Hai visto il cielo stamattina?

Hai visto il cielo stamattina?

Dalla sua finestra affacciata sulla piazza del mercato il maestro vide uno dei suoi allievi, un certo Haikel, che camminava in fretta, tutto indaffarato.
Lo chiamò e lo invitò a raggiungerlo:

“Haikel, hai visto il cielo stamattina?”

“No, maestro!” rispose l’allievo.
“E la strada, Haikel?
La strada l’hai vista stamattina?” chiese il maestro.
“Sì, Maestro!” disse Haikel.
“E ora, la vedi ancora?” domandò, allora, il maestro.

“Sì, Maestro, la vedo!” replicò il giovane.

“Dimmi che cosa vedi!” esclamò il maestro.
“Gente, cavalli, carretti, mercanti che si agitano, contadini che si scaldano, uomini e donne che vanno e vengono, ecco che cosa vedo!” spiegò Haikel.
“Haikel, Haikel,” lo ammonì benevolmente il Maestro, “fra cinquant’anni, fra due volte cinquant’anni ci sarà ancora una strada come questa e un altro mercato simile a questo.
Altre vetture porteranno altri mercanti per acquistare e vendere altri cavalli.

Ma io non ci sarò più, tu non ci sarai più.

Allora io ti chiedo, Haikel, perché corri se non hai nemmeno il tempo di guardare il cielo?”

Hai visto il cielo stamattina?

Brano senza Autore

Il Messia in ritardo

Il Messia in ritardo

Ad una comunità ebraica molto osservante fu annunciato che nella notte solenne del sabato di Pasqua il Messia sarebbe arrivato.
Avrebbe cominciato la sua missione proprio dalla comunità.

Il giorno di sabato, si radunarono tutti.

Le donne avevano preparato la cena, osservando ancora più scrupolosamente le prescrizioni della tradizione e della Legge, gli uomini avevano provato a lungo la musica, i canti e le danze.
Sapevano che in quella notte, finalmente, il Messia sarebbe arrivato.
La festa cominciò…
Mezzanotte: da lì a poco l’avrebbero visto!
L’una del mattino: il suo arrivo era imminente.

Le due: i cuori battevano più forte.

Le tre: la stanchezza cominciava a farsi sentire.
Le quattro: alcuni cominciarono a perdersi d’animo.
Le cinque: sonnecchiavano e sbadigliavano tutti…
Non arrivava ancora…
A mezzogiorno, il Messia bussò finalmente alla porta!

Entrando disse educatamente:

“Scusatemi, ma ho incontrato un bambino che piangeva e mi sono fermato a consolarlo!”
Finché ci saranno bambini che piangono, il Messia non arriverà!

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Oscar ed il (Papà) gigante

Oscar ed il (Papà) gigante

Il primo ricordo di Oscar è la faccia del gigante.
Era un faccione smisurato e terribile, tutt’intorno ad una bocca larghissima piena di denti.
Il faccione aveva una strana espressione.
“Adesso mi mangia!” pensò Oscar e cominciò a strillare con tutta la forza delle sue minuscole ma tenacissime corde vocali.
La mamma accorse e il gigante sparì.
Stretto stretto al petto della mamma, Oscar spiegò affannato:
“Mammina, c’era un gigante poco fa sulla mia culla e mi voleva assaggiare!
Un gigantone spaventoso!
Con una grande bocca e tanti denti!”
Naturalmente quello che usciva dalla sua bocca era soltanto:
“Nghè! Nghé! Uè, uè!” ma la mamma aveva il traduttore automatico e capiva.

Il gigante rimase a gironzolare nei dintorni.

