La birra del cinese
Nel mio paese, Levada, c’è un caratteristico bar chiamato “La Curva”.
Frequento questo bar da tempo immemore, sia per gustare l’ottimo caffè proposto, ma anche, o soprattutto, per scambiare quattro chiacchere con gli amici.
A gestirlo con passione, professionalità e solerzia, fino a qualche anno fa, era il mio amico Carlo:
un mito per noi clienti affezionati.
Il bar “La Curva” è anche tappa di tanti avventori di passaggio, provenienti dalle più impensate nazioni del Mondo.
Più che un bar dello sport è un vero e proprio bar “teatro”, nel quale si sono succedute innumerevoli scene di puro divertimento, che continuano tuttora.
Un pomeriggio di qualche anno fa entrò nel locale un cinese mai notato prima che, dopo aver fatto un mezzo inchino, con un italiano stentato contraddistinto dal caratteristico accento orientale, chiese timidamente:
“Una pila piccola!”
Carlo gli rispose dispiaciuto che le pile non le aveva, ma le batterie di ricambio sì e, solerte, gliele mostrò, prendendole dal settore tabaccheria.
Il cinese, scuotendo la testa, insisteva nel dire:
“Una pila! Una pila!” ed alla fine, per farsi capire, indicò i capelli biondi di una ignara ragazza seduta al tavolino che, imbarazzata, diventò tutta rossa in volto.
Al barista, e a tutti noi, fu facile capire che voleva bere una semplice birra bionda.
La scena a cui assistemmo fu, alla fine, di una comicità unica, allietandoci la giornata al costo modico di un caffè.
Tutto questo può accadere solo nei bar delle piccole comunità.
Le piccole attività andrebbero sostenute, per il loro ruolo sociale di intrattenimento e di mediazione culturale, per evitare che, le stesse, siano costrette a dover chiudere, sia per il magro fatturato degli ultimi mesi che per gli elevati costi di gestione fissi da sostenere, aggravati in questo periodo dai decreti restrittivi, causati dall’insidioso e babelico covid-10 (coronavirus).