L’aiuto missionario

L’aiuto missionario

Mentre il Padreterno è intento a leggere la posta del mattino, qualcuno bussa energicamente alla porta del suo studio.
Sono Gesù, lo Spirito Santo e la Madonna con tanti bambini.

“Perché piangete?” chiede il Padreterno.

“Padre Santo,” risponde Maria, “molti bambini che tu hai mandato sulla terra un mese fa, sono ritornati perché sono stati rifiutati!”
Il Padreterno diventa triste e domanda a Gesù:
“È ritornato anche Arturo, il futuro scienziato a cui avevo consegnato la cura del cancro?”

“Si, Padre mio, anche lui!” rispose Gesù.

“La piccola Matilde, è ritornata anche lei?” domandò ancora il Padreterno.
“Si,” risponde lo Spirito Santo, “i genitori a cui l’avevi affidata non volevano una bimba down!”
Mentre il Padreterno si asciuga le lacrime dice:

“Il mio piccolo Kimbi, la mia perla nera, è rientrato anche lui?”

“No,” risponde felicemente la Santa Vergine, “lui è rimasto in Africa, l’aiuto e l’impegno missionario di Rino e dei suoi amici, hanno permesso alla sua mamma di poterlo accogliere anche se molto povera.
Il Padreterno, rincuorato da questa bella notizia, si alza in piedi e dice:
“Da questo momento, tutti i bambini che sono rientrati saranno gli angeli protettori di Rino e di tutti coloro che difendono la vita!”

Brano senza Autore.

I due bambini ed il laghetto gelato

I due bambini ed il laghetto gelato

Una volta, due piccoli amici si divertivano a pattinare su un laghetto gelato.
Era una sera nuvolosa e fredda, i due bambini giocavano senza timore; improvvisamente il ghiaccio si spaccò e si aprì inghiottendo uno dei bambini.
Lo stagno non era profondo, ma il ghiaccio cominciò quasi subito a rinchiudersi.

L’altro bambino corse alla riva,

afferrò la più grossa pietra che riuscì a trovare e si precipitò dove il suo piccolo compagno era sparito.
Cominciò a colpire il ghiaccio con tutte le sue forze, picchiò e picchiò finché riuscì a rompere il ghiaccio, afferrare la mano del suo piccolo amico e aiutarlo a uscire dall’acqua….
Quando arrivarono i pompieri e videro quanto era accaduto si chiesero sbalorditi:

“Ma come ha fatto?

Questo ghiaccio è pesante e solido, come ha potuto spaccarlo con questa pietra e quelle manine minuscole?”
In quel momento comparve un anziano che disse:
“Io so come ha fatto!”

“Come?” chiesero i pompieri.

Il vecchietto rispose:
“Non aveva nessuno dietro di lui a dirgli che non poteva farcela!”

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il “sì” dei facchini

Il “sì” dei facchini

È bello poter raccontare una storia di successo, soprattutto quando la si è vissuta in prima persona.
Tanti anni fa fui ispirato dalla lettura del libro “La valle dell’Eden.” di John Steinbeck.
Seminai il primo campo di fagioli, non seguendo più la tradizioni delle nostre parti.

La nostra usanza si limitava alla coltivazione di un piccolo orticello familiare.

Dovendoli vendere freschi al mercato generale di Treviso, decisi di proporli ad un commerciante che accettò senza entusiasmo, essendo il mercato saturo di fagioli campani e piemontesi.
Dovendo fare la bolla di consegna per il conto vendita, riportavo il peso esatto considerando il calo fisiologico.
Nell’estratto conto della vendita reale, però, trovavo però l’ammanco di diversi kilogrammi e preoccupato feci una indagine, scoprendo che la colpa era dei facchini.
Per consuetudine, questi facevano la provvista quotidiana per uso privato di ortaggi e frutta,

prendendo solo i migliori in assoluto presenti nel mercato.

Invece di arrabbiarmi, li ringraziai di essere comportati come l’Uomo del Monte della nota pubblicità, dato che avevano preferito i miei borlotti.
Promisi loro di regalargli qualche kg di fagioli purché non ne avessero intaccato il peso.
Galvanizzato dalla scoperta che i miei fagioli erano, per bontà e freschezza, i migliori del mercato, decisi di dare loro un nome e li chiamai Levada, proprio come il mio paese.
Stampai le etichette-promo sponsorizzato da una banca locale, riscontrando un immediato successo, anche mediatico.
Non contento, con l’appoggio delle istituzioni fondai la confraternita Borlotto Nano Levada, siccome anche altri miei paesani seguirono il mio esempio.

La Pro Loco istituì la Festa del Borlotto Nano di Levada,

la quale riscontrò un successo di presenze per la qualità dei piatti proposti a tema.
Attualmente durante la festa viene eletta anche Miss Fagiolo. (alla fine del brano la foto dell’autore con l’ultima Miss)
Tutto ovviamente grazie al provvidenziale “si” dei facchini ai miei fagioli, che decretarono così il successo delle mie fatiche, iniziate leggendo un libro ed inseguendo un sogno, ora condiviso con tanti amici.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Nella foto l’autore del brano Dino De Lucchi ed Elena Comazetto, eletta Miss Fagiolo alla XXIII Festa del Borlotto Nano di Levada.

I momenti di felicità

I momenti di felicità

Un turista si fermò, per caso, nei pressi di un grazioso villaggio immerso nella campagna.
La sua attenzione fu attirata dal piccolo cimitero:
era circondato da un recinto di legno lucido e c’erano tanti alberi, uccelli e fiori incantevoli.
Il turista s’incamminò lentamente in mezzo alle lapidi bianche distribuite a casaccio in mezzo agli alberi.

Cominciò a leggere le iscrizioni.

La prima:
Giovanni Tareg, visse 8 anni, 6 mesi, 2 settimane e 3 giorni.
Un bambino così piccolo seppellito in quel luogo…
Incuriosito, l’uomo lesse l’iscrizione sulla pietra di fianco, diceva:
Denis Kalib, visse 5 anni, 8 mesi e 3 settimane.
Un altro bambino…
Una per una prese a leggere le lapidi.
Recavano tutte iscrizioni simili:
il nome e il tempo di vita esatto del defunto, ma la persona che aveva vissuto più a lungo aveva superato a malapena gli undici anni…
Si sentì pervadere da un grande dolore, si sedette e scoppiò in lacrime.
Una persona anziana che stava passando rimase a guardarlo piangere in silenzio e poi gli chiese se stesse piangendo per qualche famigliare.
“No, no, nessun famigliare,” disse il turista, “ma che cosa succede in questo paese?
Che cosa c’è di così terribile da queste parti?
Quale orribile maledizione grava su questa gente, per cui tutti muoiono bambini?”

L’anziano sorrise e disse:

“Stia sereno.
Non esiste nessuna maledizione.
Semplicemente qui seguiamo un’antica usanza.
Quando un giovane compie quindici anni, i suoi genitori gli regalano un quadernetto, come questo qui che tengo appeso al collo.
Ed è tradizione che a partire da quel momento, ogni volta che uno di noi vive intensamente qualcosa apre il quadernetto e annota quanto tempo è durato il momento di intensa e profonda felicità.
Si è innamorato… Per quanto tempo è durata la grande passione?
Una settimana? Due? Tre settimane e mezzo?
E poi… l’emozione del primo bacio quanto è durata?
Il minuto e mezzo del bacio? Due giorni? Una settimana?

E la gravidanza o la nascita del primo figlio?

E il matrimonio degli amici?
E il viaggio più considerato?
E l’incontro con il fratello che ritorna da un paese lontano?
Per quanto tempo è durato il piacere di quelle situazioni?
Ore? Giorni?
E così continuiamo ad annotare sul quadernetto ciascun momento in cui assaporiamo il piacere… ciascun momento.
Quando qualcuno muore, è nostra abitudine aprire il suo quadernetto e sommare il tempo in cui ha assaporato una soddisfazione piena e perfetta per scriverlo sulla sua tomba, perché secondo noi quello è l’unico, vero tempo vissuto!”

Non limitarti ad esistere… vivi!
Non limitarti a toccare… senti!
Non limitarti a guardare… vedi!
Non limitarti a udire… ascolta!
Non limitarti a parlare… dì qualcosa!

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Le tipicità italiane

Le tipicità italiane

L’esperienza vissuta durante il servizio militare mi ha fatto maturare umanamente ed amare ancor di più la bella e varia Italia.
In quel periodo ho avuto modo di conoscere ed apprezzare gli amici meridionali e la loro cultura greco latina.
Facevo parte della III brigata missili a Elvas di Bressanone (Bolzano), base situata sopra ad una montagna, e nell’esercito il mio incarico era quello di condurre di camion.
Per svolgere l’incarico, oltre l’idoneità, non servivano particolari titoli di studio, cosa invece richiesta per gli altri incarichi, visto che dovevano essere effettuati complicati calcoli di lancio, non essendoci la tecnologia di oggi.

La mia brigata era composta prevalentemente da laureati e diplomati,

specialmente del sud, tutta gente intelligente e tranquilla.
L’oggetto che circolava di più all’interno della caserma era il libro.
Avendo tanto tempo libero, mi adoperai a rendere la permanenza, di tutti i miei amici commilitoni, la più gradevole possibile.
Lavavo per bene la camerata e passavo il pavimento con la cera profumata, facendomi, con il mio gesto gratuito, ben volere da tutti.
Quando tornavano dalla licenza mi invitavano a condividere le rispettive tipicità regionali, da me molto apprezzate, scoprendo così gusti e sapori diversi, come ad esempio, i favolosi formaggi, i curatissimi salumi, le buonissime confetture, ecc.