Una volta lo prese in mano.
Oscar stava tutto in una sola di quelle manone.
Si preparava a strillare, ma scoprì che la manona era calda, accogliente e il vocione del gigante, che rimbombava “Oh là, là!” non era poi così spaventoso. Anzi.
Così Oscar imparò a vivere con il gigante.
Non sapeva bene che cosa facesse.
Spariva parecchie ore al giorno, ma quando c’era, Oscar si sentiva felice, sicuro, protetto.
Avere un gigante al proprio servizio non è niente male, pensava Oscar.
Quando l’orribile cane del Signor Pacucci minacciò ringhiando i teneri polpacci di Oscar, il gigante lo polverizzò praticamente con la sola apparizione.
Il gigante sapeva fare le operazioni, scrivere le lettere dell’alfabeto e raccontare le storie delle sue terre, piene di orchi, fate, draghi e cavalieri.
Un giorno, arrivò con una biciclettina e insegnò ad Oscar ad usarla.
Gli stette dietro per giorni, al parco, tenendolo con un dito, finché Oscar non fu in grado di pedalare da solo.

“Tump, tump!” facevano i suoi piedoni.

Oscar scoprì che quando sentiva quel “Tump, tump!” tutte le paure svanivano.
Ma un giorno venne il nonno a prendere Oscar a scuola.
Così capì che qualcosa non andava, perché doveva esserci la mamma al suo posto.
Dovevano andare tutti fuori a cena, quella sera, per festeggiare il compleanno della loro amica Laura.
Quando il nonno disse che il gigante aveva avuto un attacco di cuore, Oscar pensò che stesse scherzando.
Ma quando si rese conto che diceva sul serio pensò che sarebbe morto anche lui.
Era troppo scioccato persino per piangere.
Si sentiva intorpidito e indifeso.
Rimase lì, pensando:
“Perché?
Eri così grande, forte e in salute.
Lavoravi ogni giorno all’aperto!”
Pensava che fosse l’ultima persona al mondo che potesse avere un attacco di cuore.
Andare in ospedale fu terribile.
Il gigante era in coma.
C’erano tantissimi tubi e macchine intorno a lui.
Non sembrava nemmeno lui.

Oscar tremava.

Voleva solo che il gigante si svegliasse da quell’orribile incubo e lo portasse a casa.
L’ospedale era pieno di persone.
Erano molto gentili con Oscar.
Il bambino non sapeva che il gigante avesse così tanti buoni amici.
C’era anche Laura, ma non si festeggiò il suo compleanno.
Dopo quel primo giorno ne seguirono altri due di angoscia, di veglia e di preghiere.
Non funzionò.
Il 26 di febbraio accadde la cosa più tragica di tutti i dieci anni di vita di Oscar, e forse anche di tutti gli anni che vivrà.
Il gigante morì.
Con marzo arrivò la festa del papà.
Oscar comprò un bel biglietto d’auguri e scrisse la sua lettera:

“Non so nemmeno se mi hai sentito, quando ti ho detto addio.
Non ero mai stato a un funerale, prima, ma mi sorprese vedere che erano venute più di mille persone.
C’erano tutti i familiari e gli amici, ma anche un sacco di persone che non conoscevo nemmeno.
Immaginai poi che fossero persone che avevi trattato nello stesso modo speciale in cui trattavi me.

Ecco perché tutti ti volevano bene.

Certo, ho sempre saputo che eri speciale, ma in fondo eri il mio papà.
In quel giorno scoprii che eri speciale anche per molte altre persone.
Anche se ormai è passato del tempo, ti penso sempre e mi manchi molto.
Alcune notti piango fino ad addormentarmi, ma cerco di non buttarmi troppo giù.
So che ho ancora molto di cui essere grato.
Tu mi hai dato più amore in dieci anni di quanto molti bambini ne ricevano in tutta la vita.
È vero, non puoi più giocare a palla con me nei fine settimana, né portarmi fuori a colazione, né raccontarmi le tue storielle o passarmi di nascosto qualche spicciolo.
Ma io so che sei ancora con me.

Sei nel mio cuore e nelle mie ossa.

