Il pane buono (La ragazza rom)

Il pane buono
(La ragazza rom)

Tempo fa, sul cader della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l’erba ed i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente.
Davanti al cancello, all’improvviso, apparve la figura di una ragazzina.

Chiaramente una Rom, una zingara:

il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.
Con un italiano piuttosto stentato mi chiamò e mi disse:
“Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?”

Le risposi:

“Dove abiti?” (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso)
“Là, vicino fiume Mella!” replicò.
“E di cosa vivi?” le domandai.
“Di quello che mi danno!” esclamò.
“Non vai a scuola?” proseguì.
“No, mai andata!” mi rispose.

“E i tuoi genitori cosa dicono?” chiesi ancora.

“Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice:
andare prendere qualcosa da mangiare.
Mi dai pane vecchio?” mi chiese nuovamente.
“Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio.
Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello!” le dissi mentre mi stavo girando per entrare in casa.
“Buono, hai già dato!” rispose.

Brano senza Autore.

L’uomo con la falce

L’uomo con la falce

Diversi anni fa, in una calda giornata di primavera, due comari stavano camminando lungo un alberato viottolo di campagna, raccontandosi, tra sonore risate, gli avventurosi tradimenti fatti ai rispettivi mariti, vantandosi a vicenda.
Arrivate vicino ad una radura, scorsero da lontano un uomo mai visto prima,

molto magro, tanto alto quanto pallido.

Portava un grande cappello di una foggia strana e falciava a grandi bracciate l’erba, nella zona in cui predominavano i papaveri.
La lama della falce, colpita dai raggi del sole, diventava sempre più luccicante.
Lo sconosciuto falciava con così tanta lena che la falce, quando sfiorava la terra, nel tagliare l’erba impregnata di rugiada emetteva un incerto sibilio, che sembrava dicesse:

“Duecento! Trecento!”

Vedendo questa scena ed udendo questo sibilio, le due signore scapparono via spaventate, tornando di corsa al villaggio.
Non appena ebbero ripreso fiato dissero ai propri compaesani:
“Abbiamo appena visto l’uomo della morte con la falce.

Ci ha avvisato che se non cambiamo vita farà duecento, trecento morti!”

Il villaggio, memore di una antica pestilenza che aveva decimato il borgo, credette alle due donne e tutti si misero in riga, dato che erano in tanti, ed in vario modo, a violare le leggi del Signore e della comunità.
Il falciatore altro non era che un povero bracciante venuto da fuori regione, testimone della vita che mai si arrende.
Il suo lavoro era un inno alla vita.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno