L’ultimo “Ti Amo”

L’ultimo “Ti Amo”

Il marito di Carol è morto in un incidente d’auto l’anno scorso.
Jim, che aveva soltanto cinquantadue anni, stava tornando a casa dal lavoro.
Il conducente dell’altra auto coinvolta era un adolescente e, dopo gli accertamenti del caso, venne appurato che aveva un elevato tasso alcolico nel sangue.

Jim morì sul colpo.

Il ragazzo rimase al pronto soccorso meno di due ore.
Altra ironia del caso, Jim aveva in tasca due biglietti aerei per le Hawaii.
Era il cinquantesimo compleanno di Carol e voleva farle una sorpresa.
Ma invece venne ucciso da un ragazzo ubriaco.
“Come sei sopravvissuta?” chiesi un giorno a Carol, circa un anno dopo quel tragico incidente.
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Pensavo di averle fatto la domanda sbagliata ma lei mi prese delicatamente la mano e disse:
“Non c’è problema, voglio dirtelo.
Il giorno che ho sposato Jim gli promisi che non l’avrei mai lasciato uscire di casa senza dirgli che l’amavo.

E lui mi promise la stessa cosa.

Così quell’abitudine diventò una specie di gioco tra di noi e dopo che arrivarono i bambini diventò piuttosto difficile mantenere quella promessa.
Mi ricordo che a volte correvo giù per il vialetto davanti a casa dicendo “Ti Amo” a denti stretti quando ero arrabbiata, oppure qualche volta andavo fino al suo ufficio per lasciargli un bigliettino nell’auto.
Era come un gioco il nostro, curioso e divertente.
Così creammo molti ricordi con quel dirci “Ti Amo” prima di mezzogiorno, ogni giorno della nostra vita da sposati.
Il giorno in cui morì, Jim lasciò un biglietto di auguri per il mio compleanno in cucina e poi sgattaiolò fuori da casa.

Sentii il motore dell’auto che partiva e pensai:

“Oh, no!
Non fare il furbo!”
Poi mi precipitai fuori e tempestai di pugni il finestrino finché Jim fu costretto ad abbassarlo.
Allora gli dissi:
“Oggi è il giorno del mio cinquantesimo compleanno, signor James E. Garet, voglio passare alla storia dicendoti “Ti Amo”.
Ecco come sono sopravvissuta, sapendo che le ultime parole che ho detto a Jim sono state:
“Ti Amo”!”

Brano tratto dal libro “L’ultima foglia.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La storia di un campanile

La storia di un campanile

Quando ero bambino mio padre mi raccontò una storia, che ricordo chiaramente anche oggi:
“Una parrocchia vicino a quella che frequentavo, costruì con le chiacchiere dei ricchi e le offerte dei poveri, una bellissima chiesa.
I parrocchiani ne sono, tutt’ora, fieri.

Costruendola, però, ebbero un serio problema.

Giunti alla costruzione del campanile, rimasero senza fondi.
Per questa ragione lo lasciarono, per un lungo periodo, incompleto, suscitando, in questo modo, il sarcasmo dei cittadini delle altre comunità.
Alcuni buontemponi di un borgo confinante, portarono, una notte, un carro di letame.
Lo disposero intorno alla chiesa, come provocazione.
Anche nel loro borgo avevano iniziato a costruire una chiesa, contemporaneamente a quella non conclusa, ma a differenza loro, la propria era già terminata.
L’umiliazione inferta fu così tanta che il parroco cercò una soluzione al problema.

Organizzò una grande pesca di beneficenza pro-campanile.

Chiese al più ricco del paese, non che nobile, di contribuire donando uno dei suoi tanti vitelli.
Questi rispose di sì, ma mise un vincolo.
Alla fine, il proprietario del bovino doveva essere nuovamente lui, facendo avere il biglietto vincente a un suo mezzadro di fiducia.
Il buon parroco, dopo aver recitato in latino il versetto del Vangelo (MC 10,25), in cui è scritto che è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli, acconsentì controvoglia.”

Anche oggi, quando casualmente mi trovo a passare nelle vicinanze del campanile, mi ritorna in mente questo racconto.
Alcuni anni fa, la parrocchia in questione commissionò uno studio di ricerca sulla chiesa e sul campanile ai più titolati e bravi storici locali.
Questi pubblicarono un voluminoso tomo nel quale erano dedicate diverse pagine alla chiesa ed al campanile.

Ma del racconto di mio padre non vi era traccia, nonostante la storia fosse molto significativa.

Giunsi alla conclusione che, quando si racconta la storia di un paese in un libro, qualcosa manca sempre.
A tramandare gli episodi meno presentabili, fortunatamente, ci pensa però la tradizione orale.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il giovane ed il vecchio

Il giovane ed il vecchio

Un uomo di 75 anni viaggiava in treno leggendo un libro durante il tragitto.
Al suo fianco viaggiava un giovane universitario che leggeva anche lui un voluminoso libro di scienze.
Improvvisamente, il giovane capì che il libro che stava leggendo il vecchio era una Bibbia e, senza troppe cerimonie, gli chiese:
“Credi ancora in quel libro pieno di favole e storie?
“Sì, certo!” rispose il vecchio, “Ma questo non è un libro di fiabe, né delle favole, è la Parola di Dio!
Voi pensate che mi stia sbagliando nel farlo?”

Il giovane rispose:

“Certo che ha torto…
Penso che lei, signore, dovrebbe dedicarsi allo studio della scienza e della storia del mondo!”
Dovreste vedere come la rivoluzione francese, avvenuta più di 100 anni fa, ha mostrato la miopia, la stupidità e le bugie della religione.
Solo persone senza cultura o fanatici, credono ancora in queste sciocchezze.
Dovreste sapere un po’ di più cosa dicono gli scienziati di queste cose!”

Il signore anziano con molta calma gli disse:

“E dimmi, giovane.
È questo che dicono i nostri scienziati della Bibbia?”
Il giovane gli rispose:
“Guarda, dovrei scendere alla prossima stazione, non ho tempo di spiegarti, ma lasciami il tuo nome con il tuo indirizzo, così posso inviarti del materiale scientifico per posta, in modo da illuminarti un po’ sulle questioni che contano davvero per il mondo!”
Il vecchio allora, con molta pazienza, aprì con cura la tasca del cappotto e diede al giovane universitario il suo biglietto da visita…
Il giovane prese il biglietto, e leggendo chi fosse la persona con cui aveva interloquito, uscì con la testa bassa e gli occhi persi, sentendosi peggio di un’ebete!

Sulla carta c’era scritto:

Professor Dottor Louis Pasteur,
Direttore generale dell’Istituto nazionale di ricerca scientifica dell’Università nazionale francese.

Brano senza Autore

La bambola viaggiatrice

La bambola viaggiatrice

Un anno prima della sua morte, Franz Kafka visse un’esperienza insolita.
Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, Elsi, che piangeva sconsolata:

aveva perduto la sua bambola preferita, Brigida.

Kafka si offrì di aiutarla a cercare e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso giardino.
Non essendo riuscito a trovare la bambola, Kafka scrisse una lettera, fingendo che fosse per Elsi da parte di Brigida.
“Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.

Per molti giorni, Kafka e la bambina si incontrarono:

egli le leggeva queste lettere attentamente descrittive di avventure immaginarie della bambola amata.
La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine Kafka le regalò una bambola.
Era ovviamente diversa dalla bambola perduta; in un biglietto accluso spiegò:
“I miei viaggi mi hanno cambiata”.
Molti anni più avanti la ragazza cresciuta trovò un biglietto nascosto dentro la bambola ricevuta in dono.

Diceva:

“Ogni cosa che ami è molto probabile che la perderai, però alla fine l’amore si muterà in una forma diversa!”

Kafka, attraverso questa lettera immaginaria, riuscì a far capire ad Elsi che il vero amore rende liberi e vuole la felicità dell’altro, la paura, al contrario, limita la libertà ed è un sentimento insano e pericoloso.

Brano tratto dal libro “Kafka e la bambola viaggiatrice.” di Jordi Sierra i Fabra

Oscar ed il (Papà) gigante

Oscar ed il (Papà) gigante

Il primo ricordo di Oscar è la faccia del gigante.
Era un faccione smisurato e terribile, tutt’intorno ad una bocca larghissima piena di denti.
Il faccione aveva una strana espressione.
“Adesso mi mangia!” pensò Oscar e cominciò a strillare con tutta la forza delle sue minuscole ma tenacissime corde vocali.
La mamma accorse e il gigante sparì.
Stretto stretto al petto della mamma, Oscar spiegò affannato:
“Mammina, c’era un gigante poco fa sulla mia culla e mi voleva assaggiare!
Un gigantone spaventoso!
Con una grande bocca e tanti denti!”
Naturalmente quello che usciva dalla sua bocca era soltanto:
“Nghè! Nghé! Uè, uè!” ma la mamma aveva il traduttore automatico e capiva.

