Il gatto e i topi

Il gatto e i topi

In un certo luogo di questo mondo abitava un gatto era il terrore di tutti i topi dei paraggi.
Non li lasciava vivere in pace neppure un istante.
Li inseguiva di giorno e di di notte e così i poveri animaletti non potevano godere un momento di pace.

Il gatto era molto astuto e i topi,

sapendo di non poterlo ingannare, decisero di tenere consiglio.
Si salutarono cordialmente, perché il pericolo rende la gente più amabile, e poi diedero inizio all’assemblea.
Dopo lunghe ore di discussione senza concludere nulla, un sorcio si alzò e chiese silenzio.
Tutti zittirono, perché erano desiderosi di ascoltare le parole di colui che si era alzato in piedi:

chissà, forse aveva la soluzione del problema.

“La cosa migliore sarebbe appendere un sonaglio al collo del gatto; così, tutte le volte che si avvicina, paremmo accorgercene in tempo e scappare!”
I topi si entusiasmarono dell’idea e fecero salti di gioia e corsero ad abbracciare quel topo che aveva suggerito la soluzione, come se fosse un eroe.
Ma, allorché si furono calmati, il sorcio chiese di nuovo silenzio e disse solennemente:

“E chi appenderà il sonaglio al collo del gatto?”

All’udire queste parole, i topi si guardarono l’un l’altro imbarazzati e cominciarono a presentare scuse e a tirarsi fuori, uno alla volta.
In breve marciarono tutti verso casa senza avere concluso nulla.
Perché è molto facile proporre soluzioni; il difficile è assumersi la responsabilità e metterle in pratica, farsi avanti per eseguire un’azione concreta che trasformi in realtà le soluzioni proposte.

Brano senza Autore

Il barilotto

Il barilotto

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.
Sull’orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.
E questo possente signore aveva un bell’aspetto, nobile e imponente.
Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.
Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.
Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.

La sua crudeltà era divenuta proverbiale.

Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.
Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lauti banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.
Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.
Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.
Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell’inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa.

“Pentirmi io? Mai!

Non confesserò neppure un peccato!” tuttavia il pensiero dell’inferno gli provocò un po’ di spavento salutare.
A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.
Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati:
uno dietro l’altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:
“Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito.
Dovresti almeno fare un po’ di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita!”
“Farò qualunque penitenza.
Non ho paura di niente, io!
Purché sia finita questa storia!” replicò il signore.
“Digiunerai ogni Venerdì per sette anni…!” disse allora il santo eremita.

“Ah, no! Questo puoi scordartelo!” rispose il crudele signore.

“Vai in pellegrinaggio fino a Roma…” suggerì allora l’eremita.
“Neanche per sogno!” esclamò il cavaliere.
“Vestiti di sacco per un mese…” proseguì l’eremita.
“Mai!” continuò il crudele signore.
Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose:
“Bene, figliolo.
Fa’ soltanto una cosa:
vammi a riempire d’acqua questo barilotto e poi riportamelo!”
“Scherzi?
È una penitenza da bambini o da donnette!” sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.
Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.
Immerse il barilotto nell’acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.
“È un sortilegio magico,” ruggì il penitente, “ma ora vedremo!”

Si diresse verso una sorgente:

il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!
Provò ad esplorare l’interno del barilotto con un bastone:
era assolutamente vuoto.
“Cercherò tutte le acque del mondo!” sbraitò il cavaliere, “Ma riporterò questo barilotto pieno!”
Si mise in viaggio, così com’era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.
Ad ogni sorgente, pozza d’acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d’acqua.
Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.
Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all’orlo dell’acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero