Dare o prendere

Dare o prendere

Una volta, un ministro era seduto sul bordo di una fontana cittadina.
Per disattenzione, vi scivolò dentro.
Alcuni passanti si fecero avanti e gli tesero la mano dicendo:

“Dammi la mano!”

Ma l’uomo politico non ne voleva sapere e non tendeva la mano a nessuno.
In quel momento passò un uomo che si aprì la strada nella folla ed esclamò:
“Amici miei, il nostro ministro fin dalla nascita ha imparato solo il verbo prendere; non conosce il verbo dare!”

Così dicendo gli tese la mano:

“Buongiorno, Vostra Eccellenza; prendete, dunque, la mia mano!”
Immediatamente il ministro afferrò la mano dell’uomo e uscì dalla vasca.

Brano senza Autore

L’amico “Eco”

L’amico “Eco”

C’era una volta un ragazzo che, malgrado la giovane età, lavorava per aiutare i suoi genitori!
Viveva con loro in un piccolo villaggio appollaiato sulle montagne e, ogni mattina, conduceva al pascolo il suo gregge di capre fra le gole delle montagne!
Un mattino, mentre seguiva le capre su un sentiero nuovo in una valle stretta, gli sembrò di udire rumore di passi e belati di altri animali!
Il ragazzo pensò che ci dovesse essere nelle vicinanze un pastore che, come lui, portava al pascolo il gregge.
Il suo cuore fece un balzo di gioia:
gli sarebbe tanto piaciuto avere un amico!
Facendo imbuto con le mani davanti alla bocca, gridò:
“Chi è là?”

Udì una voce che gli rispondeva:

“Chi è là?
Chi è là?
Chi è là?”
Le grida venivano da più parti.
C’erano tanti pastori sulla montagna?
Come mai non li aveva mai incontrati?
Allora gridò più forte:
“Fatevi vedere!”
Le voci risposero:
“Fatevi vedere!
Fatevi vedere!
Fatevi vedere!”
Ma non apparve nessuno.
Il ragazzo gridò ancora:
“Perché non venite fuori?”
Da tutte le direzioni le voci risposero:
“Venite fuori!
Venite fuori!
Venite fuori!”
Il giovane pastore pensò che si volessero burlare di lui e si rattristò.
Per non darlo a vedere, sbraitò in tono arrabbiato:
“Chi fa così è proprio scemo!”

Per tutta la montagna rimbombò:

“Scemo!
Scemo!
Scemo!”
Questa volta il povero pastorello ebbe una gran paura.
Dovevano essere ben cattivi quei pastori della montagna!
Radunò in fretta e furia le capre e tornò al villaggio!
Adesso aveva paura a tornare sulla montagna:
magari qualcuno di quei perfidi pastori avrebbe potuto tendergli un tranello e fargli del male!
Il giorno dopo si sentiva veramente angosciato all’idea di avventurarsi su per la montagna.
“Che cos’hai figlio mio?” gli chiese, la madre, “Perché non vuoi portare le capre al pascolo?”
Il ragazzo raccontò tutto a sua madre:
le grida minacciose che rimbombavano sulla montagna e i pastori invisibili che lo insultavano.
Dopo averlo ascoltato attentamente la madre comprese che non ci fosse nessuno sulla montagna!
Soltanto l’eco rimandava al ragazzo le parole che lui stesso aveva gridato!
“Non ti preoccupare figlio mio!” gli disse.
“Quei pastori non ti vogliono fare alcun male!
Hanno solo paura di te e vorrebbero degli amici.
Domani, quando sarai tra le rocce, augura loro il “buongiorno” e aggiungi qualche frase amichevole!
Sono sicura che te la ricambieranno!”
Il giorno dopo, quando raggiunse la gola tra i monti, il ragazzo inspirò profondamente e gridò: “Buongiorno!”

L’eco rispose:

“Buongiorno!
Buongiorno!
Buongiorno!”
Rassicurato, il giovane gridò ancora:
“Vorrei essere vostro amico!”
L’eco rimbalzò tra le rocce:
“Amico!
Amico!
Amico!”

