La farfalla e la fata

La farfalla e la fata

Ad Elena piaceva moltissimo passeggiare nel bosco.
Era una ragazzina dolce e un po’ svagata ed il bosco, dietro il paese, era diventato il suo rifugio preferito.
Un giorno mentre camminava, vide una farfalla impigliata in un rovo.
Con molta cura,

facendo attenzione a non rovinarle le splendide ali, la liberò.

La farfalla volò via per un tratto, poi improvvisamente tornò indietro e si trasformò in una splendida fata.
Elena rimase a bocca aperta, perché fino a quel momento le fate le aveva viste solo nei libri per bambini.
“Per ringraziarti della tua gentilezza d’animo,” disse la fata, “esaudirò il tuo più grande desiderio.” Proprio come dicono le fate nei libri.
La ragazzina rifletté un istante e poi rispose:

“Voglio essere felice!”

Allora la fata si piegò su di lei, le mormorò qualcosa all’orecchio e scomparve.
Elena divenne donna e nessuno in tutto il paese era più felice di lei.
Quando le chiedevano il segreto della sua gioia, si limitava a sorridere e riceveva:
“Ho seguito il consiglio di una buona fata.”

Gli anni passarono, Elena divenne vecchia,

ma era sempre la più dolce e felice vecchina del paese.
I vicini e anche i sui nipoti temevano che il favoloso segreto della felicità potesse morire con lei.
“Rivelaci che cosa ti ha detto la fatina.” la scongiurarono.
Finalmente la deliziosa vecchina, sorridendo, disse:
“Mi ha rivelato che, anche se appaiono sicuri, tutti hanno bisogno di me!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La virgola ribelle

La virgola ribelle

C’era una volta una virgola seccata dalla poca considerazione in cui tutti la tenevano.
Perfino i bambini delle elementari si facevano beffe di lei.

Che cos’è una virgola, dopo tutto?

Nei giornali nessuno la usa più.
La buttano, a casaccio.
Un giorno la virgola si ribellò.
Il Presidente scrisse un breve appunto dopo un lungo colloquio con il Presidente avversario:

“Pace, impossibile lanciare i missili.”

e lo passò frettolosamente al Generale.
In quel momento la piccola, trascurata virgola mise in atto il suo piano e si spostò.
Si spostò solo di una parola, appena un saltino.

Quello che lesse il Generale fu:

“Pace impossibile, lanciare i missili!”
E scoppiò la Guerra Mondiale.

Fai attenzione alle piccole cose.
Sono il seme di quelle grandi.

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero. Edizione Elledici.

Una preghiera fatta da un bambino

Una preghiera fatta da un bambino

Un bambino pensando una preghiera, disse così:
“Signore questa notte ti chiedo una cosa speciale…

Trasformami in una televisione,

così che io possa occupare il suo posto.
Mi piacerebbe vivere come vive la televisione di casa mia.
In altre parole avere una stanza speciale per riunire tutti i membri della mia famiglia attorno a me.

Essere preso sul serio quando parlo.

Fa che io sia al centro dell’attenzione così che tutti mi prestino ascolto senza interrompermi né discutere.
Mi piacerebbe provare l’attenzione particolare che riceve la televisione quando qualcosa non funziona…
E tener compagnia a mio papà quando torna a casa, anche quando è stanco dal lavoro.

E che mia mamma, al posto di ignorarmi, mi cerchi quando è sola e annoiata.

E che i miei fratelli e sorelle litighino per poter stare con me…
E che possa divertire tutta la famiglia, anche se a volte non dica niente.
Mi piacerebbe vivere la sensazione di chi tralascia tutto per passare alcuni momenti al mio fianco.
Signore non ti chiedo molto.
Solo vivere come vive qualsiasi televisione.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Al crocicchio del villaggio

Al crocicchio del villaggio

Tanto tempo fa, c’era un uomo che da anni cercava il segreto della vita.
Un giorno, un saggio eremita gli indicò un pozzo che possedeva la risposta che l’uomo così ardentemente cercava.
L’uomo corse al pozzo e pose la domanda:
“C’è un segreto della vita?”

Dalla profondità del pozzo echeggiò la risposta:

“Vai al crocicchio del villaggio: là troverai ciò che cerchi”
Pieno di speranza, l’uomo obbedì, ma al luogo indicato trovò soltanto tre botteghe:
una bottega vendeva fili metallici, un’altra legno e la terza pezzi di metallo.
Nulla e nessuno in quei paraggi sembrava avere a che fare con la rivelazione del segreto della vita.
Deluso, l’uomo ritornò al pozzo a chiedere una spiegazione.

Ma il pozzo gli rispose:

“Capirai in futuro!”
L’uomo protestò, ma l’eco delle sue proteste fu l’unica risposta che ottenne.
Credendo di essere stato raggirato, l’uomo riprese le sue peregrinazioni.
Col passare del tempo, il ricordo di questa esperienza svanì, finché una notte, mentre stava camminando alla luce della luna, il suono di un sitar (lo strumento musicale dell’oriente) attrasse la sua attenzione.
Era una musica meravigliosa, suonata con grande maestria e ispirazione.
Affascinato, l’uomo si diresse verso il suonatore; vide le sue mani che suonavano abilmente; vide il sitar; e gridò di gioia, perché aveva capito.
Il sitar era composto di fili metallici, di pezzi di metallo e di legno come quelli che aveva visto nelle tre botteghe al crocicchio del villaggio e che aveva giudicato senza particolare significato.

La vita è un viaggio.

Si arriva passo dopo passo.
E se ogni passo è meraviglioso, se ogni passo è magico, lo sarà anche la vita.
E non sarete mai di quelli che arrivano in punto di morte senza aver vissuto.
Non lasciatevi sfuggire nulla.
Non guardate al di sopra delle spalle degli altri.
Guardateli negli occhi.
Non parlate “ai” vostri figli.
Prendete i loro visi tra le mani e parlate “con” loro.
Non abbracciate un corpo, abbracciate una persona.

E fatelo ora.

Sensazioni, impulsi, desideri, emozioni, idee, incontri, non buttate via niente.
Un giorno scoprirete quanto erano grandi e insostituibili.
Ogni giorno imparate qualcosa di nuovo su voi stessi e sugli altri.
Ogni giorno cercate di essere consapevoli delle cose bellissime che ci sono nel nostro mondo.
E non lasciate che vi convincano del contrario.

Guardate i fiori.
Guardate gli uccellini.
Sentite la brezza.
Mangiate bene e apprezzatelo.
E condividete tutto con gli altri.
Uno dei complimenti più grandi è dire a qualcuno: “Guarda quel tramonto.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il ragazzo, la cesta e l’acqua

Il ragazzo, la cesta e l’acqua

C’era una volta un ragazzo che viveva con suo nonno in una fattoria.
Ogni mattina il nonno, che era cristiano, si alzava presto e dedicava del tempo a leggere le Scritture.
Il nipote cercava di imitarlo in qualche modo, ma un giorno chiese:
“Nonno, io cerco di leggere la Bibbia ma anche le poche volte che riesco a capirci qualcosa, la dimentico quasi subito.
Allora a cosa serve?

Tanto vale che non la legga più!”

Il nonno terminò tranquillamente di mettere nella stufa il carbone che stava in una cesta, poi disse al nipote:
“Vai al fiume, e portami una cesta d’acqua!”
Il ragazzo andò, ma ovviamente quando tornò non era rimasta acqua nella cesta.
Il nonno ridacchiò e disse:
“Beh, devi essere un po’ più rapido.
Dai riprova, muoviti, torna al fiume e prendi l’acqua!”

Anche questo secondo tentativo, naturalmente, fallì.

Il nipote, senza fiato, si lamentò dicendo che era una cosa impossibile, e si mise a cercare un secchio.
Ma il nonno insistette:
“Non ti ho chiesto un secchio d’acqua, ma una cesta d’acqua.
Torna al fiume!”
A quel punto il giovane sapeva che non ce l’avrebbe fatta, ma andò ugualmente per dimostrare all’anziano nonno che era inutile.
Per quanto fosse svelto l’acqua filtrava dai buchi della cesta.

Così tornò al fiume e portò la cesta vuota al nonno, dicendo:

“Vedi? Non serve a niente!”
“Sei sicuro?” disse il nonno, “Guarda un po’ la cesta!”
Il ragazzo guardò con attenzione:
la cesta, che prima era tutta nera di carbone, adesso era perfettamente pulita!

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il primo fiore


Il primo fiore

In un paesino di montagna c’è un’usanza molto bella.
Ogni primavera si svolge una gara tra tutti gli abitanti.
Ciascuno cerca di trovare il primo fiore della primavera.

Chi trova il primo fiore sarà il vincitore e avrà fortuna per tutto l’anno.

A questa gara partecipano tutti, giovani e vecchi.
Quest’anno, quando la neve iniziò a sciogliersi e larghi squarci di terra umida rimanevano liberi, tutti gli abitanti di quel paesino partirono alla ricerca del primo fiore.
Per ore e ore iniziarono a cercare alle pendici del monte, ma non trovarono alcun fiore.
Stavano già ritornando verso casa quando il grido di un bambino attirò l’attenzione di tutti:
“È qui! L’ho trovato!”

Tutti accorsero per vedere.

Quel bambino aveva trovato il primo fiore, sbocciato in mezzo alle rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo.
Il bambino indicava col braccio teso giù in basso, ma non poteva raggiungerlo perché aveva paura di precipitare nel terribile burrone.
Il bambino però desiderava quel fiore anche perché voleva vincere la gara.
Cinque uomini forti portarono una corda.
Intendevano legare il bambino e calarlo fino al fiore.
Il bambino però aveva paura.
Aveva paura che la corda si rompesse e di cadere nel burrone.

“No, no!” diceva piangendo, “Ho paura!”

Gli fecero vedere una corda più forte e quindici uomini che l’avrebbero tenuto.
Tutti lo incoraggiavano.
Ad un tratto il bambino cessò di piangere.
Tutti fecero silenzio per sentire che cosa avrebbe fatto il bambino.
“Va bene!” disse il bambino, “Andrò giù se mio padre terrà la corda!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il nuovo principe (Un granello alla volta)

Il nuovo principe
(Un granello alla volta)

In uno sperduto angolo del regno d’Etiopia, viveva un re che amava le favole più di ogni altra cosa al mondo.
Diventato vecchio, però, si annoiava perché ormai le conosceva tutte.
Così un giorno fece annunciare in tutto il Paese che avrebbe dato il titolo di principe a chiunque gli avesse saputo raccontare una favola nuova, in grado di suscitare la sua attenzione e la curiosità di conoscere il finale.
Numerosi cantastorie vennero da tutti gli angoli del reame e dai Paesi vicini, ma nessuno riuscì ad interessare le orecchie reali, sempre tristi e distratte.
Un giorno un povero contadino bussò alle porte del palazzo per raccontare al vecchio re la storia di un agricoltore che aveva ammassato nel suo granaio il raccolto più ricco della sua vita.
Ma c’era un piccolo buco nel granaio e, quando tutto il grano fu portato dentro, una formica vi entrò e portò via un chicco.

“Molto interessante, continua.” disse il re.

Il contadino proseguì:
“Il secondo giorno un’altra formica passò nel buchino e portò via un altro chicco di grano, il terzo giorno accadde la stessa cosa…”
Il re era ormai molto preso dalla storia del contadino e chiese di tagliare corto sui dettagli per sapere come andava a finire tutto quel via vai di formiche nel granaio.
“Vai avanti, non mi annoiare!” urlò il re rosso in viso.
Ma il contadino continuava.
“Basta!

Vai avanti!” ordinò il re.

Il contadino sembrava sordo e proseguiva con la sua cantilena di formiche e chicchi di grano.
Si interruppe per dire:
“Mio re, questa è la parte più importante della storia:
il granaio è ancora pieno di chicchi di grano.”

Allora il sovrano esclamò:

“Hai vinto tu!
Ho capito che bisogna saper ascoltare gli altri con pazienza e umiltà.
I racconti più belli non sono quelli che ci stupiscono con grandi eventi, ricchezze, rivoluzioni e storie d’amore impossibili.
Sono quelli che, come succede nella vita di ogni giorno, ci fanno sperare di riuscire a vedere i risultati dei nostri sforzi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La pazienza dei fiori di pesco

La pazienza dei fiori di pesco

C’era una volta una prospera comunità di alberi da frutto che viveva sul dolce declivio di una collina.
I loro frutti erano splendide e succose pesche.
In primavera, i loro fiori formavano una morbida nuvola rosa, che faceva la gioia dei viandanti.
In mezzo ai peschi di lungo corso, era spuntato un giovane pesco, che cresceva vigoroso.
Quando le giornate di inizio Marzo si fecero tiepide, il giovane pesco cominciò a chiedere:
“È ora?
Possiamo fiorire?”

“Porta pazienza, ragazzo!

È presto!
Possono ancora venire venti freddi, ed anche qualche gelata…
Aspetta, verrà anche la tua ora!” gli diceva il vecchio ed esperto pesco, accanto a lui.
Brontolando, il giovane pesco annuiva, ma gonfiava le sue gemme.
“Sono solo invidiosi, perché sono vecchi!” rimuginava tra sé.
Una delle prime sere di Marzo, illuminata da un sole particolarmente dolce, il giovane pesco tornò a chiedere:
“Adesso, posso fiorire?”

Il vecchio pesco rispose:

“No, ragazzo mio!
Non è ancora primavera.
È probabile che vengano ancora giorni di freddo!”
Il giovane pesco sbottò:
“Uffa! Voi grandi, siete tutti così!
Sempre con i vostri stai attento qui, aspetta là, abbi pazienza…
Sono stufo, delle vostre lagne! C’è un bel sole, e decido io per me!”
Ed i boccioli del giovane pesco esplosero, in magnifici fiori rosa.

“Guarda, quel pesco: è già fiorito!

È bellissimo!” dicevano i passanti, ammirati.
Sulla collina, era l’unico pesco fiorito, e tutte le attenzioni e l’ammirazione della gente erano solo per lui.
Il giovane pesco si pavoneggiò, esultante!
Il sole di Marzo purtroppo durò poco ed il giorno seguente una lama di aria gelida annientò crudelmente i suoi fiori, così come i suoi sogni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Re che non sapeva ascoltare

Il Re che non sapeva ascoltare

C’era una volta un Re che non sapeva ascoltare.
Quando i suoi sudditi si rivolgevano a lui, li interrompeva non appena aprivano bocca e gridava: “Va bene, va bene, ho capito!
Ti credo!
Guardie, dategli mille monete d’oro!”
Oppure:
“Basta, basta, non ti credo!
Guardie, frustatelo e buttatelo fuori di qui!”
Insomma, il Re era un tipo lunatico e agiva secondo il suo umore.
Non voleva saperne di ascoltare, e quindi era buono e generoso con le persone sbagliate, e viceversa.

I sudditi lo sapevano bene, cercavano di girare alla larga dal castello e speravano ardentemente di non aver mai niente a che fare con il re.

Ma quelli che ci rimettevano più degli altri erano la sua povera moglie e i due principini, perché il re non solo non li ascoltava, ma giudicava stupido e senza senso tutto quello che loro dicevano.
Li criticava continuamente e non prestava mai attenzione alle loro parole, neppure quando gli parlava con la voce del cuore e dell’affetto.
Se, per esempio, la principessina Adelaide si avvicinava al regale papà per mostrargli il disegno fatto a scuola, dicendo timidamente:
“Papà, guarda questo…” il re la interrompeva con aria infastidita e borbottava:
“Va bene, va bene eccoti una moneta d’oro…”
Se il principino Roberto osava chiedere:
“Dove vanno quelli che muoiono?” il regale papà lo zittiva dicendo:

“Piantala con queste stupidaggini!”

Un giorno, il re e la regina litigarono furiosamente, e dal momento che la donna ribadiva le sue ragioni, il re la spinse giù dal trono.
Poi si mise a spiegare alla moglie che se le aveva fatto del male era per il suo bene, e che avrebbe dovuto ringraziarlo, per questo.
La regina, profondamente offesa e indignata, con le ossa rotte e doloranti, gli lanciò una terribile maledizione:
“Che te ne fai di due orecchi, dal momento che non ascolti mai nessuno?
Tu non fai che parlare: bla, bla bla e ancora bla!
Vorrei che ti cadessero le orecchie e che ti venissero due bocche!”
Il Mago Cavatorti, lontano parente della regina, si trovava per caso nelle vicinanze e sentì la maledizione della donna.
Conosceva il re, e sapeva di cosa era capace.
Così, impietosito dalla triste sorte della regina, esaudì il suo desiderio.

Il Mago si presentò al re e gli agitò sotto il naso la nodosa bacchetta di legno di nespolo.

Il re che non voleva mai ascoltare cadde in un sonno profondo, e quando si risvegliò si ritrovò con due bocche identiche, una accanto all’altra, e un orecchio minuscolo sulla fronte, vagamente simile a un cece.
Le altre due orecchie, invece, giacevano sul cuscino come foglie secche.
All’inizio, il re ringraziò il Mago per quel bellissimo regalo.
Adesso poteva parlare più velocemente e ad alta voce.
Ma ben presto si rese conto che non riusciva più a stare zitto.
Parlava, parlava sempre, senza un attimo di tregua.
E mentre beveva e mangiava con una bocca, con l’altra continuava a parlare.

Per i poveri sudditi le cose peggiorarono.

