Il maestro di tiro con l’arco e gli allievi

Il maestro di tiro con l’arco e gli allievi

Un grande maestro di tiro con l’arco organizzò una gara tra i suoi allievi per valutare il loro grado di preparazione.
Nel giorno fissato, un bersaglio di legno con al centro un cerchio rosso fu legato su un albero ad una estremità della radura.
All’estremità opposta, fu tracciata sul suolo una linea, dietro la quale si piazzarono i concorrenti.
Un giovane avanzò baldanzosamente, impaziente di dimostrare la sua abilità.
Afferrò saldamente l’arco e una delle frecce, poi si sistemò in posizione di tiro.
“Posso tirare, maestro?” chiese.

Il maestro che lo fissava attentamente gli domandò:

“Vedi i grandi alberi che ci circondano?”
“Sì, maestro, li vedo benissimo tutt’intorno alla radura!” rispose il giovane.
“Bene,” rispose il maestro, “torna con gli altri perché non sei ancora pronto.”
L’allievo, sorpreso, posò l’arco e obbedì.
Un secondo concorrente si fece avanti.
Prese l’arco e la freccia e mirò con cura.
Il maestro si portò di fianco all’arciere e gli chiese:
“Puoi vedermi?”
“Sì, maestro, posso vedervi.
Siete qui vicino a me!” replicò il secondo concorrente.
“Torna a sederti con gli altri.” rispose il maestro, “Tu non potrai mai colpire il bersaglio.”
Tutti i partecipanti, gli uni dopo gli altri, afferrarono l’arco e si prepararono a scoccare la freccia, ma ogni volta il maestro poneva loro una domanda, ascoltava la risposta e li rimandava al loro posto.

La folla sorpresa cominciò a rumoreggiare.

Nessuno degli allievi aveva tirato una sola freccia.
Allora si fece avanti il più giovane degli allievi.
Se n’era stato in disparte, silenzioso.
Tese l’arco poi restò perfettamente immobile, gli occhi fissi davanti a lui.
“Vedi gli uccelli che sorvolano il bosco?” gli chiese il maestro.
“No, maestro, non li vedo!” rispose l’allievo.
“Vedi l’albero sul quale è inchiodato il bersaglio di legno?” domandò allora il maestro.
“No, maestro, non lo vedo!” replicò il giovane.
“Vedi almeno il bersaglio?” lo interrogò.
“No, maestro, non lo vedo!” replicò l’allievo.

Dalla folla degli spettatori si levò una risata.

Come poteva quel ragazzo colpire il bersaglio se non riusciva nemmeno a distinguerlo dall’altra parte della radura?
Ma il maestro impose il silenzio e domandò pacatamente all’allievo:
“Allora, dimmi, che cosa vedi?”
“lo vedo un cerchio rosso!” spiegò il giovane.
“Perfetto!” replicò il maestro, “Tu puoi tirare!”
La freccia solcò l’aria sibilando leggera e si piantò vibrando nel centro del cerchio rosso disegnato sul bersaglio di legno.

Brano senza Autore

Il faro e la nave da guerra

Il faro e la nave da guerra

Una nave da guerra pattugliava un settore particolarmente pericoloso del Mediterraneo.
C’era tensione nell’aria.
La visibilità era scarsa, con banchi di nebbia; così, il capitano era rimasto sul ponte a sorvegliare le varie attività dell’equipaggio.
Poco dopo l’imbrunire, l’uomo di vetta sul ponte annunciò:

“Luce a tribordo!”.

“È ferma o si allontana?” gridò il capitano.
“È ferma, capitano!” rispose la vetta.
Questo significava che la loro nave da guerra era in pericolosa rotta di collisione con l’altra.
Il capitano ordinò al segnalatore:
“Segnala a quella nave che siamo in rotta di collisione e vi consigliamo di correggere la rotta di 20 gradi!”
Giunse di rimando questa segnalazione:
“È consigliabile che siate voi a correggere la rotta di 20 gradi!”

Il capitano disse:

“Trasmetti:
Io sono un capitano.
Correggete voi la rotta di 20 gradi!”
“Io sono un marinaio di seconda classe,” fu la risposta, “fareste meglio a correggerla voi la rotta di 20 gradi!”
Adesso il capitano era furente.
“Trasmetti,” abbaiò:
“Sono una nave da guerra, perciò correggete la vostra rotta di 20 gradi!”

La risposta fu semplice:

“Io sono un faro”.
La nave da guerra cambiò rotta.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il ramo e lo gnomo

Il ramo e lo gnomo

C’era una volta un giovane ramo di un grande albero.
Era nato in primavera, tra il tepore dell’aria e il canto degli uccelli.
In mezzo all’aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti, trascorse i suoi primi mesi di vita.
Era felice: aveva foglie bellissime e, poi, erano sopraggiunti fiori colorati ad adornarlo e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti gli uccelli del cielo potevano nutrirsi.
Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era arrivato l’autunno… i frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore, divenivano sempre più pallide.

Addirittura, di tanto in tanto, il vento se ne portava via qualcuna.

Con l’inverno venne la pioggia, e poi l’aria fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio; non capiva cosa stesse succedendo.
In pochi giorni e in poche notti si trovò spoglio, infreddolito, completamente solo.
Rimase così qualche tempo, fin quando non capì che non poteva far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per poter di nuovo stare insieme a loro.
“Devo darmi da fare!” disse risoluto tra sé e sé.
Cominciò, allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici.
Si rivolse dapprima al mattino:
“Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sai dove le posso trovare?”

Il mattino rispose:

“Ci sono alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro!”
Si rivolse a quegli alberi:
“Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sapete dirmi dove le posso trovare?”
Gli alberi risposero:
“Noi le abbiamo sempre avute, prova a chiedere agli alberi uguali a te!”
Si rivolse ai rami spogli come lui.
“Abbiamo tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti!” gli risposero.
Queste parole lo fecero sentire meno solo.
Si disse che, se avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il luogo in cui si trovavano.
Continuò la sua ricerca e chiese al vento.
“Io le foglie le porto solo via, è la pioggia che le fa crescere.” disse il vento a gran voce.

Si rivolse alla pioggia.

“Le farò crescere a suo tempo.” gli disse la pioggia tintinnando.
Si rivolse allora al tempo.
“Io so tante cose,” gli disse con voce profonda, “il tempo aggiusta tutto, non ti preoccupare: occorrono tanti giorni e tante notti!”
Si rivolse alla notte, ma la notte tacque e lo invitò a riposare.
Si sentiva infatti molto stanco.
Quel ramo così spoglio e indebolito dal freddo e dal proprio silenzio fu capito da uno gnomo, che comprese anche il suo dolore.
Allora il ramo parlò ancora e disse:
“Mi è sembrato di chiudere gli occhi, e, dopo averli riaperti, non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle!”
Lo gnomo pensò a lungo, poi capì:
si tolse gli occhiali e li posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per guardare dentro di sé.
Il ramo, allora, aprì bene gli occhi e… meraviglia… vide che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa circolare, provò ad ascoltare, guardò a fondo:
era linfa, linfa viva che si muoveva in lui.

Incredulo, disse allo gnomo ciò che vedeva.

Lo gnomo gli spiegò che le foglie, i fiori e i frutti nascono grazie alla linfa oltre che al caldo sole, all’aria di primavera e alla pioggia.
“Se hai linfa dentro di te, hai tutto!” gli disse, “non occorre chiedere più nulla a nessuno, ma insieme all’acqua, alla luce, all’aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro!”
Il ramo, immediatamente, si sentì più forte, rinvigorì:
aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere la linfa che circolava in lui.
La linfa da cui, un giorno, sarebbero rinate le amiche foglie.

La sofferenza dell’albero è la nostra sofferenza, quando non comprendiamo il perché delle cose che ci accadono.
Una parola amica, un suggerimento, un consiglio, una frase possono ridarci la carica per tornare a vivere ed affrontare la vita.
In fondo l’uomo è così ricco di energie, di capacità, di creatività, sa come andare alla scoperta dei propri talenti per sfruttarli al meglio per sé e per gli altri.

Brano senza Autore

Gli acquisti della Vigilia di Natale (La commessa e la signora)

Gli acquisti della Vigilia di Natale
(La commessa e la signora)

Era la Vigilia di Natale e la commessa non vedeva l’ora di andarsene.
Pensava in continuazione alla festa che l’attendeva appena finito il lavoro.
Sentiva già i mormorii di ammirazione che l’avrebbero accompagnata mentre entrava vestita con l’abito da sera di velluto, con il cavaliere che la scortava…
Quando arrivò l’ultima cliente.
Mancavano solo cinque minuti alla chiusura.
“Non è possibile che venga proprio al mio banco!” pensò.

Finse di non sentire quando quella si schiarì la voce e disse piano:

“Signorina, signorina quanto costano quelle calze?”
“Credo che sul cartellino ci sia scritto 3 euro!” rispose brusca.
“Non ne avete di meno care?” domandò la signora.
“2 euro.” scattò guardando l’orologio.
“Mi faccia vedere quelle meno care, gentilmente.” chiese la signora.
“Spiacente signora, stasera chiudiamo alle 18,30 perché, se non lo sa, oggi è la Vigilia di Natale!” esclamò la commessa.
Siccome non apriva bocca si decise a guardarla.
Era pallida, aveva l’aria affaticata, le occhiaie profonde, non doveva avere neanche 30 anni.
“Ma i miei figli non hanno neanche un regalo.” disse alla fine tutta d’un fiato.
“Fino a stasera non avevo soldi!” spiego la signora.
“Mi dispiace per lei signora!” disse la commessa e se ne andò.
Non giunse fino al fondo del banco.
La donna non aveva detto una parola ma non le riuscì di fare un passo in più.
Quando si voltò notò nei suoi occhi l’espressione più triste che avesse mai visto.

Si ritrovò dietro al banco:

“D’accordo, signora, ma faccia presto!”
Un sorriso le illuminò il volto, e si mise a correre dai calzini ai nastri poi ai giradischi portatili.
Alla commessa quei pochi minuti sembravano lunghi come l’eternità.
Finalmente si decise per alcune paia di calze, per dei nastri colorati, un giradischi portatile e due dischi di fiabe natalizie.
La commessa gettò gli acquisti in un sacchetto e le diede il resto delle 25 euro.
Ormai non c’era più nessuno.
Andò di corsa negli spogliatoi e si infilò in fretta il vestito e corse fuori dal negozio incontro al suo “cavaliere” che l’attendeva in macchina, con il motore acceso.
Fu al terzo semaforo rosso che vide la donna del negozio:
camminava in fretta tenendo stretto contro il suo esile corpo il pacco dei doni per i suoi figli.
Il suo volto, che aveva perduto la patina di stanchezza, era ancora illuminato dal sorriso.
In quel breve istante qualcosa avvenne dentro di lei.

Non vide solo una donna:

vide i suoi quattro bambini che, il mattino dopo, si sarebbero infilati felici le calze nuove, messi i nastri nei capelli e avrebbero ascoltato le favole natalizie sul giradischi nuovo
Dona ora.
Grazie!

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’offerta al Signore

L’offerta al Signore

In una chiesa africana, durante la raccolta dei doni all’Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli che servono per la raccolta della manioca.

Nell’ultima fila di banchi della chiesa era seduto un ragazzino

che guardava con aria pensosa il paniere che passava di fila in fila.
Sospirò al pensiero di non avere assolutamente niente da offrire a Dio.

Il paniere arrivò davanti a lui.

Allora, in mezzo allo stupore di tutti i fedeli, il ragazzino si sedette nel paniere dicendo:
“La sola cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore!”

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Un uomo e una donna (La parola di Dio)

Un uomo e una donna
(La parola di Dio)

Approfittando della bella giornata, una giovane donna aveva accompagnato i suoi due bambini ai giardini pubblici e, seduta su una panchina, leggeva un grosso libro con evidente interesse.
Alzava gli occhi soltanto per dare un’occhiata ai due bambini e sorridere loro.

Perché anche loro la tenevano d’occhio.

Sulla panchina accanto un uomo elegante, che fumava con aria annoiata, osservava la donna.
Dopo qualche minuto, le fece una domanda:
“Che cosa sta leggendo di così interessante?”
“Oh, è la Bibbia!
La Parola di Dio!” rispose gentilmente la donna.
L’uomo assunse un’aria scettica e con tono di vanitosa superiorità chiese:

“La Parola di Dio?

Chi gliel’ha detto?”
“È così evidente!” rispose la donna con semplicità e sorrise ai bambini incuriositi e intimiditi dalla presenza dello sconosciuto.
“Parola di Dio, nientemeno.
Come fa a saperlo?” domandò nuovamente l’uomo.
La donna alzò gli occhi verso il cielo e replicò tranquillamente:

“Come fa a sapere che in cielo c’è il sole?”