Il gigante rimase a gironzolare nei dintorni.

Una volta lo prese in mano.
Oscar stava tutto in una sola di quelle manone.
Si preparava a strillare, ma scoprì che la manona era calda, accogliente e il vocione del gigante, che rimbombava “Oh là, là!” non era poi così spaventoso. Anzi.
Così Oscar imparò a vivere con il gigante.
Non sapeva bene che cosa facesse.
Spariva parecchie ore al giorno, ma quando c’era, Oscar si sentiva felice, sicuro, protetto.
Avere un gigante al proprio servizio non è niente male, pensava Oscar.
Quando l’orribile cane del Signor Pacucci minacciò ringhiando i teneri polpacci di Oscar, il gigante lo polverizzò praticamente con la sola apparizione.
Il gigante sapeva fare le operazioni, scrivere le lettere dell’alfabeto e raccontare le storie delle sue terre, piene di orchi, fate, draghi e cavalieri.
Un giorno, arrivò con una biciclettina e insegnò ad Oscar ad usarla.
Gli stette dietro per giorni, al parco, tenendolo con un dito, finché Oscar non fu in grado di pedalare da solo.

“Tump, tump!” facevano i suoi piedoni.

Oscar scoprì che quando sentiva quel “Tump, tump!” tutte le paure svanivano.
Ma un giorno venne il nonno a prendere Oscar a scuola.
Così capì che qualcosa non andava, perché doveva esserci la mamma al suo posto.
Dovevano andare tutti fuori a cena, quella sera, per festeggiare il compleanno della loro amica Laura.
Quando il nonno disse che il gigante aveva avuto un attacco di cuore, Oscar pensò che stesse scherzando.
Ma quando si rese conto che diceva sul serio pensò che sarebbe morto anche lui.
Era troppo scioccato persino per piangere.
Si sentiva intorpidito e indifeso.
Rimase lì, pensando:
“Perché?
Eri così grande, forte e in salute.
Lavoravi ogni giorno all’aperto!”
Pensava che fosse l’ultima persona al mondo che potesse avere un attacco di cuore.
Andare in ospedale fu terribile.
Il gigante era in coma.
C’erano tantissimi tubi e macchine intorno a lui.
Non sembrava nemmeno lui.

Oscar tremava.

Voleva solo che il gigante si svegliasse da quell’orribile incubo e lo portasse a casa.
L’ospedale era pieno di persone.
Erano molto gentili con Oscar.
Il bambino non sapeva che il gigante avesse così tanti buoni amici.
C’era anche Laura, ma non si festeggiò il suo compleanno.
Dopo quel primo giorno ne seguirono altri due di angoscia, di veglia e di preghiere.
Non funzionò.
Il 26 di febbraio accadde la cosa più tragica di tutti i dieci anni di vita di Oscar, e forse anche di tutti gli anni che vivrà.
Il gigante morì.
Con marzo arrivò la festa del papà.
Oscar comprò un bel biglietto d’auguri e scrisse la sua lettera:

“Non so nemmeno se mi hai sentito, quando ti ho detto addio.
Non ero mai stato a un funerale, prima, ma mi sorprese vedere che erano venute più di mille persone.
C’erano tutti i familiari e gli amici, ma anche un sacco di persone che non conoscevo nemmeno.
Immaginai poi che fossero persone che avevi trattato nello stesso modo speciale in cui trattavi me.

Ecco perché tutti ti volevano bene.

Certo, ho sempre saputo che eri speciale, ma in fondo eri il mio papà.
In quel giorno scoprii che eri speciale anche per molte altre persone.
Anche se ormai è passato del tempo, ti penso sempre e mi manchi molto.
Alcune notti piango fino ad addormentarmi, ma cerco di non buttarmi troppo giù.
So che ho ancora molto di cui essere grato.
Tu mi hai dato più amore in dieci anni di quanto molti bambini ne ricevano in tutta la vita.
È vero, non puoi più giocare a palla con me nei fine settimana, né portarmi fuori a colazione, né raccontarmi le tue storielle o passarmi di nascosto qualche spicciolo.
Ma io so che sei ancora con me.

Sei nel mio cuore e nelle mie ossa.

Sento la tua voce, dentro di me, che mi aiuta e mi guida nella vita.
Quando non so che cosa fare, cerco di immaginare quello che mi consiglieresti tu.
Sei ancora qui, a darmi consiglio e ad aiutarmi a capire le cose.
So che qualunque cosa accada, ti vorrò sempre bene e ti ricorderò.
Ho sentito dire che quando qualcuno muore, Dio manda un arcobaleno a prendere la persona per portarla in paradiso.
Il giorno in cui sei morto è apparso in cielo un doppio arcobaleno.
Tu eri alto quasi due metri.
Probabilmente un solo arcobaleno non era abbastanza per portarti fino in paradiso.
Ti voglio bene papà.
Oscar.

Brano senza Autore

L’uomo e la pompa dell’acqua

L’uomo e la pompa dell’acqua

Un uomo si era perso in un territorio pietroso e arido!
Il sole dardeggiava implacabile e rendeva tutto rovente.
L’uomo era allo stremo delle forze!
Poco prima di crollare vide una casupola abbandonata.

Si trascinò, fin là, penosamente!

Davanti alla casa c’era un abbeveratoio malandato con una pompa a mano.
Si buttò sulla maniglia e cominciò ad agitarla come un pazzo.
La pompa cigolava ma non ne uscì una sola goccia d’acqua.
All’ombra della pompa l’uomo notò una brocca di vetro, accuratamente chiusa con un tappo di sughero, e un biglietto infilzato sul tappo!
La brocca era piena d’acqua.
Con le mani tremanti l’uomo si portò il biglietto vicino agli occhi bruciati dal sole e lesse:
“Amico!
Se vuoi che la pompa funzioni devi prima riempirla con tutta l’acqua della brocca.
Alla fine, prima di andartene, ricordati di riempire di nuovo d’acqua la brocca!”
Pensieri contrastanti dilaniarono l’uomo.

Stava morendo di sete:

doveva proprio sprecare tutta quell’acqua e buttarla nella pompa?
Era così arrugginita!
E se non avesse funzionato?
Se avesse bevuto l’acqua della brocca si sarebbe salvato ma, in questo caso, chi fosse arrivato dopo di lui non avrebbe avuto alcuna speranza di salvezza!
Che cosa doveva fare?
Salvarsi o rischiare per dare anche ad altri la possibilità di sopravvivere?
Una voce interiore gli suggerì di rischiare!
Versò di colpo l’acqua della brocca nella pompa e poi si attaccò disperatamente alla leva, manovrando con tutte le forze che gli rimanevano.
La pompa tossicchiò un paio di volte ma poi, dopo uno starnuto, cominciò a buttare acqua fresca e pulita!
“Grazie, grazie!” mormorava l’uomo dissetandosi e facendosi scorrere l’acqua addosso.
Prima di ripartire riempì accuratamente la brocca e la tappò.

Poi aggiunse una riga al biglietto:

“Credici amico: funziona!
Dai tutto alla pompa:
te ne restituirà in abbondanza!”

Brano senza Autore

Quanto costa un biglietto?

Quanto costa un biglietto?

Un mattino, la segretaria stava vendendo i biglietti per l’ultima serata dello spettacolo allestito dalla scuola.
La sera prima avevano registrato il tutto esaurito.
La prima della fila di quel giorno era una madre.
“Penso che sia terribile dover pagare per vedere recitare mio figlio.” annunciò, estraendo il borsellino dalla borsa.
“La scuola chiede una donazione volontaria per contribuire alle spese per la scenografia e i costumi,” spiegò la segretaria, “ma nessuno deve pagare.
Lei può avere tutti i biglietti di cui ha bisogno!”
“Oh, pagherò!” borbottò, “Due adulti ed un bambino.”
E fece cadere un biglietto da dieci.

La segretaria le diede il resto.

In quel momento il ragazzo dietro di lei svuotò sul tavolo la tasca piena di monete.
“Quanti biglietti?” chiese la segretaria.
“Non mi servono i biglietti per vedere lo spettacolo stasera!” disse.
“Voglio solo pagare!” e spinse verso di lei le monete.
“Ma devi avere il biglietto per vedere lo spettacolo di stasera?” chiese la segretaria.
Il ragazzo scosse la testa: “L’ho già visto!”
La segretaria spinse indietro la pila di monetine.
“Se vuoi vedere lo spettacolo con la tua classe non devi pagare.” gli disse, “È gratis!”
“No!” insistette il ragazzo, “Io l’ho visto ieri sera.
Io e mio fratello siamo arrivati tardi.
Non abbiamo trovato nessuno per comprare i biglietti, così siamo entrati!”
Un sacco di gente in mezzo a quella folla era probabilmente entrata.
I pochi volontari presenti non potevano controllare che tutti avessero il biglietto.

Lui spinse nuovamente avanti il denaro:

“Pago adesso per ieri sera!”
Quel ragazzo e suo fratello dovevano essere rimasti in fondo.
Ed essendo arrivati quando il botteghino era già chiuso, probabilmente non avevano nemmeno visto tutto lo spettacolo.
Alla segretaria dispiaceva prendere quei soldi.
Una pila di monetine nelle mani di un ragazzino è di solito il risultato di paghette risparmiate con cura.
“Se il banco dei biglietti era chiuso quando siete arrivati, non potevate pagare!” argomentò allora.
“Questo è quello che ha detto mio fratello!” spiegò il ragazzino.
“Nessuno si accorgerà della differenza.” gli assicurò la segretaria, “Non preoccuparti!”
Pensando che la questione fosse chiusa, spinse di nuovo indietro le monete.

Lui pose la sua mano sulla sua:

“Io conosco la differenza!”
Per un istante le loro mani si unirono in silenzio al di sopra del mucchietto di monete.
Poi la segretaria disse:
“Due biglietti costano sei euro.”
Le monete vennero contate fino alla cifra corretta.
“Grazie!” dissero insieme.
Il ragazzino sorrise, si voltò e se ne andò.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il santino elettorale dimenticato

Il santino elettorale dimenticato

Per diversi anni fui consigliere di una importante cooperativa, operante nel territorio Montebellunese, la cui attività si basava sull’acquisto e sulla vendita di beni e sul supporto ai servizi inerenti l’agricoltura.
Ero, e sono tutt’ora, convinto dell’importanza di questo istituto, infatti rimasi consigliere di questa organizzazione finché non venne assorbita da una società più grande.
Nel corso degli anni, imparai tante cose e diedi il mio modesto contributo, comunque sempre apprezzato.

Facendo parte del consiglio di amministrazione,

capitava di dover partecipare a delle riunioni in vesti ufficiali e, in una di queste occasioni, mi mandarono a rappresentare la cooperativa ad un importante convegno sul terzo settore, dove il relatore più atteso era un onorevole, nonché sottosegretario del governo di allora.
Fui inviato, soprattutto, per cercare di mediare con il politico affinché espletasse una importante pratica riguardante la nostra cooperativa, giacente al Ministero da anni.
Anche altri soci avevano provato a mettersi in contatto con il suddetto onorevole, ma tutte le iniziative precedenti non avevano avuti riscontri positivi.
Indossai per l’occasione una giacca di velluto leggera, usata raramente ma considerata, da me, un portafortuna.
Seduto su una poltroncina, durante la pausa del convegno, toccandomi le tasche della giacca, mi ritrovai nel taschino un vecchio santino elettorale di propaganda di qualche anno prima, proprio dell’onorevole in questione, con la sua bella effige patinata.

Sembrava proprio un segnale della Dea bendata.

Finita la sua relazione andai a congratularmi e gli ricordai il nostro problema, che naturalmente ben conosceva.
Parlandogli, estrassi il suo santino elettorale.
Notai con piacere che, con immensa rapidità, me lo levò dalla mano per guardarlo.
Dopo averlo girato dalla parte opposta alla propria immagine, vide un numero di telefono scritto con un pennarello rosso, e mi chiese a chi appartenesse.
Non sapendo cosa rispondergli, improvvisai, mentendo.
Gli spiegai che il numero di telefono era servito per la catena telefonica, organizzata dalla cooperativa, per la sua elezione.

Finita la spiegazione, notai il suo volto appagato.

A prova di quanto detto, appena rientrato a Roma, evase la nostra pratica senza alcun problema.
In seguito a questa autorizzazione, al primo consiglio della cooperativa, ricevetti una busta con un biglietto aereo per un soggiorno organizzato, ovviamente tutto pagato, per otto giorni a Istanbul.
Fu il mio primo e unico viaggio in aereo all’estero, ottenuto grazie ad un santino elettorale dimenticato nel taschino da anni.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il Padreterno al telefono

Il Padreterno al telefono

Il Padreterno è al telefono da un pezzo, molto attento a quanto dice il suo interlocutore dall’altro lato del filo.
Annuisce, sorride, gesticola come se disegnasse nell’aria qualcosa.
L’angelo segretario socchiude la porta e gli fa cenno che sull’altra linea c’è…
Ma il Padreterno fa un gesto con la mano per fargli capire di non interrompere, mentre continua ad annuire, a sorridere e a ridere di cuore.
Il segretario torna nell’altra stanza.
“Il Padreterno è molto occupato.” dice l’angelo, “Non lo si può interrompere!”
“Ma glielo hai detto che al telefono c’è il Papa?” chiese l’interlocutore.

