Un grande amore

Un grande amore

Dopo vari anni di matrimonio scoprii una nuova maniera di mantener viva la scintilla dell’amore.
Mia moglie mi raccomandò di uscire con un’altra donna!
“Io però ho scelto te!” protestai, “Lo so.
Ma ami anche lei.
La vita è molto breve, dedicale tempo.”
Accettai.
L’altra donna, a cui mia moglie voleva che facessi visita, era mia madre.
Gli impegni di lavoro e i figli mi permettevano di farle visita solo occasionalmente.

Una sera le telefonai per invitarla a cena e al cinema.

“Che ti succede?
Stai bene?” mi chiese.
Mia madre è il tipo di donna che pensa che una chiamata serale o un invito sorprendente sia indice di notizie cattive.
“Ho pensato che sarebbe bello passare un po’ di tempo con te.” le risposi.
“Mi piacerebbe moltissimo.” disse.
Quel venerdì mentre, dopo il lavoro, la andavo a prendere, ero nervoso.
Era il nervosismo che precede un appuntamento.
E quando giunsi alla sua casa, vidi che anch’ella era molto emozionata.

Un bel sorriso sul volto, irradiava luce come un angelo.

“Ho detto alle amiche che dovevo uscire con mio figlio e quasi mi invidiavano!” mi spiegò mentre entrava in macchina.
Mi attendeva sulla porta con il suo soprabito, era stata dalla parrucchiera e il vestito era quello dell’ultimo anniversario di nozze.
Andammo a un ristorante non particolarmente elegante, ma molto accogliente.
Mia madre mi prese a braccetto come se fosse “La Prima Dama della Nazione”.
Quando ci sedemmo presi a leggerle il menù.
I suoi occhi riuscivano a leggere solo le scritte più grandi.
Quando andai a sedermi di fronte a lei, alzai lo sguardo:
la mia mamma, seduta dall’altro lato del tavolo, mi guardava con ammirazione.

Un sorriso felice si delineava sulle sue labbra:

“Ero io che ti leggevo il menù, quand’eri piccolo.
Ti ricordi?”
“Adesso è ora che ti riposi e che mi permetta di restituirti il favore!” risposi.
Durante la cena facemmo una gradevole conversazione:
niente di straordinario.
Ci aggiornammo sulla nostra vita.
Parlammo tanto che perdemmo il film che ci eravamo proposti di vedere.
“Verrò ancora fuori con te, solo però se permetti a me di invitarti!” disse mia madre quando la portai a casa sua.
Accettai, la baciai, la abbracciai.
“Come hai trovato la ragazza?” volle sapere mia moglie.
“Molto piacevole.
Molto più di quanto immaginavo!” le risposi.
Alcuni giorni dopo mia madre morì di infarto, e avvenne così velocemente che non si poté fare niente.
Poco tempo dopo ricevetti un avviso dal ristorante dove avevamo cenato mia madre e io e un invito che diceva:

“La cena è stata pagata in anticipo!”

Mia madre era sicura di non poterci essere, ma pagò lo stesso per due:
“Per te e per tua moglie, non potrai mai capire cosa ha significato per me quella serata.
Ti amo!”
In quel momento compresi l’importanza di dire a tempo debito “Ti amo” e di dare ai nostri cari lo spazio che meritano; niente nella vita sarà più importante di Dio e della tua famiglia:
dalle il tempo perché possano sentirsi amati.

Brano tratto dal libro “Un cuore rattoppato.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il “gioco” degli sguardi

Il gioco degli sguardi

Alla cortese attenzione della rivista “Raccontaci la tua estate”:

Nei primi giorni di ottobre del 1987, alla soglia dei trent’anni, fui nominato dal provveditore agli studi di Macerata per un incarico annuale fino al 30 giugno, come professore di lettere in un istituto alberghiero.
Nato e cresciuto a Nuoro, dopo la laurea ed il dottorato presso l’università di Cagliari, lasciavo la mia bella Sardegna per la terraferma.
Accettai al volo poiché, dopo aver terminato il dottorato, avevo ricoperto solo qualche breve supplenza in una scuola media di Cagliari.
Quello fu il mio primo incarico annuale e, in quel caso, mi vennero affidate due prime e due seconde, per un totale di 18 ore settimanali.
Fu una esperienza entusiasmante e formativa, nonostante la poca voglia di impegnarsi dei miei studenti.
Andai a vivere da miei zii (ecco il perché della scelta della città di Macerata), che avevano due figli.

Zio Lele era un postino e Zia Mariella una professoressa di biologia alle scuole medie.

Mio cugino Alfonso, che aveva la mia età, lavorava in una piccola industria tessile come contabile, mentre mia cugina Nunzia, di 23 anni, stava studiando Matematica all’Università di Perugia e che, conseguentemente, vedevo una o due volte al mese.
I miei cugini avevano trascorso quasi tutte le estati, fin da quando eravamo piccoli, da noi a Nuoro, in particolar modo fino ai miei primi anni universitari.
Durante quelle estati, con Alfonso eravamo, praticamente, inseparabili.
Terminata la scuola, insieme alla zia arrivavano lui e Nunzia, che essendo più piccola di noi di sette anni, non veniva minimamente considerata.
Questa abitudine di non considerare Nunzia, non mutò neanche con il trascorrere del tempo.
Mille avventurose scorribande estive, dai primi anni del 1960 alla fine del 1970.
La nostra estate iniziava i primi di giugno e terminava qualche giorno prima dell’inizio della scuola a settembre.
Ad agosto arrivava anche lo zio e, tra i nonni, i miei genitori ed i miei fratelli, entrambi più grandi di me, era sempre una grande festa.

In quel momento, per la prima volta, mi ritrovai a vivere con i miei zii e mio cugino.

Alfonso mi fece integrare alla grande, guidandomi per le strade di Macerata e coinvolgendomi nella sua comitiva.
Alla fine dell’anno scolastico, dopo aver aspettato che mia cugina avesse terminato gli esami di quella sessione, con lei e mia zia, ci recammo a Nuoro.
Non dovendo presenziare agli esami dei miei studenti, la mia prima esperienza come professore terminò, per questa ragione, i primi di giugno del 1988.
Arrivammo in Sardegna due giorni prima della sconfitta dell’Italia contro l’URSS agli europei di quell’anno, poi vinti dall’Olanda, guidata dal trio milanista Gullit, Van Basten e Rijkaard (che sarebbe arrivato in Italia solo alla fine del campionato europeo).
Ripresi ad uscire abitualmente con i miei pochi amici rimasti a vivere a Nuoro, però senza Alfonso.
Ma, ogni giorno che passava, vedevo Nunzia sempre più annoiata.
Le chiesi se volesse uscire con me e, pur di non stare a casa con sua mamma, i miei genitori e la nonna, accettò la proposta al volo.
Nei suoi modi di fare ritrovai tanti atteggiamenti di Alfonso e, praticamente, fino all’arrivo di quest’ultimo, trascorremmo l’intero mese di luglio insieme.
Eravamo così affiatati che anche io rimasi sorpreso.
Sostanzialmente mia cugina era una macchietta.
La situazione non cambiò neanche quando arrivò, i primi di agosto, Alfonso.
Nunzia continuò ad uscire con noi, nonostante il fratello non fosse particolarmente entusiasta della cosa.

Le serate di luglio, prima che arrivasse Alfonso, avevano il seguente copione:

aperitivo pre-cena al bar della signora Amelia, post-cena ancora nello stesso posto e poi in giro per Nuoro fino alle 2 – 3 di notte.
Tanti compaesani, non riconoscendo mia cugina, che con gli anni era diventata una ragazza carina, ci scambiavano per una coppia.
Ma questo non ci stupiva più di tanto e continuavamo con la nostra routine.
Alcuni momenti al bar mi facevano sorridere:
a volte, incrociavo lo sguardo timido e pungente di Emma, una coetanea di mia cugina, che aveva gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Emma era la cameriera, nonché la figlia minore di Amelia, rientrata per l’estate dall’università per aiutare la mamma e la sorella maggiore Manuela, di un paio di anni più grande della stessa Emma, a gestire il bar.
Avevo visto crescere Emma, essendo quel bar il nostro locale di riferimento e, anche lei crescendo, come mia cugina, era diventata graziosa.
L’unico problema era che le tre (Nunzia, Emma e Manuela), un tempo appartenenti alla stessa compagnia estiva, anni prima avevano litigato e, nonostante il tempo trascorso, mia cugina ancora non parlava le due sorelle.
Anzi, ogni volta che mia cugina notava qualche sguardo tra me ed Emma o si arrabbiava o mi faceva battutine.
La situazione non cambiò in seguito all’arrivo di Alfonso ma, a parte qualche altro sguardo, l’estate trascorse in un lampo senza che accadesse di niente di rilevante.
I miei cugini ed i miei zii rientrarono a Macerata ed io restai a Nuoro in attesa di una nuova chiamata a scuola.

Che arrivò puntualmente gli ultimi giorni di settembre.

Mi affidarono le stesse classi dell’anno prima, quindi ora insegnavo a due seconde e due terze.
Le terze le avrei dovute accompagnare alla qualifica professionale di fine anno.
Anche questo secondo anno trascorse tranquillo ma, rispetto all’anno precedente, riuscì a rientrare a Nuoro solo a fine giugno.
Durante l’anno scolastico acquisii maggior consapevolezza nei miei mezzi e questo aiutò sia me che i ragazzi, che a giugno dovettero sostenere l’esame per ottenere la qualifica triennale.
Ogni giorno, inoltre, prendevo confidenza e sicurezza nel vivere nella meravigliosa città di Macerata, in compagnia, anche, degli amici di mio cugino.
Giunse fine anno e insieme a zia Mariella, finiti gli esami, ci recammo a Nuoro.
Zio Lele e Alfonso ancora lavoravano mentre Nunzia stava per sostenere l’ultimo esame universitario e, dopo aver terminato, intorno al 10 di luglio, ci raggiunse in Sardegna.
Riprendemmo le abitudini dell’anno precedente e, ormai, per buona parte dei miei compaesani, eravamo diventati una coppia fissa.
Tra i pochi a non pensarla così c’era ovviamente Emma, con la quale continuammo a scambiarci qualche sguardo.
Anche Nunzia iniziò a rassegnarsi all’idea, soprattutto dopo che un suo vecchio amico, Nicola, nonché amico di Emma, mi disse, non proprio velatamente, che quest’ultima avesse un interesse nei miei confronti.

Si susseguirono i giorni, ma la situazione non cambiò.

Non avevo preso ancora in considerazione l’idea di avvicinarmi seriamente a lei, e neanche la stessa fece qualcosa per farmi cambiare idea.
Con l’arrivo di agosto giunsero a Nuoro sia Alfonso che una mia vecchia amica, Lara, che, poco prima delle ferie estive, si era lasciata con il fidanzato.
Trascorremmo in quattro un’estate spensierata, circondati anche dai restanti amici del nostro gruppo e, contemporaneamente, anche l’idea su Emma si volatilizzò.
A settembre non partirono solo i miei zii ed i miei cugini, ma anche io mi unii a loro.
Avevo ricevuto dal provveditorato una nomina dal primo settembre per un incarico annuale in un liceo scientifico.
Mi affidarono due quarte e due quinte ginnasio (l’equivalente attuale di primo e secondo anno del liceo scientifico).
Anche quell’anno trascorse in maniera tranquilla.
Ad ogni mese di lezione trascorso, per me ed Alfonso, si aggiungeva anche un invito ad un matrimonio, ricevuto direttamente da Nuoro.
Subito dopo Natale Nunzia si laureò.
Rientrata Nunzia eravamo in cinque a casa degli zii, così decisi di “avvicinarmi” a Nuoro.
Per l’anno successivo feci domanda di trasferimento per insegnare a Cagliari e decisi di iniziare a preparare l’esame per l’abilitazione come professore.

A fine aprile arrivò una notizia poco piacevole.

L’azienda di mio cugino a breve avrebbe chiuso e così, Alfonso iniziò a cercare un nuovo lavoro.
Arrivarono altri inviti per dei matrimoni, per un totale finale di sei.
La scuola finì e data la situazione, con i primi di giugno del 1990, arrivammo a Nuoro.
Io, la zia, Alfonso, Nunzia ed il suo fidanzato che, da qualche tempo, aveva iniziato a frequentare casa dei miei zii.
Giusto in tempo per seguire, qualche giorno dopo, i mondiali di Italia 90 e le sue notti magiche.
Il bar di Amelia si era organizzato alla grande, coadiuvata sempre da Manuela ed Emma che, durante l’ultimo anno, era, però, dimagrita parecchio.
Il popolo italiano era festante dopo le vittorie, seppur risicate, con Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia.
Il giorno degli ottavi con l’Uruguay combaciò con il compleanno di Emma ed il caso volle che al mio gruppo si fosse unita anche Lara.
La partita terminò ovviamente a favore della nazionale italiana e poco dopo, Emma invitò controvoglia tutto il gruppo, per mangiare insieme una fetta di torta.
Ovviamente non era entusiasta del fatto che ci fosse Lara.
Ma questo episodio la aiutò a farle capire che io e Lara non stessimo insieme.
Durante un aperitivo pomeridiano, prima dei quarti della nazionale italiana, per uno strano caso del destino, io ed Emma rimanemmo soli per circa dieci minuti ed iniziammo a parlare.

E ci trovammo al volo.

Da quel momento in poi, ogni qual volta andavamo con gli amici al bar, io ed Emma scambiavamo quattro chiacchiere.
E anche Amelia sembrava contenta di questa cosa mentre Manuela era, a dir poco, contrariata.
La sera dei quarti, dopo la vittoria con l’Irlanda, Emma si aggregò al nostro gruppo con un paio di suoi amici, la sua migliore amica Nadia, Nicola ed Enzo, la sorella ed altri ragazzi, e così fece anche in alcune delle serate seguenti.
Il 3 luglio, giorno delle semifinali, terminarono le notti magiche della nazionale italiana, in seguito alla sconfitta rimediata contro l’Argentina ai calci di rigori, nello scenario surreale del San Paolo che, invece di sostenere all’unisono la nazionale italiana, supportò la nazionale argentina capitanata da Maradona.
All’atto conclusivo del torneo, però, l’Argentina venne sconfitta in finale dalla Germania, riunitasi da poco, in seguito alla caduta del muro di Berlino.
L’Italia si accontenterà del terzo gradino del podio ottenuto ai danni dell’Inghilterra.
Emma continuò, in quelle sere, ad unirsi al nostro gruppo, ma sempre accompagnata dai propri amici.
Ovviamente sotto gli sguardi contrariati di Nunzia e Manuela.
Il mercoledì seguente con Alfonso ci recammo a Sassari per il primo dei sei matrimoni, che si sarebbe tenuto di giovedì, e poi sabato ci recammo a Cagliari per quello successivo.

Rientrammo a Nuoro nella tarda serata di lunedì.

Il giorno dopo, in attesa dei seguenti matrimoni, che ci avrebbero rallegrato le seguenti quattro domeniche, con la solita combriccola, andammo a degustare l’abituale aperitivo.
Emma non si avvicinò minimamente al tavolo in quel momento, ma la sera si unii tranquillamente al nostro gruppo.
E, quella sera, rimasi perplesso.
Era abbracciata ad un suo amico, Enzo.
Subito dopo incrociai lo sguardo compiaciuto, ma anche ironico, di Nunzia.
Ricordavo chi fosse Enzo poiché, quando io ero rover negli scout, lui era un simpatico lupetto sempre molto cordiale con tutti noi poco più grandi di lui.
Quella sera fu il preludio ad altre scene strane.
Dopo altri due matrimoni, Enzo per qualche giorno non si fece vedere.
Emma riprese a guardarmi, sotto lo sguardo perplesso di Alfonso, Nunzia, Lara e degli altri che conoscevano la storia.
Nei giorni precedenti il quinto matrimonio, Emma ed Enzo ripresero ad unirsi al nostro gruppo e, in quei momenti, alternavano abbracci, rapide passeggiate mano nella mano e, una sera, anche un bacio fugace.
Nunzia, intanto, gongolava.
I giorni trascorsero rapidamente e con i primi di agosto, con Alfonso, ci recammo al quinto matrimonio.
Durante questa giornata notai una graziosa ragazza con gli occhi cangianti, che attirò fortemente la mia attenzione.
Avendo vissuto per dieci anni lontano da Nuoro, non ricordavo precisamente chi fosse questa ragazza.