“Mi pare elementare:
scalda e illumina tutto!” rispose l’uomo.
“Proprio così!” continuò la donna con un lampo di gioia negli occhi, “Le parole di questo libro scaldano la mia vita e la illuminano.
Questo è l’effetto della Parola di Dio!”

Brano senza Autore

La cocorita Francesca

La cocorita Francesca

In una giungla piena di suoni e di colori, viveva una cocorita che aveva il carattere festoso e vivace come le sue piume azzurre, verdi, oro e arancione.
Si divertiva a svolazzare nell’intrico dei rami, giocava a nascondino con altri pappagallini colorati e con i bengalini candidi.
Si chiamava Francesca e ovunque arrivava riusciva a comunicare la sua intensa gioia di vivere.
Perfino le scimmie, che non sopportavano cocorite e pappagallini, facevano eccezione per la cocorita Francesca.
Era un uccellino felice, grato di essere vivo e di avere avuto in dono un paio di ali per volare e un bellissimo vestito di piume morbido e screziato.
Ogni mattina, appena il sole irrompeva attraverso lo spesso fogliame, si levava il suo grido:

“È una bellissima giornata!

Forza fratelli, non fate i pigroni, spalancate le ali: il cielo è tutto nostro!”
E incominciava a tracciare arabeschi nell’aria, come un fiore multicolore portato dal vento.
Ma, un brutto giorno, il cielo sulla foresta si fece improvvisamente nero e minaccioso come una palude senza sole.
Un silenzio pesante, pieno di paura, attanagliò le creature della giungla.
Le cocorite si strinsero tremanti le une alle altre, a formare una nube tremante.
Un vento violento afferrò le chiome degli alberi più alti e cominciò a scuoterli come se volesse sradicarli, rovesciando nidi e piccoli pappagallini che non sapevano ancora volare.
Poi cominciò la sarabanda dei tuoni e dei fulmini.
Staffilate di fuoco sibilavano dal cielo e colpivano senza pietà i vecchi tronchi, finché improvvisa si levò una fiamma e un albero centenario prese fuoco, urlando il suo dolore, con i rami nodosi levati verso il cielo come un’ultima disperata invocazione di aiuto.
“Il fuoco!
Si salvi chi può!” tutte le lingue animali della foresta gridarono all’unisono il loro terrore.
Migliaia di animaletti cominciarono a fuggire, ma il fumo acre e impenetrabile toglieva loro il respiro, faceva bruciare gli occhi e impediva crudelmente di vedere le vie di scampo.
La cocorita Francesca volava affannata, cercando di guidare i più piccoli e i più spaventati:
“Di qua!
Correte di qua!

Il fiume è da questa parte!”

Molti animali, sentendo il suo grido, si affrettarono a fuggire verso il corso d’acqua, altri invece finivano intrappolati dal fuoco e dal fumo.
Francesca, invece di mettersi in salvo, come tutti gli uccelli, continuava a sorvolare i più sfortunati, cecando un modo per aiutarli.
La disperazione le suggerì un’idea.
Volò sino al fiume che scorreva ai margini della foresta e lì si immerse nelle acque scure.
Poi riemerse con il corpicino intriso d’acqua e volò sull’inferno di fiamme, scrollando e scuotendo le piume per liberare le gocce d’acqua e farle piovere sulle fiamme.
Incurante del pericolo, sfiorando coraggiosamente le fiamme, tornò indietro e si immerse di nuovo nel fiume.
Poi, via!
“A scagliare il suo carico prezioso sul fuoco che continuava a ruggire.
Piccole gemme piovevano sul rogo.
Una cosa insignificante, ma la cocorita coraggiosa e testarda ripeté più e più volte il suo viaggio tra il fiume e le fiamme.
Le sue belle piume erano tutte bruciacchiate e il suo colore era quello della cenere, non riusciva più a tenere aperti gli occhi, ma non le importava.
“Che altro posso fare!” si ripeteva, “Solo volare, ed io volerò fino allo stremo delle forze pur di salvare una sola vita!”
Due occhi acuti, ma vagamente annoiati osservavano tutto dall’alto.
Un gigantesco avvoltoio veleggiava, godendosi lo spettacolo della giungla in fiamme.
Scorse la cocorita impegnata nella sua lotta contro il fuoco e sghignazzò:

“Che stupida bestia.

