Il pane nell’armadio

Il pane nell’armadio

Come era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla Terra e, come sempre, erano pochi quelli che Lo riconoscevano.
Quel giorno passò davanti ad una casa dove un bambino stava piangendo.
Si fermò e bussò alla porta.
Uscì una donna con la faccia sofferente e disse:
“Cosa desidera, signore?”

“Vengo ad aiutarti.” rispose Dio.

“Aiutarmi?
È molto difficile.
Nessuno lo ha fatto finora.
Solo Dio potrebbe aiutarmi.
Il mio bambino piange perché ha fame.
Mi resta soltanto un pezzo di pane nell’armadio… quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi!”
Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male.
Il suo Volto diventò sofferente come quello della donna e alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le sue guance.
“Nessuno ha voluto aiutarti, donna?” domandò Dio.

“Nessuno, signore.

Tutti mi hanno voltato le spalle!” rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto.
A guardarlo, sembrava povero come lei.
Lo vide così mal messo, con una faccia così pallida, che pensò che stesse per svenire.
Allora andò all’armadio, dove conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glieLo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente e, guardandola negli occhi, le disse:
“No, no, grazie.
Tu ne hai più bisogno di me.
Conservalo e dallo a tuo figlio.
Domani ti arriverà il mio aiuto.
Non smettere di fare agli altri quello che oggi hai fatto a Me!”

Detto questo, se ne andò.

La donna non capì nulla… ma fu molto colpita da quello sguardo.
Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l’ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa:
l’armadio era pieno di pane.
Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani prendesse, non finivano mai.
In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era “Colui” che aveva bussato alla sua porta e, da quel giorno, non cessò più di fare agli altri quello che ha fatto con Lui:
condividere il pane con i bisognosi.

Brano senza Autore

La candela che non voleva bruciare

La candela che non voleva bruciare

Questo non si era mai visto:
una candela che rifiuta di accendersi.
Tutte le candele dell’armadio inorridirono.
Una candela che non voleva accendersi era una cosa inaudita!
Mancavano pochi giorni a Natale e tutte le candele erano eccitate all’idea di essere protagoniste della festa, con la luce, il profumo, la bellezza che irradiavano e comunicavano a tutti.
Eccetto quella giovane candela rossa e dorata che ripeteva ostinatamente:

“No e poi no!

Io non voglio bruciare.
Quando veniamo accese, in un attimo ci consumiamo.
Io voglio rimanere così come sono:
elegante, bella e soprattutto intera!”
“Se non bruci è come se fossi già morta senza essere vissuta!” replicò un grosso cero, che aveva già visto due Natali, “Tu sei fatta di cera e stoppino ma questo è niente.
Quando bruci sei veramente tu e sei completamente felice.”

“No, grazie tante,”

rispose la candela rossa, “ammetto che il buio, il freddo e la solitudine sono orribili, ma è sempre meglio che soffrire per una fiamma che brucia.”
“La vita non è fatta di parole e non si può capire con le parole, bisogna passarci dentro,” continuò il cero, “solo chi impegna il proprio essere cambia il mondo e allo stesso tempo cambia se stesso.
Se lasci che la solitudine, il buio e il freddo avanzino, avvolgeranno il mondo!”
“Vuoi dire che noi serviamo a combattere il freddo, le tenebre e la solitudine?” chiese la candela.
“Certo,” ribadì il cero, “ci consumiamo e perdiamo eleganza e colori, ma diventiamo utili e stimati.
Siamo i cavalieri della luce.”
“Ma ci consumiamo e perdiamo forma e colore?”

domandò ancora la candela.

“Sì, ma siamo più forti della notte e del gelo del mondo!” concluse il cero.
Così anche la candela rossa e dorata si lasciò accendere.
Brillò nella notte con tutto il suo cuore e trasformò in luce la sua bellezza, come se dovesse sconfiggere da sola tutto il freddo e il buio del mondo.
La cera e lo stoppino si consumarono piano piano, ma la luce della candela continuò a splendere a lungo negli occhi e nel cuore degli uomini per i quali era bruciata.

Brano di Bruno Ferrero

Il bambino che spostò un armadio con un dito

Il bambino che spostò un armadio con un dito

Seduto e in silenzio, Gesù guardava con tenerezza un bambino che cercava di spostare un grosso armadio, molto pesante, di casa sua.
Spingeva da un lato, poi spingeva da un altro, sbuffando e stringendo i denti, ma niente… il grosso armadio non si spostava neanche di un millimetro.
Il bambino voleva spostare l’armadio per fare contenti i suoi genitori.
Loro avevano molto bisogno di spostare l’armadio, ma non trovavano mai il tempo e la voglia di farlo.
Certo, poveretti, tornavano a casa sempre stanchi del lavoro!

