La prova di coraggio

La prova di coraggio

“Se vuoi entrare nella nostra banda, lo devi fare!” disse Pietro a muso duro.
Ale fissava la punta delle scarpe.
“Non ho mai rubato!” mormorò.
“C’è sempre una prima volta.
E una prova di coraggio è una prova di coraggio!” ribatté Pietro.
“Non avere fifa!” lo incoraggiò Berni, “Noi distraiamo il vecchio e tu fai sparire il cioccolato in tasca. Dai!”
Ale scrollò le spalle:
“Non è una gran prova di coraggio fregare cioccolato a un vecchio!”
“Vuoi essere dei nostri, sì o no?” chiese allora Pietro, “O sei un vigliacco?”
“Io non sono un vigliacco!” rispose Ale.
E si diressero tutti e tre verso la piccola bottega che vendeva un po’ di tutto.

Il campanello della porta trillò.

Il vecchio li guardò da sopra gli occhiali e li salutò con un cenno del capo.
Pietro e Berni finsero di esaminare la merce con aria indolente.
Poi richiamarono l’attenzione del bottegaio nell’angolo dei quaderni:
“Quanto costa questo?”
“Cinquanta centesimi!” rispose gentilmente il vecchio.
Nella parte opposta del negozio Ale con mossa rapida fece scivolare alcune confezioni di cioccolato nelle tasche.
I ragazzi pagarono il quaderno.
Il vecchio regalò a ciascuno una gomma da masticare.
Lo faceva con tutti i bambini.
I ragazzini corsero via eccitati.
Ai giardini, Ale consegnò il bottino.
“Cioccolato con le nocciole! Grande!” esclamarono i due.

Lo divorarono.

Ale lo trovò spiacevolmente amaro.
“Ora sei dei nostri!” disse Pietro e gli diede un rumoroso “cinque.”
“Io vado a casa!” mormorò Ale.
Passò la serata a studiare e andò a letto senza discutere.
Il mattino dopo, ebbe un tuffo al cuore passando davanti alla bottega del vecchietto.
Alla fine della mattinata di scuola cincischiò con libri e zainetto finché rimase solo, poi entrò nella bottega.
Il campanello trillò e il vecchietto lo accolse cordialmente.
Il ragazzino mise una banconota accanto alla cassa.

“Tre tavolette di cioccolato!” disse.

“Prendile pure Ale!” rispose il vecchio.
“Le ho già prese ieri, signore!” mormorò il bambino arrossendo, che aggiunse:
“Ho dovuto farlo.
Era una prova di coraggio…”
Il vecchio prese la banconota e gli diede il resto, come sempre regalò ad Ale una gomma da masticare.
Poi fece un cenno di approvazione con il capo:
“La prova di coraggio l’hai superata oggi!”

Brano senza Autore

La favola del re Trentatré

La favola del re Trentatré

C’era una volta un re che si chiamava Trentatré.
Un giorno Trentatré pensò che un re deve essere giusto con tutti.
Chiamò Sberleffo, il buffone di corte:
“Io voglio essere un re giusto,” disse Trentatré al suo buffone, “così sarò diverso dagli altri e sarò un bravo re.”
“Ottima idea maestà!” rispose Sberleffo con uno sberleffo.

Contento dell’approvazione il re lo congedò.

“Nel mio regno,” pensò il re, “tutti devono essere uguali e trattati allo stesso modo.”
In quel momento Trentatré decise di cominciare a creare l’uguaglianza nel suo palazzo reale.
Prese il canarino dalla gabbia d’argento e gli diede il volo fuori dalla finestra:
il canarino ringraziò e sparì felice nel cielo.
Soddisfatto della decisione presa, Trentatré afferrò il pesce rosso nella vasca di cristallo e fece altrettanto, ma il povero pesce cadde nel vuoto e morì.

Il re si meravigliò molto e pensò:

“Peggio per lui, forse non amava la giustizia.”
Chiamò il buffone per discutere il fatto.
Sberleffo ascoltò il racconto con molto rispetto, poi gli consigliò di cambiare tattica.
Trentatré, allora, prese le trote dalla fontana del suo giardino e le gettò nel fiume:

le trote guizzarono felici.

Poi prese il merlo dalla gabbia d’oro e lo tuffò nel fiume, ma questa volta fu il merlo a rimanere stecchito.
“Stupido merlo,” pensò Trentatré, “non amava l’uguaglianza.”
E chiamò di nuovo il buffone Sberleffo per chiedergli consiglio.
“Ma insomma!” gridò stizzito il re, “Come farò a trattare tutti allo stesso modo?”
“Maestà,” disse Sberleffo, “per trattare tutti allo stesso modo bisogna, prima di tutto, riconoscere che ciascuno è diverso dagli altri.
La giustizia non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo!”

Brano tratto da “Progetto Calamaio” di Claudio Imprudente