“Non me ne ha dato il tempo!” rispose l’angelo.

“Prova a farglielo dire dalla Beata Vergine, piccolino!” dice il Papa.
Il piccolo angelo avvisa la Beata Vergine che, con molta dolcezza e discrezione, va a bussare alla porta dello studio del Padreterno.
La socchiude appena.
Lui le fa una strizzatina d’occhio e il gesto di pazientare.
La Beata Vergine capisce al volo e richiude dolcemente la porta.
“È impossibile!” dice, “Si tratta di una persona veramente importante.”
L’angelo va a riferire al Papa che aspetta all’altro telefono con una certa impazienza.
“Oh, Signore!” supplica il Santo Padre, “Vai a cercare San Giuseppe, fai entrare in azione Sant’Antonio, vedi se c’è da qualche parte Papa Giovanni… Sbrigati!

Sono affari importanti, affari della Chiesa!”

Dietro la porta dello studio del Padreterno si è formata una piccola folla di Santi.
Ma non c’è nulla da fare:
appena qualcuno socchiude l’uscio, Lui fa cenno di non interrompere e di chiudere.
Finalmente posa il ricevitore e si butta indietro sulla sua poltrona.
“O quella Valentina!
Quella Valentina!” ride divertito.
“Ogni sera mi deve raccontare per filo e per segno che cosa ha fatto in tutta la giornata!”
Suona il campanello.
Entra l’angelo segretario.
“Chi era all’altro telefono?” chiede curioso il Padreterno.
“Il Papa.” risponde l’angelo

“E ora dov’è?” chiede il Padreterno.

“Si è ritirato.
Ha detto che andava a rileggersi “La notte oscura!” di San Giovanni della Croce!” spiegò il piccolo angelo.
“Presto, portagli da parte mia questo biglietto.” esclamò il Padreterno.
Parla a voce alta mentre scrive:
“Affido alla carità del Papa Valentina:
quattro anni, madre prostituta, padre carcerato, abitazione: baracche dell’acquedotto felice.”
E rassicuralo.
Stia contento:
il Padreterno gli vuole sempre un gran bene, anche se a volte sembra un pochino distratto.

Brano senza Autore

Tre brani brevi di Bruno Ferrero

Tre brani brevi
di Bruno Ferrero
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I ragnetti

L’avviso

Consolare

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“I ragnetti”

Appena arrivati nella casa di montagna, la mamma di Marco, 4 anni, comincia a dar la caccia ai ragni che hanno fatto ragnatele dappertutto.
Marco allora interviene:
“I ragnetti piccoli non ucciderli!”
E la mamma:
“Ma non vedi come sono brutti?”
E lui:
“Ma per le loro mamme sono tanto carini”

Brano tratto dal libro “365 piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
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“L’avviso”

La strada che portava alla chiesa attraversava il paese.
La vecchietta la percorreva ad occhi bassi biascicando qualche preghiera mentre di sottecchi guardava la gente, come tutti i giorni.
“Giovinastri… Ubriaconi… Svergognata… Sporcizia… Fannullone…” pensava tra se e se.
Affrettava il passo per trovare la pace della preghiera.
Quel giorno arrivò alla porta della chiesa e la trovò chiusa.
Bussò.
Niente da fare.
Vide un biglietto attaccato con del nastro adesivo.
Lo lesse.
Diceva: “Io sono lì fuori!”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
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“Consolare”

Una bambina rincasò dopo essere stata a casa di una vicina alla quale era appena morta, in modo tragico, la figlioletta di otto anni.
“Perché sei andata?” le domandò il padre.
“Per consolare la mamma.” rispose la bambina.
“E che potevi fare, tu così piccola, per consolarla?” chiese allora il padre.
“Le sono salita in grembo e ho pianto con lei.” concluse la bambina.

Brano tratto dal libro “40 (Quaranta) Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.