Come può pensare di domare il fuoco con quattro gocce d’acqua?
Chi ha mai visto una cosa del genere?”
Il coraggio dell’uccellino però lo aveva commosso un po’ e scese in picchiata verso la foresta in fiamme.
La cocorita stava ancora sfidando il fuoco quando vide apparire al suo fianco l’enorme avvoltoio dagli occhi gialli.
“Vattene, uccellino, il tuo compito è senza speranza!” gracchiò imperioso l’avvoltoio, “Cosa possono fare poche gocce d’acqua contro questo inferno?
Vola lontano prima che sia troppo tardi!”
“Non posso.
Devo fare qualcosa, devo tentare!” rispose la cocorita.
“Guarda in che stato sei!” continuò l’avvoltoio, “Fra un po’ finirai in una fiammata, mi sembri un tizzone affumicato!”
“Riesco ancora a volare…
Qualcosa farò!” replicò la cocorita.
“Ma che ti importa di loro?
Non hanno mai fatto niente per te.” esclamò l’avvoltoio.

“Sono miei amici:

li voglio salvare.” spiegò la cocorita.
La cocorita, stremata e ferita non ascoltava più.
Ostinata, continuava a fare la spola tra l’acqua e il fuoco.
L’avvoltoio, prima di sparire oltre le colonne di fumo, gridò:
“Basta!
Fermati stupida piccola cocorita!
Salva te stessa!”
Francesca era irremovibile.
“Ci mancava anche l’avvoltoio con i suoi consigli!” brontolava, “Consigli!
Anche la nonna e tutti i miei parenti mi direbbero le stesse cose.
Non ho bisogno di consigli, ma di qualcuno che mi aiuti!”
Proprio in quel momento, un gran frullare di ali riempì il cielo.
Una nube colorata, gialla, verde, blu, rossa e bianca si affiancò alla piccola cocorita.
Migliaia e migliaia di cocorite, pappagallini, bengalini, tucani, uccelli piccoli e grandi, si immergevano nell’acqua e andavano a scrollare le piume sul fuoco.
Le fiamme erano violente, ma gli uccelli erano milioni e arrivavano a ondate successive, senza smettere mai.

Come stupito, il fuoco si arrestò.

E cominciò lentamente a sfrigolare e illanguidire.
La cocorita Francesca, insieme alle poche gocce d’acqua che aveva raccolto, scagliò sulle fiamme anche le sue lacrime.
Ma erano lacrime di gioia.
“Grazie.” mormorò e cadde a terra, senza più un filo di forza.
Quando si risvegliò il temporale era scoppiato e l’acqua del cielo stava completando l’opera iniziata dalla coraggiosa cocorita.
“Urrà per Francesca!” gridarono gli abitanti della foresta, che le stavano tutti intorno.
La piccola cocorita aprì gli occhi e disse:
“È una bellissima giornata!”

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Dio, il sogno ed il conto

Dio, il sogno ed il conto

Preoccupato del senso della vita e dell’ultimo giorno, e soprattutto del Giudizio Finale, a cui prima o poi certamente sarebbe andato incontro, un uomo fece un sogno.
Dopo la morte, si avvicinò titubante alla grande porta della Casa di Dio.
Bussò, ed un angelo sorridente venne ad aprire.
Lo fece accomodare nella sala d’aspetto del Paradiso.

L’ambiente era molto severo.

Aveva il vago aspetto di un’aula di tribunale.
L’uomo aspettava, sempre più intimorito.
L’angelo tornò dopo un po’ con un foglio in mano, su cui, in alto, campeggiava la parola “conto.”
L’uomo lo prese e lesse:
“Luce del sole e stormire delle fronde, neve e vento, volo degli uccelli ed erba.
Per l’aria che abbiamo respirato e lo sguardo alle stelle, le sere e le notti …”

La lista era lunghissima.

“… Il sorriso dei bambini, gli occhi delle ragazze, l’acqua fresca, le mani ed i piedi, il rosso dei pomodori, le carezze, la sabbia delle spiagge, la prima parola del tuo bambino, una merenda in riva ad un lago di montagna, il bacio di un nipotino, le onde del mare…”
Man mano che proseguiva nella lettura, l’uomo era sempre più preoccupato.
Quale sarebbe stato il totale?
Come, e con che cosa, avrebbe mai potuto pagare tutte quelle cose che aveva avuto?
Mentre leggeva con il batticuore, arrivò Dio.

Gli batté una mano sulla spalla.

“Ho offerto io!” disse ridendo, “Fino alla fine del mondo…
È stato un vero piacere!”

