma in quell’attimo ho capito.
Amarsi non è essere perfetti.
Amarsi non è fare sempre la cosa giusta.
Lei cercava un amore perfetto.
Io non l’avrei mai resa felice.
Sono stato zitto.
RAGAZZI CERCATE DI NON AMARE LA FORMA
AMATE IL CONTENUTO!!!

Brano senza Autore, tratto dal Web