Un vero ben di Dio che ho parzialmente ritrovato in seguito nei marchi IGP e DOP.

Quando fu il mio turno di ritornare dalla licenza, non sapevo precisamente cosa portare.
Mi presentai con delle focacce caserecce e con una bottiglia di grappa Veneta a distillazione lenta alle erbe aromatiche e miele.
Le focaccine furono molto gradite, ma la grappa non fu nemmeno assaggiata e ne rimasi amareggiato.
Trascorso qualche giorno, ci fu un allarme Nato e restammo per due giorni in una foresta,

circondati da neve e ghiaccio, a meno 10 gradi.

Avevo portato con me la mia grappa e la proposi ai miei amici come “antigelo”, visto che erano letteralmente congelati.
La grappa andò a ruba e ricordo che un mio amico campano, diventato più bianco della neve per il gelo, bevendo il mio distillato, improvvisamente, divenne tutto rosso in viso.
Da quel momento il suo soprannome fu Bandiera.
Grande fu la mia soddisfazione per aver contribuito, anche grazie alla mia grappa veneta, all’unità d’Italia, concretizzata da piccoli scambi enogastronomici nel nostro piccolo universo di allora, quello grigio verde.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Sei tu Gesù? (Il banco di mele)

Sei tu Gesù? (Il banco di mele)

Un gruppo di venditori fu invitato ad un convegno.
Tutti i venditori avevano promesso alle proprie famiglie che sarebbero arrivati in tempo per la cena del venerdì sera.
Il convegno terminò un po’ più tardi del previsto, ed arrivarono in ritardo all’aeroporto.
Entrarono tutti correndo tra i corridoi dell’aeroporto, con i biglietti e i documenti in mano.
All’improvviso, e senza volerlo, uno dei venditori inciampò in un banco su cui c’era un cesto di mele.

Le mele caddero e si sparsero per terra.

Senza aspettare e senza guardare indietro, i venditori, continuando a correre, riuscirono a salire sull’aereo.
Tutti meno uno.
Quest’ultimo si trattenne, respirò a fondo, e sperimentò un sentimento di compassione per la padrona del banco di mele.
Disse ai suoi amici di continuare senza di lui e chiese ad uno di loro di avvertire sua moglie all’arrivo e di spiegarle che sarebbe rientrato con il volo successivo un po’ più tardi, dato che non era sicuro di riuscire ad avvisarla in tempo.
Ritornò al terminal e trovò tutte le mele ancora sparse a terra.
La sorpresa fu enorme quando si rese conto che la padrona delle mele era una bambina cieca.

La vide mentre piangeva, grandi lacrime scorrevano sulle sue guance.

Toccava il pavimento, cercando, invano, di raccogliere le mele, mentre moltitudini di persone le passavano accanto senza fermarsi; senza che a nessuno importasse nulla dell’accaduto.
L’uomo inginocchiatosi con lei, mise le mele nella cesta e l’aiutò a montare di nuovo il banco.
Mentre lo faceva, si rese conto che molte cadendo si erano rovinate.
Le prese e le mise nella cesta.
Quando terminò, tirò fuori il portafoglio e disse alla bambina:
“Prendi, per favore, questi cento euro per il danno che abbiamo fatto.
Tu stai bene?”
Lei, sorridendo, annuì con la testa.
Lui continuò dicendole:
“Spero di non aver rovinato la tua giornata!”
Il venditore cominciò ad allontanarsi e la bambina gridò:

“Signore…”

Lui si fermò e si girò a guardare i suoi occhi ciechi.
Lei continuò: “Sei tu Gesù?”
Lui si fermò immobile, girandosi un po’ di volte, prima di dirigersi per andare a prendere il volo, con questa domanda che gli bruciava e vibrava nell’anima:
“Sei tu Gesù?”

Brano senza Autore.

Lavorare troppo poco

Lavorare troppo poco

Nel 1984 mi trovai senza lavoro per il fallimento della fabbrica dove ero stato assunto.
Il riposo forzato durò solo otto giorni dato che degli amici universitari mi invitarono ad andare con loro a Cortina, visto che dovettero andare a cercare lavoro per la seguente stagione estiva.
Mentre attendevo il loro ritorno in macchina, improvvisamente mi vennero a chiamare.
In quell’albergo erano alla ricerca di un giardiniere tuttofare, ed insistettero affinché mi proponessi.

Alla fine venni assunto.

Il nuovo lavoro consisteva nel curare un piccolo giardino e nell’innaffiarlo.
Sfortunatamente l’estate piovosa rendeva tutto inutile, ma venivo comunque lodato per la bellezza momentanea del giardino.
Dovevo altresì aiutare il facchino a portare le valigie quando era oberato di lavoro, compito che svolgevo volentieri.
Siccome mi vergognavo, mi dileguavo subito dopo aver portato le valigie, senza attendere la mancia.
Gli ospiti quando mi incontravano, in un secondo momento,

insistevano affinché la accettassi.

La mancia era quasi sempre il doppio di quella del facchino che, diversamente da me, tendeva la mano.
Diventò geloso di quello che stava accadendo e mi chiamava sempre di meno.
Abituato al lavoro duro e costante della fabbrica, chiesi al direttore di farmi lavorare di più perché mi annoiavo.
Questi mi disse di mettermi nella hall dell’albergo e di stare con le mani dietro la schiena con la mia bella divisa per fare scena, compito che risultò essere di una sofferenza inaudita per me.

Allora decisi di inventarmi il lavoro, da solo.

Andavo in qualche stanza a svitare le lampadine e aspettavo che mi chiamassero per risolvere il problema; per la direzione divenni un bravo elettricista.
Un’altra invenzione che ebbe successo fu quella di appendere nell’ascensore, dopo averlo battuto a macchina, l’oroscopo del giorno, che copiavo con larga licenza da vecchi giornali, scrivendo solo belle parole per tutti i segni.
In alcuni momenti pensavo di essere anch’io un ospite del rinomato albergo e mi stupivo del fatto che mi pagassero.
Alla scadenza del mese, non ci crederete, mi licenziai, visto che mi facevano lavorare troppo poco, ed anche perché facevo le “notti piccole”, coinvolto nelle serate della mitica e tentacolare Cortina.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il rimorso di un padre

Il rimorso di un padre

Ascolta, figlio:
“Ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte.”
Mi sono introdotto nella tua camera da solo:
“Pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un’ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.”
E stavo pensando a queste cose:
“Ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe.
Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto:

hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo.
Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato:
“Ciao, papino!” e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: “Su diritto con la schiena!”
E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze bucate.
Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoli a casa.
Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura.
Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell’offesa subita?
Quando ho alzato gli occhi dal giornale, impaziente per l’interruzione, sei rimasto esitante sulla porta.

“Che vuoi?” ti ho aggredito brusco.

Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l’affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai.
Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale.
Be’, figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un’angoscia terribile.
Cosa mi sta succedendo?
Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto?
Nient’altro per stanotte, figliolo.
Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.
È una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio.
Ma domani sarò per te un vero papà.
Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti.

Continuerò a ripetermi, come una formula di rito:

“È ancora un bambino, un ragazzino!”
Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo.
E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino.
Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla spalla.
Ti ho sempre chiesto troppo, troppo!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La casetta in vendita

La casetta in vendita

Un uomo che viveva in città decise di vendere una casetta che possedeva in campagna, ereditata dai genitori.
Incontrò un amico giornalista, che faceva il poeta per hobby, e gli chiese di aiutarlo a scrivere un annuncio da inserire sul giornale e anche su Internet:
“Voglio vendere quella bicocca che ho in campagna, quella che conosci anche tu.
Mi scrivi un buon annuncio?”

Il poeta scrisse:

“Vendo una bella proprietà, dove all’alba trillano gli uccelli, circondata da un bosco verde, attraversato dall’acqua pulita e scintillante di un torrente.
La casa è inondata dal sole nascente e offre un’ombra fresca e riposante nella veranda.
Grilli e stelle allietano la serata.”
Qualche tempo dopo, il poeta incontrò l’amico e gli chiese:

“Hai venduto la casetta?”

“No!” rispose il proprietario della casetta, “Ho cambiato idea.
Quando ho letto l’annuncio che avevi scritto tu, ho capito che possedevo un tesoro!”

Sottovalutiamo spesso le cose buone che abbiamo, inseguendo i miraggi falsi che tanto brillano in tv.

Oggi, guardati intorno e apprezza ciò che hai:

la tua casa, i tuoi cari, gli amici su cui puoi davvero contare, le conoscenze che hai acquisito, la tua buona salute e tutte le cose belle della vita, che sono veramente il tuo tesoro più prezioso.

Brano tratto dal libro “L’allodola e le tartarughe.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il giuramento

Il giuramento

Un antico imperatore cinese fece, un giorno, un solenne giuramento:
“Conquisterò e cancellerò dal mio regno tutti i miei nemici!”

Un po’ di tempo dopo, i sudditi, sorpresi,

videro l’imperatore che passeggiava per i giardini imperiali a braccetto con i suoi peggiori nemici, ridendo e scherzando.
“Ma…” gli disse sorpreso un cortigiano,

“…non avevi giurato di cancellare dal tuo regno tutti i tuoi nemici?”

“Li ho cancellati, infatti!” rispose l’imperatore, “Li ho fatti diventare tutti miei amici!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.