Brano senza Autore

Il furto (La lezione di un padre al figlio)


Il furto
(La lezione di un padre al figlio)

C’era una volta un ragazzo che aveva rubato.
La cosa si era risaputa e il ragazzo temeva la reazione del padre, uomo onesto e stimato da tutti.

Quella sera in casa l’aria era pesante.

Dopo la cena rimasero soltanto padre e figlio.
Il ragazzo aveva paura e aspettava.
Il padre non aveva parlato per tutta la sera.

Improvvisamente il padre si alzò e andò presso il camino.

Impugnò decisamente uno dei ferri che servivano per attizzare il fuoco.
Il ferro era acuminato e rovente.
Senza dire una parola si diresse verso il tavolo.
Spaventato, il ragazzo lo guardava con gli occhi dilatati.

Il padre arrivò davanti al figlio,

posò la propria mano sinistra sul tavolo e poi la trapassò con il ferro.
Senza dire una parola.
Per tutta la vita, quel ragazzo non rubò mai più.

Brano senza Autore

Il seme più piccolo (Il seme di senape)

Il seme più piccolo
(Il seme di senape)

Non si sa come fosse capitato proprio là, ma nella manciata di grossi e lucidi grani di frumento c’era un granellino nero nero, così piccolo che era quasi invisibile.
Il contadino buttò la manciata di semi nella terra aperta dall’aratro.
Con grande dignità e profonda consapevolezza della loro missione, i semi di grano presero posto nelle loro culle di buona e profumata terra.
Ma quando arrivò il semino nero, scoppiò tra le zolle una gran risata.
“Pussa via, sgorbietto inutile!” brontolò stizzito un grosso seme di frumento che si era ricevuto il semino nero proprio sulla pancia.

“Chiedo scusa, signore.” mormorò il granellino, “Sono spiacente!”

“È il seme più ridicolo che mi sia capitato di vedere!” sbraitò il bulbo di una cipolla selvatica.
Le erbe del fossato, vecchie e pettegole, cominciarono a dire malignità di ogni sorta sui semi moderni che ciondolano qua e là e non riescono a combinare niente.
Anche i semi di papavero ridevano e l’avena, già alta, propagò al vento il suo parere:
“Divento gialla se ne uscirà una fogliolina sola!”
Il piccolo seme si sentì avvilito da quelle voci di disprezzo, che il vento, gran chiacchierone, sparpagliava dappertutto.
Si fece ancora più piccolo, in un cantuccio di terreno, ma non si scoraggiò.
Non aveva nessuna intenzione di mancare alla sua missione.
Qualcosa era pur capace di fare!
Sognò di crescere alto fino a sovrastare anche le canne dello stagno…
“Chissà se l’avena diventerà gialla per davvero.” pensò.

Voleva riuscirci a tutti i costi!

Lasciò che i grossi semi di frumento si crogiolassero pigramente deridendolo e facendosi beffe della sua piccolezza.
Egli affondò subito le radici nel terreno umido e pieno di squisito nutrimento.
Fu un inverno faticosissimo per lui.
Gli altri semi si godevano il tepore profumato della terra, facevano le cose con calma.
Giocavano a carte o agli indovinelli per passare il tempo.
Il piccolo seme invece ce la metteva tutta.
Sbuffava, sudava, ma impegnava nella sfida tutte le sue forze.

C’era freddo fuori!

Non importava.
Il piccolo stelo si aprì la strada verso il cielo senza paura.
Venne l’estate.
I viandanti che percorrevano la stradina accanto al campo di grano si fermavano e additavano meravigliati una pianta alta e rigogliosa che dominava la distesa del grano.
Un mattino dorato passò anche il Signore.
Chiacchierava con i suoi apostoli, parlando loro dei gigli del campo e degli uccelli dell’aria.
Giunto davanti alla pianta sì fermò e la guardò con intensità.
I passerotti smisero di far chiasso e anche il vento, che si divertiva a far frusciare gli steli del grano e ad arruffare l’erba del fosso, tacque sospeso.
Gesù sapeva l’enorme fatica del piccolo seme nell’inverno e volle coronare la fiducia che aveva avuto in se stesso.

Disse:

“Guardate il granello di senape.
È il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto; diventa un albero, tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido in mezzo ai suoi rami.”
Il frumento, che si aspettava qualche elogio sulla sua importanza, quasi seccò per l’invidia.
Il piccolo seme nero, là sotto, esplodeva di gioia.

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.