Questo il bambino lo capiva.

Quello che non capiva era perché litigavano sempre per colpa di quell’armadio.
La mamma rimproverava il papà di non fare assolutamente nulla per spostarlo.
Il papà accusava la mamma di non volere togliere tutta la roba che era dentro l’armadio per renderlo più leggero e permettergli di spostarlo.
In casa c’era sempre tensione e sembrava che andasse sempre peggio.
Così il bambino si sforzava di spostare l’armadio, e ci provava in tutti i modi.
Niente!
L’armadio era sempre al suo posto.
Il bambino era tutto sudato e anche molto stanco.
Ci aveva messo tutta la sua forza.
“Hai usato proprio tutte le tue forze?” gli chiese Gesù con un tono di voce molto delicato.
“Si!” rispose il bambino, cercando di riprendere fiato.
“Non mi sembra,” ribatté Gesù, “anzi, direi proprio di no…

Pensaci bene.

Hai fatto proprio tutto quello che potevi fare per spostarlo?”
“Si!” rispose deluso e convinto il bambino.
“Guarda che non hai ancora usato la tua forza più grande!” disse Gesù con un bellissimo sorriso.
“Quale forza?” domandò il bambino con gli occhi spalancati per la meraviglia.
“Non mi hai chiesto di aiutarti.” disse dolcemente Gesù, “Io sono la tua forza più grande!”
Il bambino cominciò a pregare, e pregare, e pregare.
L’armadio non si spostò.
Ma il papà una sera, rientrando a casa, sembrava più sereno.
E, senza dire una parola, si mise a svuotare i cassetti dell’armadio.
La mamma lo vide e, dopo un po’, andò da lui dicendo:

“Aspetta che ti aiuto!”

Insieme vuotarono l’armadio cominciando a ridere di tutti gli episodi che quelle cose gli ricordavano.
Poi insieme spinsero l’armadio fuori della loro stanza da letto.
Insieme prepararono la cena, e insieme andarono a riposarsi sul divano, abbracciati l’uno all’altro.
Il bambino si tuffò felice in mezzo a loro.
Da quel giorno imparò non a spingere gli armadi, ma a spingere i suoi genitori ad andare insieme a Messa la domenica, perché anche loro potessero ricevere la forza di Gesù.
Passò ancora un po’ di tempo.
I genitori ed il bambino cominciarono a sentire il bisogno e il gusto di pregare insieme.
Ci si sentiva un po’ strani all’inizio su quel divano con la televisione spenta, ma poi era diventato il momento più bello della giornata.
Ci si sentiva uno dentro l’altro.
Ci si sentiva stanchi ma contenti, in una semplice e dolce pace.
Una colomba aveva preso l’abitudine di posarsi sul davanzale della loro finestra proprio mentre pregavano, chissà perché…
E fu così che, dopo qualche anno, in quella casa, gli armadi si spostavano con un solo dito.

Brano senza Autore

Due cuori in un armadio

Due cuori in un armadio

Mi racconto.
Correva l’anno 1966 e, poco più che quattordicenne, a causa degli insuccessi scolastici, andai a fare l’apprendista in un laboratorio calzaturiero, con l’intento di imparare il mestiere, così come si usava in quel periodo.
Per i primi due mesi, quelli di rodaggio per intenderci,

i proprietari non mi misero in regola e lavorai in nero.

Però anche in quel periodo i locali subivano delle ispezioni per i continui infortuni e per l’evasione fiscale.
Fuori regola eravamo io ed una coetanea, una bella e vispa ragazzina di cui mi innamorai, platonicamente, subito.
I proprietari avevano istallato un campanello d’allarme e in caso di ispezione,

noi due dovevamo nasconderci dentro un armadio non molto grande.

Un giorno suonò l’allarme e ci precipitammo dentro questo armadio.
Fu una emozione forte, io sentivo il suo respiro ed il suo profumo.
Mi trovai per la prima volta a contatto ravvicinato con l’altro sesso ed il mio cuore cominciò a battere all’impazzata,

così tanto che credetti di svenire.

Nell’oscurità totale e in quel silenzio inquietante, lei prese la mia mano e se la portò al cuore sfiorandomi con un bacio.
Nessuna parola potrà mai descrivere l’emozione di due cuori quattordicenni in un armadio.
Capì solo più tardi di essere stato, rispetto a lei, un imbranato apprendista.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Corso di formazione per uomini e mariti


Corso di formazione per uomini e mariti

Corso di formazione che permette agli uomini di sviluppare quella parte del cervello della quale ignorano l’esistenza.

Programma: 2 moduli di cui uno obbligatorio.

Modulo 1: Corso di base obbligatorio

1. Imparare a vivere senza la mamma (2000 ore)
2. La mia donna non è mia mamma (350 ore)
3. Capire che il calcio non è altro che uno sport (500 ore)

Modulo 2: Vita a due

1. Avere bambini senza diventare geloso (50 ore)
2. Vincere la sindrome del telecomando (550 ore)
3. Non fare la pipì fuori dal water (100 ore, esercizi pratici con video)
4. Come arrivare fino al cesto dei panni sporchi senza perdersi (500 ore)
5. Come sopravvivere ad un raffreddore senza agonizzare (300 ore)

Sono inoltre previsti dei temi speciali di approfondimento:

Tema 1: il ferro da stiro; dalla lavatrice all’armadio: un processo misterioso.
Tema 2: tu e l’elettricità: vantaggi economici del contattare un tecnico competente per le riparazioni (anche le più basilari).
Tema 3: ultima scoperta scientifica: cucinare e buttare la spazzatura non provocano ne’ impotenza ne’ tetraplegia (pratica in laboratorio).
Tema 4: perché non è reato regalarle fiori anche se sei già sposato con lei.
Tema 5: il rullo di carta igienica: “la carta igienica nasce da sola nel portarullo?” (esposizioni sul tema della generazione spontanea).

Tema 6: come abbassare la tavoletta del bagno passo a passo (teleconferenza con l’Università di Harvard).

Tema 7: gli uomini che guidano possono chiedere informazioni ai passanti quando si perdono senza il rischio di sembrare impotenti (testimonianze).
Tema 8: la lavatrice: questa grande sconosciuta.
Tema 9: differenze fondamentali tra il cesto della roba sporca e il suolo (esercizi in laboratori di musicoterapia).
Tema 10: l’uomo nel posto del passeggero: è geneticamente possibile non parlare o agitarsi convulsamente mentre lei parcheggia?
Tema 11: la tazza della colazione: levita da sé fino al lavandino? (esercizi diretti da Silvan).
Tema 12: comunicazione extrasensoriale: esercizi mentali in modo che quando gli si dice che qualcosa è nel cassetto dell’armadio non domandi “in quale?”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il negozio di musica. (Domani potrebbe essere troppo tardi!)


Il negozio di musica.
(Domani potrebbe essere troppo tardi!)

C’era una volta un ragazzo nato con una grave malattia, una malattia di cui non si conosceva la cura.
Aveva 17 anni, ma poteva morire in qualsiasi momento.
Visse sempre in casa sua, con l’assistenza di sua madre, ma un giorno stanco di stare in casa decise di uscire almeno una volta.
Chiese il permesso a sua madre e lei accettò.
Camminando nel suo quartiere vide diversi negozi e passando per un negozio di musica, guardando dalla vetrina, notò la presenza di una tenera ragazza della sua età.
Fu amore a prima vista.
Aprì la porta ed entrò guardando nient’altro che la ragazza, e avvicinandosi poco a poco, arrivò al bancone dove c’era quell’adorabile fanciulla.
Lei lo guardò e gli disse sorridente:

“Posso aiutarti?”

Nel frattempo egli pensava che era il sorriso più bello che avesse mai visto nella sua vita e sentì il desiderio di baciarla.
Balbettando le disse: “Mi piacerebbe comprare un CD!”
Senza pensarci, prese il primo che vide e le diede i soldi.
“Vuoi che te lo impacchetti?” chiese la ragazza sorridendo di nuovo.
Egli rispose di si annuendo; lei andò nel magazzino, tornò con il pacchetto e glielo consegnò.

Lui lo prese ed uscì dal negozio.

Tornò a casa e da quel giorno in poi andò al negozio ogni giorno per comprare un cd.
Faceva fare il pacchetto sempre alla ragazza e poi tornava a casa per riporlo nell’armadio.
Egli era molto timido per invitarla ad uscire e nonostante provasse non ci riusciva.
Sua madre si interessò alla situazione e lo spronò a tentare, così egli il giorno seguente si armò di coraggio e si diresse al negozio.
Come tutti i giorni comprò un altro cd e come sempre lei gli fece una confezione.
Lui prese il cd e, in un momento in cui la ragazza era distratta, posò rapidamente un foglietto con il suo numero di telefono sul bancone; dopodiché uscì di corsa dal negozio.

Il giorno dopo squillò il telefono.

Sua madre rispose: “Pronto?”
Era la ragazza che chiedeva di suo figlio; la madre afflitta cominciò a piangere mentre diceva:
“Non lo sai?… è morto ieri!”
Ci fu un silenzio prolungato interrotto dai lamenti della madre.
Più tardi la madre entrò nella stanza del figlio per ricordarlo.
Decise di iniziare dal guardare tra la sua roba, aprì l’armadio e con sorpresa si trovò di fronte ad una montagna di cd impacchettati.

Non ce ne era nemmeno uno aperto.

Le procurò una curiosità vederne tanti che non resistette: ne prese uno e si sedette sul letto per guardarlo; facendo ciò, un biglietto uscì dal pacchettino di plastica.
La madre lo raccolse per leggerlo, diceva:
“Ciao, sei bellissimo! Ti andrebbe di uscire con me? TVB… Sofia.”
La madre emozionata ne aprì altri e trovò altri bigliettini: tutti dicevano la stessa cosa.

Brano senza Autore, tratto dal Web

I due palloni


I due palloni

Due palloni erano usciti dalla fabbrica lo stesso giorno, erano finiti nello stesso sacco e portati nello stesso grande magazzino.
Uno era rosso e uno era blu.
Avevano fatto amicizia e così furono felicissimi di essere comprati dalla stessa persona.
Finirono in un oratorio, dove sembrava che un orda di ragazzi non stesse aspettando altro che prenderli a calci.
Lo facevano tutto il giorno, con un entusiasmo incredibile.
I due palloni volavano, rimbalzavano, sbattevano, facevano goal, venivano parati, sbucciati, infilati nell’angolino alto e basso, crossati e colpiti di testa.

Una vera battaglia quotidiana.

Alla sera si ritrovavano nello stesso armadio, pesti e ammaccati; la loro bella vernice brillante, le inserzioni bianche e nere, la scritta rossa, si stavano rapidamente screpolando.
“Non ne posso più!” si lamentava il pallone blu, “Non è vita questa!
Presi a calci dalla mattina alla sera!
Basta!”
“Che vuoi farci?
Siamo nati palloni!” ribatteva il pallone rosso, “Siamo stati creati per portare gioia e divertimento!”
“Bel divertimento!
Io non mi diverto proprio!

Ed ho già cominciato a vendicarmi:

oggi sono finito appositamente sul naso di un ragazzo e l’ho fatto sanguinare.
Domani farò un occhio blu a quel tipo che mi sbatte sempre contro il muro!” incalzava il pallone blu.
“Eppure siamo sempre al centro dell’interesse.
Quando arriviamo noi il cortile si anima come per incanto.
Credimi, siamo un dono dall’alto alla gioia degli uomini!” rispondeva ancora il pallone rosso.
Passarono i giorni, ed il pallone brontolone era sempre più scontento.
“Se continuo così, scoppio!” disse una sera “Ho deciso, domani sparirò!
Ho adocchiato un tetto malandato, sul quale nessuno potrà salire a cercarmi.

Mi basta un calcione un po’ deciso…”

Ed il pallone blu così fece.
Riuscì a finire tra i piedi di Adriano, detto Bombarda, per i suoi rinvii alla “Viva il parroco!” e con un poderoso calcione lo scagliò sul tetto proibito del caseggiato abbandonato vicino il cortile dell’oratorio.
Mentre volava in cielo, il pallone blu rideva felice:
ce l’aveva fatta!
I primi tempi sul tetto furono una vera pacchia.
Il pallone blu si sistemò confortevolmente nella grondaia e si preparò a una interminabile vacanza. “Ho chiuso con i calci e le botte,” pensava con profondo compiacimento “nel mio futuro non ci saranno che aria buona e riposo.

Aaaah, questa è vita!”

Ogni tanto, dal tetto, sbirciava in giù e guardava il suo compagno scalciato a più non posso dai ragazzi del cortile.
“Poverino,” bofonchiava, “lui prende calci e io me ne sto qui a prendere il sole, pancia all’aria dal mattino alla sera!”
Un giorno, un calcio possente glielo mandò vicino.
“Resta qui!” gli gridò il pallone blu.
Ma il pallone rosso rimbalzò sull’orlo della grondaia e tornò nel cortile.
“Preferisco i calci!” rispose.
Passò il tempo.
Nella grondaia il pallone blu si accorse che sole e pioggia lo avevano rapidamente fatto screpolare e ora si stava gradatamente sgonfiando.

Divenne sempre più debole, tanto che non riusciva più nemmeno a lamentarsi.

Del resto, non gliene importava molto:
sempre solo, lassù, era diventato triste e depresso.
Così una sera esalò un ultimo soffio.
Proprio in quel momento, il pallone rosso veniva riportato nell’armadio da due piccole manine.
Prima di finire nel cassetto buio, sentì una voce che gli diceva:
“Ciao pallone, ci vediamo domani.”
E due labbra sporche di Nutella gli stamparono un bacione sulla pelle ormai rugosa.
Nel suo cuore leggero come l’aria, il pallone si sentì morire di felicità.
E si addormentò sognando il paradiso dei palloni, dove gli angioletti hanno piedini leggeri come nuvole.

Brano senza Autore, tratto dal Web