Se prima non ascoltava, adesso il re non faceva che straparlare e interrompere gli altri.
E la moglie che già non sopportava una bocca del marito, con la seconda non ce la faceva proprio più.
Inoltre, il re ora russava il doppio, e la notte non le faceva chiudere occhio.
Con il passare del tempo, il re cominciò ad ascoltare solo le sue due voci, ed amici e nemici presero ad evitarlo come la peste.
Insomma, era insopportabile.
Anche gli affari di stato peggiorarono.
Quando arrivavano gli ambasciatori dei regni vicini con i messaggi dei loro sovrani, il re non prestava la minima attenzione alle loro parole, anzi se quelli parlavano di “terra” capiva “guerra”, se dicevano “doni” pensava ai “cannoni.”
Così, poco alla volta, tutti lo abbandonarono.

Il re fu avvolto da una terribile solitudine e cominciò a rendersi conto dei suoi errori.

Decise che da allora in poi avrebbe tenuto sempre conto della dura lezione che il Mago gli aveva impartito.
Adesso teneva la bocca, anzi le due bocche chiuse, e con il suo piccolo orecchio si sforzava di ascoltare meglio di quando ne aveva due.
In cuor suo, anzi, sperava che il Mago tornasse con la sua bacchetta di nespolo per ridargli le sue due orecchie, che ora rimpiangeva con tutte le sue forze.
Passarono gli anni e la regina cominciò a provare una gran pena per il marito.
Persino i sudditi e i sovrani dei regni vicini avevano dimenticato l’astio che avevano sempre provato nei suoi confronti e si auguravano che venisse perdonato.
Ma trascorsero parecchi anni prima che il Mago Cavatorti si decidesse a tornare da lui.
“Riconosci i tuoi errori?” gli chiese, scuro in volto.

Il re annuì.

“E faresti qualsiasi cosa pur di avere due orecchi e una bocca?”
Il re era pronto a tutto.
Il Mago agitò la sua bacchetta al contrario e il re si ritrovò con una bocca sola e due splendidi orecchi nuovi.
Invece di ricominciare come prima, si fermò ad ascoltare il canto degli uccelli, la musica del vento, le voci dei bambini.
Era la prima volta e gli vennero le lacrime agli occhi per la commozione.
La regina, il principe Roberto e la principessa Adelaide lo abbracciarono e gli dissero:
“Ti vogliamo bene!”
Il re pensò che non aveva mai sentito niente di più bello in tutta la sua vita e che era stato proprio stupido a non accorgersene prima.

Brano di Bruno Ferrero

Un Fiore Stupendo

Un Fiore Stupendo

In un caldo pomeriggio di un paio di estati fa, insieme ad un compagno di avventure, mentre stavamo terminando una missione, la mia attenzione fu rapita da un fiore stupendo, che diventava straordinario quando veniva colpito dal sole.
Era un fiore che non avevo mai notato prima di quel momento, con una forma particolare.
Era composto da una rosa, da cui spuntava un tulipano e tutto intorno tanti petali di margherita, tutto rigorosamente di colore giallo oro.

Solo a vederlo lasciava tutti senza fiato,

ma in quel momento non mi potei avvicinare.
Questo strano fiore mi aveva colpito, e più volte ripensai al fatto che sarei dovuto tornare a vederlo.
Passò del tempo, forse un anno e mezzo se non di più, ed avevo impressa l’immagine viva del fiore nella mia mente, ma nonostante ritornai più volte in quello stesso luogo, non riuscii più a rivedere quel fiore, ma non persi la speranza.

Finché un paio di mesi fa,

ritornato nello stesso luogo per l’ennesima volta, rividi il fiore, che finalmente si trovava nuovamente li.
Mi avvicinai, lo ammirai ancora, pensai di prenderlo ma poi decisi di lasciarlo nel luogo in cui lo avevo trovato.
Ogni qual volta avevo tempo, ritornavo in quel luogo dove andavo ad ammirare il fiore, e in alcuni momenti anche lui sembrava che mi guardasse, davamo l’idea di essere stati fatti per stare insieme.
Ma un bel giorno, quando ritornai, il fiore si stava appassendo.

Rivederlo in quelle condizioni, non era più la stessa cosa.

Avevo comunicato con lui, era sempre stato bello da guardare, ma dopo il tempo passato ad ammirarlo, era giunto il momento di non ritornare più in quel luogo.
Tante volte avrei voluto portarlo con me, ma lo avrei strappato dal suo territorio contro la sua volontà, anche se…
Il ricordo della lucentezza del fiore era impresso nella mia mente, niente me lo avrebbe potuto portare via, ma purtroppo era uno degli ultimi ricordi che avevo di lui.

Brano di Michele Bruno Salerno
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