Sento la tua voce, dentro di me, che mi aiuta e mi guida nella vita.
Quando non so che cosa fare, cerco di immaginare quello che mi consiglieresti tu.
Sei ancora qui, a darmi consiglio e ad aiutarmi a capire le cose.
So che qualunque cosa accada, ti vorrò sempre bene e ti ricorderò.
Ho sentito dire che quando qualcuno muore, Dio manda un arcobaleno a prendere la persona per portarla in paradiso.
Il giorno in cui sei morto è apparso in cielo un doppio arcobaleno.
Tu eri alto quasi due metri.
Probabilmente un solo arcobaleno non era abbastanza per portarti fino in paradiso.
Ti voglio bene papà.
Oscar.

Brano senza Autore

Due racconti di Bruno Ferrero per la Festa del Papà

Due racconti di Bruno Ferrero per la Festa del Papà
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Un abbraccio per papà

L’aiuto di papà

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“Un abbraccio per papà”

Degli studenti universitari ebbero come compito per il fine settimana:
dare un lungo e caloroso abbraccio al loro papà.
“Non posso farlo,” protestò uno, “mio padre morirebbe!”

“E poi,” disse un altro, “mio padre sa che lo amo!”

“Allora è facile!” replicò il professore, “Perché non lo fai?”
Il lunedì seguente tutti parlavano, sorpresi, di come fosse stata soddisfacente l’esperienza.
“Mio padre si è messo a piangere!” diceva uno.

E un altro:

“Strano. Mio padre mi ha ringraziato!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” Edizioni ElleDiCi.
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“L’aiuto di papà”

Il padre guardava il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante.
Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.

“Hai usato proprio tutte le tue forze?” gli chiese il padre.

“Sì!” rispose il bambino.
“No!” ribatté il padre, “Perché ancora non mi hai chiesto di aiutarti!”

Brano tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” Edizioni ElleDiCi.

Che cosa sai dell’amicizia?

Che cosa sai dell’amicizia?

Un uomo decise un giorno:
“Voglio conoscere tutto e, se fosse necessario, farò il giro del mondo!”
Così disse e così fece.

L’uomo si mise a percorrere il mondo.

Dai più grandi professori imparò la geografia, la storia e l’intera gamma delle scienze.
Scoprì la tecnica, si entusiasmò per la matematica, si appassionò all’informatica.
Registrò su video, dischetti e Cd tutto quello che aveva imparato e scoperto.
Ritornò a casa soddisfatto e felice.

Diceva:

“Ora, conosco tutto!”
Qualche giorno dopo, fece visita ad un famoso personaggio, conosciuto in tutto il mondo per la sua straordinaria sapienza.
L’uomo voleva confrontare il suo sapere con quello del saggio.
Tirarono a sorte per sapere quale dei due avrebbe dovuto porre la prima domanda.
La sorte designò il grande saggio, il quale si rivolse all’uomo e gli domandò:

“Che cosa sai dell’amicizia?”

L’uomo ripartì, senza dire una parola.
Oggi sta ancora percorrendo il mondo.

Brano di Bruno Ferrero

Da domani sarò triste

Da domani sarò triste

Da domani sarò triste, da domani.
Ma oggi sarò contento.

A che serve essere tristi, a che serve.

Perché soffia un vento cattivo?
Perché dovrei dolermi, oggi, del domani?
Forse il domani è buono.

Forse il domani è chiaro.

Forse domani splenderà ancora il sole.
E non vi sarà ragione di tristezza.

Da domani sarò triste, da domani.

Ma oggi, oggi sarò contento e, ad ogni amaro giorno dirò:
“Da domani, sarà triste. Oggi no.”

Poesia di un ragazzo trovata in un Ghetto nel 1941.
Per non dimenticare! Giornata della Memoria.

Esiste ancora, almeno, una corda

Esiste ancora, almeno, una corda

C’era una volta un grande violinista di nome Paganini.
Alcuni dicevano che era strano.
Altri che era angelico.
Traeva dal suo violino note magiche.
Una sera, il teatro dove doveva esibirsi era affollatissimo.
Paganini fu accolto da un’ovazione.
Il maestro impugnò il violino e cominciò a suonare nel silenzio assoluto.
Brevi e semibrevi, crome e semicrome, ottave e trilli sembravano avere ali e volare al tocco delle sue mani.
Improvvisamente, un suono diverso sospese l’estasi della platea.
Una delle corde del violino di Paganini si ruppe.