Con il trascorrere delle ore, la riconobbi.

Era Viola, una cugina della sposa, figlia di un fornaio che abitava nei pressi di casa di mia nonna, ma anche coetanea di Nunzia.
Come era cambiata e come era diventata carina con il passare degli anni.
Finita la cerimonia e la festa, rientrammo a casa.
In seguito, prendemmo parte all’ultimo matrimonio e per i restanti giorni di agosto ci dedicammo a rilassarci.
Trascorsero tante altre serate in compagnia, in cui a volte si univano Emma, Enzo ed il loro gruppetto, che continuavano il loro teatrino, mentre in altre sere, si univa la sola Emma con Manuela ed altri amici.
Il 31 di agosto, cioè due giorni prima di raggiungere la mia nuova destinazione (Cagliari) e il giorno prima della partenza dei miei zii e dei miei cugini, io e Nunzia fummo raggiunti da un amico o da una amica, ora non ricordo con precisione, di Emma, che mi chiese come avessi reagito al fatto di aver visto stare insieme Emma ed Enzo.
Risposi con assoluta tranquillità e sincerità di aver già accennato ai miei amici che, qualora fossero stati realmente fidanzati, a me poteva fare solo piacere.
La cosa importante era che Emma fosse convinta e felice di questa scelta.
Altre persone al mio posto, dopo gli atteggiamenti che aveva assunto nelle settimane precedenti, non avrebbero voluto sapere più niente di lei e gli spiegai che, non essendo superficiale, non basavo le mie idee esclusivamente sulle apparenze e, in ogni caso, per me, non cambiava nulla.

Nunzia avallò la mia risposta.

Il giorno dopo, prima di partire, Nunzia mi ribadì di non pensare più ad Emma.
Conosceva la mia idea, cioè che fossi semplicemente intrigato dal fatto che lei potesse essere interessata a me, ma anche del fatto che io non avrei fatto nulla se non in seguito ad una sua palese dimostrazione di interesse.
Conclusi questo breve scambio di idee con mia cugina con le parole di Cesare Pavese:
“Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza.”
Alla fine, le raccontai di aver notato, durante un matrimonio, questa graziosa ragazza con gli occhi cangianti.
Ma questa… è un’altra storia.

Cordialmente, Professor Antonello.

“Il vostro futuro non è ancora stato scritto, quello di nessuno.
Il vostro futuro è come ve lo creerete.
Perciò createvelo buono.”
Citazione del Dr. Emmett L. Brown, “Doc”, in “Ritorno al futuro – Parte III”
Brano di Michele Bruno Salerno

© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente. 

Il viaggio in treno da solo

Il viaggio in treno da solo

Mamma e papà accompagnavano tutti gli anni in treno Martino, il loro figlio, dalla nonna per l’estate e poi tornavano a casa con lo stesso treno l’indomani.
Il ragazzo, quando divenne adolescente, disse ai suoi genitori:
“Sono già grande, cosa ne pensate se quest’anno provo ad andare dalla nonna da solo?”

Dopo un breve dibattito, i genitori furono d’accordo.

Eccoli in piedi sul marciapiede della stazione, salutandolo, dandogli l’ultimo consiglio, mentre Martino continuava a ripetere:
“Sì, lo so, lo so!
Me lo avete già detto cento volte!”

Il treno stava per partire quando il padre gli disse:

“Figlio, se improvvisamente ti senti male o sei spaventato, questo è per te!” e terminando la frase, mise qualcosa nella tasca del ragazzo.
Dopo qualche minuto, il ragazzo era solo, seduto in carrozza, senza genitori, per la prima volta, guardando fuori dal finestrino.
Intorno, persone estranee che si spintonavano, facevano rumore, entravano ed uscivano dal vagone, il bigliettaio che gli contestava il fatto di essere da solo, mentre qualcuno lo guardava anche con dispiacere, quando, improvvisamente, il ragazzo si sentì a disagio, sempre di più.

Al disagio subentrò lo spavento.

Abbassò la testa e si rannicchiò in un angolo del sedile con le lacrime che cominciavano a scendere.
In quel momento si ricordò che suo padre gli aveva messo qualcosa in tasca.
Con la mano tremante, dopo aver cercato a tentoni un pezzo di carta, lo aprì:
“Figliolo, sono nell’ultima carrozza!”

È così che nella vita dobbiamo lasciare andare i figli, fidandoci di loro, ma essendo sempre nell’ultima carrozza, in modo che loro non abbiano paura.
Per essere vicini, per sempre.

Brano senza Autore

Pulisci, se è necessario…

Pulisci, se è necessario…

Una casa è più bella se si può scrivere “ti amo” sulla polvere sul mobilio.
Io lavoravo 8 ore ogni fine settimana per rendere tutto perfetto, “nel caso venisse qualcuno”.
Alla fine ho capito che “non sarebbe venuto nessuno”, perché tutti vivevano la loro vita passandosela bene!

Ora, se viene qualcuno, non ho bisogno di spiegare in che condizione sia la casa:

sono più interessati ad ascoltare le cose interessanti che ho fatto per vivere la mia vita.
Caso mai non te ne fossi ancora accorta:
la vita è breve, goditela!
Pulisci, se è necessario…
Ma sarebbe meglio dipingere un quadro, scrivere una lettera, preparare un dolce, seminare una pianta, oppure pensare alla differenza tra i verbi “volere” e “dovere”.

Pulisci, se è necessario, ma il tempo è poco…

Ci sono tante spiagge e mari per nuotare, monti da scalare, fiumi da navigare, una birretta da bere, musica da ascoltare, libri da leggere, amici da amare e la vita da vivere.
Pulisci, se è necessario, ma…
C’è il mondo là fuori:
il sole sulla faccia, il vento nei capelli, la neve che cade, uno scroscio di pioggia…

Questo giorno non torna indietro!

Pulisci, se è necessario, ma…
Ricorda che la vecchiaia arriverà e non sarà più come adesso.
E, quando sarà il tuo turno, ti trasformerai in polvere.

Brano senza Autore

Il genero usurpatore

Il genero usurpatore

Un caratteristico paesello, posto sulla riva destra del fiume Piave ed a ridosso delle colline dell’Asolano, durante la prima guerra mondiale, fu teatro e baluardo del fronte difensivo italiano durante la rovinosa ritirata di Caporetto, venne pesantemente colpito dalle artiglierie Astro-Ungariche.

Difficile e lunga fu la ricostruzione.

Ci fu bisogno dell’intervento dello Stato che assegnò, a delle cooperative venute da fuori, la riparazione dei muri e dei tetti ridotti in macerie.
Tra le laboriose ed esperte maestranze edili, c’erano anche dei baldi giovani e, uno di questi si innamorò, fin da quando la vide, di una ragazza del paese.
Dopo un breve fidanzamento, seguì un matrimonio riparatore, ed il giovane si accasò presso l’abitazione dei suoceri.
Il nuovo arrivato, fin da subito, non rispettò le gerarchie e le tradizioni consolidate e, pensando di essere lui il padrone di casa e dei campi, iniziò a vantarsi senza pudore.
Il suocero, dopo ripetute lamentele ed innumerevoli richiami, gli disse:
“Ragazzo mio, vola basso, sei solo un fortunato ospite!”

Il genero lo prese alla lettera.

Si tagliò con le forbici le ali del cappello e, come segno di sfida, si aggirava in questo modo per il paese, noncurante di poter diventare una macchietta.
Non soddisfatto, una sera, nel tradizionale filò in stalla, davanti agli stupefatti partecipanti sopraggiunti, continuò a vantarsi di essere lui il nuovo padrone, esclamando:
“Ho pure le mucche che ben vedete e le venderemo solo quando lo dirò io!”

Il suocero, stizzito da tali assurde affermazioni, perse le staffe e replicò:

“Se tutto quel che era mio, ora asserisci che sia tuo, prendi anche questo che non può essere disgiunto!”
Terminata la frase, prese una grande manata di sterco fresco di mucca e glielo tirò in piena faccia.
I partecipanti applaudirono alla spettacolare sortita del suocero, nei confronti dello spudorato e ingrato genero che, da quel momento, fu costretto, così malamente conciato, ad abbassare la cresta.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La forchetta mancante

La forchetta mancante

Ad una nobildonna veneta venne svaligiata, durante una assenza, la villa di campagna, nonostante vari e costosissimi sistemi d’allarme.
I professionisti di questo fastidioso crimine avevano sottratto vari oggetti di valore, tra cui un servizio di posate d’argento con incise le iniziali della casata che, negli anni, si era distinta in fatto di armi e, in seguito, per aver organizzato cenacoli per letterati e artisti di acclamata fama, tra cui il gaudente e avventuroso Giovanni Casanova.

Le posate in questione avevano, per la contessa,

un valore inestimabile poiché erano state usate in numerosi pranzi e cene da favola, composte da numerose portate, con il bel mondo di cui amava, anche in quel momento, circondarsi al desco.
Una sua vecchia e sagace domestica le aveva suggerito di nascondere in un altro posto una forchetta del prezioso servizio e che, solo un giorno, avrebbe capito il perché del suo singolare stratagemma.

Dopo la denuncia di prassi alle forze dell’ordine,

la derubata lasciò passare un breve periodo dopodiché iniziò ad andare nei mercatini di antiquariato sperando di recuperarle.
In una bancarella le fu facile individuare il suo servizio d’argento esposto in vendita ad un prezzo ribassato per la mancanza di una forchetta dal servizio da dodici.
All’incauto antiquario la contessa mostrò la forchetta mancante che si era portata appresso nella borsetta, intimandogli:

“Ti consiglio di ridarmi il mal sottratto,

se non vuoi essere denunciato per ricettazione, avendo con me la prova del furto!”
Saggio e lungimirante fu il consiglio della domestica per tornare in possesso con facilità del prezioso servizio e la forchetta nascosta si mostrò essere, come il coperchio mancante della pentola del diavolo, determinante per smascherare i progetti criminosi.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Corri, non esitare! (Senza Rimpianto)

Corri, non esitare!
(Senza Rimpianto)

Che cos’è il rimpianto?
Il rimpianto non è altro che una reazione negativa a comportamenti avuti nel passato.
In poche parole:
È il rendersi conto di una determinata cosa che avremmo voluto fare, ma che non abbiamo mai fatto.
Sono sicura che ognuno di noi rimpiange almeno una cosa nella vita.
Ognuno di noi vorrebbe ritornare indietro nel tempo per dire o fare, cose che non abbiamo mai avuto il coraggio di fare.
Che cosa succederebbe se avessimo la possibilità di correggere le cose?

—————————-

“La vita è troppo breve per avere dei rimpianti.” mi disse una donna anziana.
Forse sull’ottantina.
“Come dice, scusi?” chiesi cortesemente come per accertarmi che si stesse rivolgendo a me.
“Mi ricordi me alla tua età.” continuò tenendo lo sguardo fisso davanti a se.
“A quei tempi ero piena di rimpianti… e lo sono tutt’ora.”
E mentre disse l’ultima frase, mi guardò negli occhi abbozzando un sorriso amaro.
La guardai per diversi minuti, senza saper cosa dire.
Poi, quando feci per andar via, ricominciò a parlare.
Presi posto su una delle sedie accanto alla sua, mentre lei cominciò ad avere dei violenti colpi di tosse:

“Tutto bene?

Non deve sforzarsi per…”
Ma mi rassicurò con un gesto della mano e proseguì il suo racconto.
“Quando avevo la tua età avevo questo amico, che poi tanto amico non era.” pronunciò con uno sguardo nostalgico, “A quei tempi non capivo cos’era l’amore.
Pensavo che quello che provavo per lui fosse normale, sai, nei confronti di un amico.”
“E cosa è accaduto?
Quando si è resa conto di amarlo?” mi scoprì a dire ritrovandomi in quanto ha detto.
“Me ne accorsi quando una mattina mi confessò di voler andare a fare il militare.”
“E lei come l’ha presa?
Gli ha confessato di amarlo?”

“Oh, no, tutt’altro!

Mi congratulai con lui.
Non era da tutti voler andare in guerra.
In quel momento, pensai che fosse stupido ma anche maledettamente coraggioso.
Ma non osavo ammettere a me stessa che in realtà non volevo che partisse…” ricominciò a tossire, ma non fermò la narrazione, “Quando arrivò il giorno della partenza non andai a salutarlo, non ne ero in grado.
E quello fu il mio più grande rimpianto, perché lui non tornò più.” concluse con gli occhi lucidi.
Mi alzai bruscamente dalla sedia mentre il cuore cominciò a rimbombarmi nel petto.
L’unica cosa che riuscivo a sentire era il rumore del treno che si stava avvicinando.

“Corri, non esitare!”

Mi disse lei sorridendo come se avesse capito tutto quanto.
Sorrisi a mia volta, consapevole del fatto che se non le avessi dato retta, me ne sarei pentita per il resto della vita.
Feci per correre verso i binari, ma una domanda mi balenò in mente facendomi ritornare sui miei passi:
“Scusi la domanda improvvisa ma posso chiederle perché lei è qui?”
Mi guardò negli occhi, e solo allora notai quanto fossero famigliari.
Mi sorrise e mi disse semplicemente:
“Ogni giorno a quest’ora prendo un treno nella speranza di ricongiungermi con lui.”
E così fu.

Brano di Maddalena Dinu

Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore!

Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore!

Camminavo con mio padre, quando all’improvviso si arrestò ad una curva e dopo un breve silenzio mi domandò:
“Oltre al canto dei passeri, senti qualcos’altro?”

Aguzzai le orecchie e dopo alcuni secondi gli risposi:

“Il rumore di un carretto.”
“Giusto!” mi disse, “È un carretto vuoto.”
Io gli domandai:
“Come fai a sapere che si tratta di un carretto vuoto se non lo hai ancora visto?”.

Mi rispose:

“È facile capire quando un carretto è vuoto, dal momento che quanto più è vuoto, tanto più fa rumore.”

Divenni adulto e anche oggi quando vedo una persona che parla troppo, interrompe la conversazione degli altri, è invadente, si vanta delle doti che pensa di avere, è prepotente e pensa di poter fare a meno degli altri,

ho l’impressione di ascoltare la voce di mio padre che dice:

“Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore!”

Brano di Bruno Ferrero

La sosta in una tavola calda

La sosta in una tavola calda

Di ritorno da un viaggio, un uomo raccontò di un’esperienza che gli era parsa una parabola sulla vita.
Durante una breve sosta egli entrò in una tavola calda dall’aspetto pulito e ordinato.
C’erano minestre deliziose, spezzatini caldi e ogni genere di piatti invitanti.

Ordinò una minestra.

“Lei viaggia con quell’autobus?” gli domandò la proprietaria che era al banco.
L’uomo annuì.
“Allora niente minestra!” esclamò la proprietaria.
“Uno spezzatino ben caldo con riso bollito?” domandò l’uomo perplesso.

“No, se è di quell’autobus.

Posso darle un sandwich.
Ci ho messo tutta la mattina a preparare quei piatti e lei ha soltanto dieci minuti per mangiarli.
Non le permetterò di mangiare cibo che non ha il tempo di gustare!” spiegò la proprietaria.

Brano senza Autore