Brano senza Autore

Per una goccia di miele

Per una goccia di miele

Tanti anni fa, in un villaggio, un uomo aveva appena aperto una bottega di alimentari.
Non faceva grandi guadagni, ma non poteva lamentarsi.
A quel tempo non occorreva molto per vivere dignitosamente ed essere felici.
Un bel mattino, la porta della drogheria si aprì davanti al primo cliente della giornata.
Era il pastore del villaggio vicino, con il suo nodoso bastone in mano e un grosso splendido cane accanto.
“Buongiorno, amico mio!” disse il pastore gentilmente, “Avrei bisogno di un po’ di miele.”
Il droghiere si avvicinò premuroso al banco:
“Buongiorno, signor pastore!
Siate il benvenuto!
Che bel cagnone, il vostro!
Miele avete detto?
Ne ho, certo, e della migliore qualità!
Avete portato un vasetto?
Perfetto!

Quanto ne volete?”

“Una libbra, grazie.
È davvero bello il mio cane, non è vero?” continuò il pastore.
“È l’essere che amo di più al mondo.
È il mio fedele compagno ed è anche molto intelligente.
Dovreste vederlo in azione quando è con me al pascolo…”
Il droghiere annuiva con grandi cenni del capo.
Mentre affondava il mestolo nel barilotto del miele e lo versava nel vasetto del pastore, una goccia di miele cadde a terra.
In quell’istante una mosca, venuta da chissà dove, si lanciò in picchiata sulla goccia.
Il gatto del droghiere, che fingeva di dormire raggomitolato in un angolo, seguì la manovra della mosca con un occhio solo.
Poi scattò come una molla e appiattì la mosca con un solo colpo di zampa.
Fino a quel momento il cane del pastore aveva finto di ignorare la presenza del gatto.
Irritato dal movimento improvviso del gatto, suo nemico atavico, ringhiò e si gettò sulla povera bestiola.

Un parapiglia spaventoso:

latrati, miagolii, zanne e unghie.
Prima che gli uomini potessero fare un solo gesto, il gatto giaceva stecchito ai piedi del padrone.
“Oh, maledetta bestia!
Il mio povero micino…” gridò il bottegaio.
Accecato dalla collera impugnò il primo oggetto pesante che gli capitò tra le mani e colpì ripetutamente il cane:
“Tieni! Così impari!”
Colpito alla testa il povero cane piombò morto al suolo, vicino al gatto.
Il pastore si disperò:
“Selvaggio!
Assassino!
Hai massacrato il mio cane!
Il mio unico amico!
Il mio compagno di lavoro!
Che farò io adesso?
Guarda come finiscono i disgraziati come te!”
Il gigantesco pastore brandì il suo bastone e, folle di rabbia, colpì a morte il droghiere.
“Aiuto!
Correte!
Addosso all’assassino!”
Da una strada all’altra, la notizia della morte del droghiere si diffuse in tutto il villaggio come una folata di polvere sollevata dal vento.
Lugubri rintocchi di campana si mescolarono a grida di collera e di vendetta, insieme a pianti e lamenti.
Uomini, donne, bambini accorrevano da tutte le parti.
Si impadronirono del pastore e lo massacrarono.
Il corpo del pastore fu steso accanto a quello del droghiere, del cane, del gatto e della mosca…
Lassù, nel villaggio vicino, quello del pastore, fu dato l’allarme:

“Aiuto!

Hanno ucciso il nostro pastore…
Andiamo a vendicarlo!”
Gli abitanti del villaggio, armati di pietre, zappe, forconi, cioè di tutto quello che trovarono a portata di mano, alcuni a piedi, altri a cavallo, attaccarono il villaggio nemico.
La loro rappresaglia fu terribile.
Colpirono, uccisero, saccheggiarono, incendiarono…
Gli altri risposero con altrettanta violenza.
Ben presto non rimasero nei due villaggi che cenere, cadaveri e desolazione.
Per combinazione, quei due villaggi così vicini erano sulla linea di due stati diversi.
Il re del primo, messo al corrente della distruzione del suo villaggio di frontiera, s’infiammò di collera, riunì il suo stato maggiore e fece redigere una dichiarazione di guerra che venne affissa in tutti gli angoli del regno.
Il re dell’altro paese non tardò a reagire rendendo pubblico il suo proclama:
“Davanti a Dio e agli uomini, io protesto contro l’arroganza dei nostri vicini.
Il loro re ha calpestato tutti i trattati e le leggi esistenti.
Sono obbligato a rispondere con la forza, in nome dell’Onore e della Giustizia, in nome della Gloria eterna del nostro popolo!”

E scoppiò la guerra.

Una guerra terribile e letale.
I due paesi furono messi a ferro e fuoco.
Durante l’inverno, la primavera, l’estate, per anni e anni.
I campi di grano si trasformarono in campi di battaglia; le fattorie furono devastate, il bestiame massacrato…
La guerra infuriava ancora, quando sopravvenne la carestia, poi le epidemie, i morti senza numero e… il freddo di un inverno che non si era visto a memoria d’uomo.
Sui campi e sui cimiteri coperti di neve dal campanile di un paese lontano giunse l’eco del suono delle campane che si perdeva nel vento gelido.
Era il primo gennaio.
Quei pochi che sopravvissero per miracolo si domandavano e si domandano ancora come e perché tutto questo era potuto cominciare e come sarebbe potuto essere evitato.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’ostrica ed il cavalluccio marino

L’ostrica ed il cavalluccio marino

Passeggiando sul fondo del mare, un giorno, un cavalluccio marino vide una giovane ostrica.
Doveva essere arrivata da poco poiché il cavalluccio, appassionato di passeggiate e molto estroverso, non l’aveva mai vista prima.
“Buongiorno!” disse gentilmente il cavalluccio bussando piano sul guscio dell’ostrica.
Stava per proseguire, pronto a godere delle meraviglie del mare e delle sue creature, quando una voce dolcissima gli rispose:

“Per me sarà certamente un buon giorno:

ti sei accorto di me!”
“Tu non sei di qua vero?” domandò il cavalluccio, che cominciava a essere curioso di quella strana creatura, grigia e rugosa.
“No, però qualche volta le correnti mi avevano già portata dove ci troviamo ora…” disse gentilmente l’ostrica.
“Allora conoscerai i miei amici!
Il granchio forte e loquace, la medusa affascinante e un po’ pungente…” esclamò il cavalluccio.
“Veramente no…
Io non ho amici.” replicò la timida ostrica.
“Davvero?” domandò il cavalluccio, “Mi sembra impossibile!”
“Vedi, io sono molto timida, non sono bella, non so fare tante cose…” si giustificò l’ostrica.

“Che cosa dici?

Tutti sanno fare compagnia a qualcuno!” spiegò il cavalluccio marino.
Fu felice di rimanere ancora in compagnia dell’ostrica, e l’ostrica cominciò a rilassarsi, tanto da schiudersi un po’:
non aveva mai compreso che poteva essere così facile donare e ricevere gioia!
Scese la notte e il riflesso della luna brillò sul fondo del mare.
Solo allora il cavalluccio e l’ostrica si sentirono un po’ stanchi.
Rimasero qualche istante in silenzio, poi l’ostrica mormorò:
“Sono stata tanto felice oggi.
Voglio offrirti un regalo che spero ti faccia piacere!”
E davanti agli occhi ammirati del cavalluccio, l’ostrica si aprì e porse una bellissima perla dalle venature rosate, che brillava al chiarore della luna.

“Questo è il mio regalo per te.

Prendila!” trillò l’ostrica.
Il cavalluccio prese la perla con delicatezza.
Era luminosa e calda … e il cavalluccio sentì tutto l’amore dell’ostrica fluire dentro di lui.

Potete rendere felici tutti quelli che vivono con voi.
Scoprireste tesori inimmaginabili che finirebbero altrimenti sprecati.
Lo potete fare con molto poco.
Allora, perché non lo fate?

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Le scarpe di Natale

Le scarpe di Natale

C’era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l’ordine e la tranquillità.
Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana.
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza.
E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai “buongiorno” per la strada; nessuno diceva mai “per piacere”:
quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C’erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po’ troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire…
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi.

E c’erano chiavi per ogni cosa:

per le porte, per l’armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura.
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d’occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano…
Ma, soprattutto, c’era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai:
“Chissà che cosa dirà la gente!”
Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto.
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po’ di denaro o anche solo qualche parola di speranza.