Il direttore si fermò.

L’orchestra che accompagnava il violinista tacque.
Il pubblico ammutolì.
Ma Paganini non smise di suonare.
Guardando la partitura, continuò a intessere melodie deliziose con il suo violino.
Ma dopo qualche istante un’altra corda del violino si spezzò.
Il direttore dell’orchestra si fermò.
L’orchestra tacque nuovamente.
Paganini non si fermò.
Come se niente fosse, ignorò le difficoltà e continuò la sua deliziosa melodia.
Il pubblico non si accorse di niente.
Finché non saltò, con un irritante stridio, un’altra corda del violino.
Tutti, attoniti, esclamarono: “Oh!”

L’orchestra si bloccò.

Il pubblico rimase con il fiato sospeso, ma Paganini continuò.
L’archetto correva agile traendo suoni celestiali dall’unica corda che restava del violino.
Neppure una nota della melodia fu dimenticata.
L’orchestra si riprese e il pubblico divenne euforico per l’ammirazione.
Paganini aggiunse altra gloria a quella che già lo circondava.
Divenne il simbolo dell’uomo che sfida l’impossibile.

Libera il Paganini che c’è dentro di te.
Io non so quali problemi ti affliggano.
Può essere un problema personale, coniugale, familiare, non so che cosa stia demolendo la tua stima o il tuo lavoro.
Una cosa la so:

di sicuro non tutto è perduto.

Esiste ancora, almeno, una corda e puoi continuare a suonare.
Impara a scoprire che la vita ti lascerà sempre un’ultima corda.
Quando sei sconfortato, non ti ritirare.
È rimasta la corda della perseveranza intelligente, del “tentare ancora una volta.”
La vita non ti strapperà mai tutte le corde.
È sempre la corda dimenticata quella che ti darà il miglior risultato:
la tua fede, la tua forza interiore, la tua speranza, coloro che ti amano.

Brano senza Autore

Il muro

Il muro

C’era una volta, ma forse c’è ancora, un paese diviso in due da un muro.
Era un muro alto, massiccio, grigio e minaccioso.
Mai, proprio mai, nessuno aveva osato scavalcarlo.
Nel muro non c’erano passaggi, porte o cose simili.
Neanche un buchetto piccolo piccolo.
Quelli che erano nati da questa parte del muro non avevano mai visto quelli che erano nati dall’altra parte e viceversa.

Gigi abitava da questa parte del muro.

Era un bambino gentile, con gli occhi castani e i capelli biondi.
Ma era stufo di giocare sempre da solo nel cortiletto della sua casa, che era stata costruita proprio contro il famoso e tetro muro.
“Perché non posso andare a giocare dall’altra parte del muro?” chiese Gigi, un giorno, alla mamma.
“Perché di là ci abita della gente molto cattiva!” rispose la mamma, “E se non mi credi chiedilo a tuo padre.”
Gigi andò a trovare il padre nel suo laboratorio:
“Perché non posso andare a giocare dall’altra parte del muro?”
“Perché di là ci abita della gente molto cattiva!” rispose il padre.
Gigi ritornò a giocare da questa parte del muro.
Ma ormai la tentazione di dare almeno una sbirciatina al di là del muro era troppo forte.
Vide che il cemento del cortile era scheggiato proprio contro il muro e, quasi con indifferenza, infilò la sua paletta sotto un grosso frammento.
Il pezzo di cemento si alzò con estrema facilità.

Gigi cominciò a scavare con decisione.

Dall’altra parte del muro, c’era un altro cortile, una casetta, un bambino di otto anni con i capelli biondi e gli occhi castani.
Il Gigi dell’altra parte del muro portò il Gigi di questa parte del muro a visitare il suo nascondiglio segreto.
“Io ho un fratello, una sorella e un cane.” gli disse Gigi.
“Proprio come me.” gli rispose Gigi.
Gigi passeggiò con Gigi in lungo e in largo per la città dall’altra parte del muro.
“Ti comprerei un gelato, ma i miei si sono dimenticati come al solito di darmi la paga della settimana.” gli disse Gigi.
“Anche i miei.” disse Gigi.
“Io non me la cavo troppo bene in aritmetica ed ho un po’ paura del buio!” disse Gigi.
“Proprio come me.” gli rispose Gigi.
I due ragazzi si presero a braccetto e ritornarono presso il muro.
“Bisogna sempre stare attenti, perché ci sono delle persone spaventosamente cattive!” disse il Gigi dell’altra parte del muro.
“Dove sono tutte quelle persone spaventosamente cattive?” chiese il Gigi di questa parte del muro.

“Stanno dall’altra parte del muro!” gli rispose Gigi.

Finalmente Gigi si infilò di nuovo nel buco e ritornò a casa sua da questa parte del muro.
Entrò in casa facendo finta di niente, ma la sua fuga era stata notata.
Papà e mamma erano là che lo aspettavano con le mani sui fianchi e il cipiglio delle grandi sgridate.
“Gigi!” gridarono, “Tu sei stato dall’altra parte del muro?”
“Sì!” rispose Gigi.
“Dalla parte dei cattivi?”
“Sì!” rispose Gigi.
“E allora,” gridarono, “come sono?”
“Proprio come noi!” rispose Gigi.

Brano tratto dal libro “Diciassette (17) storie col nocciolo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il punto interrogativo

Il punto interrogativo

Era molto grazioso e, come tutti i punti interrogativi, aveva l’aria molto intelligente.
Da un po’ di tempo, però, girava per il paese sconsolato, amareggiato, deluso e depresso.
Apparentemente, nessuno lo voleva più!
Tutti ricorrevano, con sempre maggiore frequenza, al suo nemico acerrimo:
il punto esclamativo!

Tutti gridavano:

“Avanti!
Fermi!
Muoviti!
Togliti dai piedi!”
Il “punto esclamativo” è tipico dei prepotenti, e oramai i prepotenti dominano il mondo.
Anche per le strade e le vie cittadine, dove un tempo il “punto interrogativo” si sentiva un re, non c’era più nessuno che chiedeva:
“Come stai?” sostituito ora da:
“Ehilà!”
Non c’era più nessuno che fermava l’auto, abbassava il finestrino e chiedeva:
“Per favore, vado bene per Bergamo?”
Ora, usavano tutti il “navigatore satellitare” che impartisce gli ordini con decisione:

“Alla prima uscita, svoltare a destra!”

Stanco di girovagare, si rifugiò in una famiglia.
I bambini hanno sempre amato i punti interrogativi.
Ma, anche là, trovò un padre ed un figlio adolescente, che duellavano tutto il giorno, con i punti esclamativi…
“Non mi ascolti mai!” disse il figlio
“Non m’importa che cosa pensi!
Qui comando io!” esclamò il padre
“Basta! Me ne vado per sempre!” esclamò il figlio.
Alla fine, il padre era spossato e deluso; il figlio mortificato e scoraggiato, quindi aggressivo.
E soffrivano, perché non c’è niente di più lacerante, che essere vicini fisicamente e lontani spiritualmente.
Il punto interrogativo si appostò sotto il lampadario, ed alla prima occasione entrò in azione…
Accigliato e con i pugni chiusi, il padre era pronto allo scontro, ma dalla sua bocca uscì un:
“Che ne pensi?” che stupì anche lui.

Il figlio tacque, sorpreso:

“Davvero lo vuoi sapere, papà?”
Il padre annuì. Parlarono.
Alla fine, dissero quasi all’unisono:
“Mi vuoi ancora bene?”
Il “punto interrogativo” felice, faceva le capriole sopra il lampadario!

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.