Tutto questo era scandaloso per la città.

Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro.
E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l’avevano soprannominata gli amici.
E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione.
Questo accadde qualche giorno prima di Natale.
Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa.
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio.
Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia…
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo.
Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti.

Così fu anche quel Natale.

All’alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali.
Ma… che cosa era successo?
Non c’era l’ombra di un regalo.
Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi… le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate.
Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito.
Non c’erano due scarpe uguali in tutta la città!
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada.
Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta.
Era una confusione allegra e festosa.
Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa.
Come quella del commissario Leonardi.
Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino.
Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino.

E anche lui si bloccò, sorpreso.

Accanto alla sua pesante scarpa nera c’era… una pantofola rossa di Cri-Cri.
Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave.
Ma la ragazza non c’era.
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c’erano l’altra scarpa del commissario e l’altra pantofola rossa.
Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce.
Il commissario si affacciò.
Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

Brano senza Autore.

La piccola Arianna e la mamma

La piccola Arianna e la mamma

La piccola Arianna, era passata dal seggiolone ai primi passi, con la sua bella dose di cadute e ginocchia sbucciate, come succede a tutti i bimbi.
In quelle occasioni di solito la mamma apriva le braccia e le diceva:
“Vieni da me!”
Allora Arianna andava a gattoni verso di lei, le saliva sulle ginocchia e mamma e bambina si abbracciavano.
La mamma le chiedeva:
“Sei la mia bambina?”
Piangendo Arianna faceva “si” con il capo.

Poi aggiungeva:

“La mia dolce nespolina Arianna?”
La bambina annuiva ancora, ma con un sorriso.
La mamma, infine, le diceva:
“Ed io ti voglio bene, sempre, in eterno e ad ogni costo!”
Dopo una risata ed un abbraccio, la bambina era pronta per un’altra sfida.
Anche a cinque anni Arianna continuava a ripetere la scenetta del “Vieni da me” per le ginocchia sbucciate e i sentimenti feriti, per scambiarsi il “Buongiorno” e la “Buonanotte.”

Un giorno capitò alla mamma di avere una giornataccia.

Era stanca, irritabile e stressata dall’impegno che richiede prendersi cura di un marito, di una bambina di cinque anni, di due ragazzi adolescenti e del lavoro che svolgeva da casa.
Ogni volta che squillava il telefono o che suonavano alla porta arrivava del lavoro che l’avrebbe impegnata per un giorno intero e che doveva essere fatto immediatamente.
Raggiunse il punto di rottura nel pomeriggio e si rifugiò in camera a piangere in santa pace.
Arianna corse subito a cercarla e le disse:
“Vieni da me!”
Si accoccolò vicino alla mamma, mise le manine sulle sue guance bagnate dalle lacrime e disse: “Sei la mia mammina?”
Piangendo la mamma fece “sì” col capo.

Poi continuò:

“La mia dolce nespolina mamma?”
Sorridendo la donna fece “sì” con il capo.
Alla fine Arianna concluse:
“E io ti voglio bene, sempre, in eterno e ad ogni costo!”
Una risata, un abbraccio e anche la mamma era pronta per la prossima sfida.
Anche i genitori a volte hanno bisogno di essere consolati, e Arianna questo lo ha capito benissimo!

Brano di Bruno Ferrero

I due blocchi di ghiaccio

I due blocchi di ghiaccio

C’erano una volta due blocchi di ghiaccio.
Si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzo ad un bosco sulle pendici di un monte.
Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza.
I loro rapporti erano di una certa freddezza.
Qualche “buongiorno,” qualche “buonasera.”

Niente di più.

Non riuscivano cioè a “rompere il ghiaccio!”
Ognuno pensava dell’altro:
“Potrebbe anche venirmi incontro.”
Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono né andare né venire.
Ma non succedeva niente e ogni blocco di ghiaccio si chiudeva ancora di più in se stesso.
Nella grotta viveva un tasso.

Un giorno sbottò:

“Peccato che ve ne dobbiate stare qui.
È una magnifica giornata di sole!”
I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente.
Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo.
Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese:
“Com’è il sole?”
“È meraviglioso, è la vita!” rispose il tasso.
“Puoi aprirci un buco nel tetto della tana…
Vorrei vedere il sole…” disse l’altro.

Il tasso non se lo fece ripetere.

Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato.
Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua.
Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima.
Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta.
Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme formando un laghetto cristallino, che rifletteva il colore del cielo.
I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni.
Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane

Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane

Un uomo, il suo cavallo e il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano accanto a un albero gigantesco, si abbatté un fulmine e morirono tutti fulminati.
Ma l’uomo non si accorse di avere ormai lasciato questo mondo e continuò a camminare con i suoi due animali.
A volte occorre del tempo perché i morti si rendano conto della loro nuova condizione.
Era una camminata molto lunga, su per la collina, il sole era forte e loro erano tutti sudati e assetati.
Avevano disperatamente bisogno di acqua.
A una curva della strada, avvistarono un magnifico portone, tutto di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale c’era una fontana da cui sprizzava dell’acqua cristallina.

Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata:

“Buongiorno!”
“Buongiorno!” rispose l’uomo.
“Che posto è mai questo, così meraviglioso?” chiese il viandante.
“Questo è il Cielo.” disse l’uomo.
“Che bello essere arrivati nel cielo, abbiamo molta sete.” esclamò il viandante.
“Lei può entrare e bere a volontà.” disse il guardiano indicando la fontana.
“Anche il mio cavallo e il mio cane hanno sete.” fece notate il viandante.
“Mi spiace molto, ma qui non è permessa l’entrata di animali.” replicò l’uomo.
L’uomo ne rimase assai deluso, perché aveva molta sete, ma non avrebbe mai bevuto da solo.

Ringraziò e proseguì.

Dopo aver camminato a lungo, ormai esausti, arrivarono in un luogo la cui entrata era segnata da una vecchia porta, che si apriva su di un sentiero sterrato, fiancheggiato da alberi.
All’ombra di uno degli alberi, c’era un uomo sdraiato, con il capo coperto da un cappello, che probabilmente stava dormendo.
“Buongiorno!” salutò il viandante.
L’uomo fece un cenno con il capo.
“Abbiamo molta sete, il mio cavallo, il mio cane e io.” continuò il viandante.
“C’è una fonte tra quelle pietre.” disse l’uomo indicando un posto, “Potete bere a volontà.
L’uomo, il cavallo e il cane si avvicinarono alla fonte e bevvero a volontà.
Poi, l’uomo tornò indietro per ringraziare, e chiese:

“Come si chiama questo posto?”

“Cielo.” rispose l’uomo.
“Cielo?
Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era là!” esclamò il viandante.
“Quello non è il cielo, quello è l’inferno.” replicò l’uomo.
Il viandante rimase perplesso e disse:
“Voi dovreste evitarlo!
Una tale informazione falsa causerà grandi confusioni!”
L’uomo sorrise e disse:
“Assolutamente no.
In realtà, ci fanno un grande favore.
Perché laggiù rimangono tutti quelli che sono capaci di abbandonare i loro migliori amici.”

Brano di Paulo Coelho

Buongiorno, Pace, Salute e Buon sentimento

Buongiorno, Pace, Salute e Buon sentimento

Un uomo molto anziano, incontrando le persone, le salutava dicendo:
“Buongiorno, Pace, Salute e Buon sentimento.”

Questo era il suo saluto anche se a volte nessuno lo capiva.

Finché un giorno un ragazzino gli chiese quale fosse il senso di questo saluto.
Lui, sorpreso dalla curiosità del ragazzino, rispose:
“Pace, Salute e buon sentimento sono le cose più importanti per vivere bene.

La pace ti dà serenità; la salute ti dà forza e vigore fisico per andare avanti;

il Buon sentimento è quello che non ti fa perdere i sensi e ti fa riconoscere il bene dal male.
Ognuna di queste cose ha bisogno l’una dell’altra perché non può esserci Pace senza Salute, né Salute senza Pace ma soprattutto né Pace e né salute senza Buon sentimento.”
Il ragazzino, soddisfatto, capì che quello era l’augurio più bello che le persone potevano farsi.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Don Luca Murdaca

Don Luca Murdaca autore del Brano “La corda della dignità.” tratto dal sito Web Buongiorno   ▶Home Bruno Ferrero Michele Bruno Salerno Autori con alcuni…