I due passerotti


I due passerotti

Due passerotti se ne stavano beatamente a prendere il fresco sulla stessa pianta, che era un salice.
Uno si era appollaiato sulla cima del salice, l’altro in basso su una biforcazione dei rami.
Dopo un po’, il passerotto che stava in alto, tanto per rompere il ghiaccio, dopo la siesta disse:
“Oh, come sono belle queste foglie verdi!”
Il passerotto che stava in basso la prese come una provocazione.

Gli rispose in modo seccato:

“Ma sei cieco? Non vedi che sono bianche!”
E quello di sopra, indispettito:
“Tu sei cieco! Sono verdi!”
E l’altro dal basso con il becco in su:
“Ci scommetto le piume della coda che sono bianche.

Tu non capisci nulla! Sei matto!”

Il passerotto della cima si sentì bollire il sangue e senza pensarci due volte si precipitò sul suo avversario per dargli una lezione.
L’altro non si mosse.
Quando furono vicini, uno di fronte all’altro, con le piume del collo arruffate per l’ira, prima di cominciare il duello ebbero la lealtà di guardare nella stessa direzione, verso l’alto.
Il passerotto che veniva dall’alto emise un “oh” di meraviglia:
“Guarda un po’ che sono bianche!”

Disse però al suo amico:

“Prova un po’ a venire lassù dove stavo prima!”
Volarono sul più alto ramo del salice e questa volta dissero in coro:
“Guarda un po’… sono verdi.”

Non giudicare nessuno se prima non hai camminato un’ora nelle sue scarpe.

Brano tratto da “Quaranta storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Casa Editrice Elledici.

I tre spaccapietre


I tre spaccapietre

Durante il Medioevo, un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario, come si usava a quei tempi.
Dopo alcuni giorni di cammino, si trovò a passare per una stradina che si inerpicava per il fianco desolato di una collina brulla e bruciata dal sole.
Sul sentiero spalancavano la bocca grigia tante cave di pietra.
Qua e là degli uomini, seduti per terra, scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare degli squadrati blocchi di pietra da costruzione.
Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini.
Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile, negli occhi feriti dalla polvere di pietra si leggeva una fatica terribile.
Il suo braccio sembrava una cosa unica con il pesante martello che continuava a sollevare ed abbattere ritmicamente.

“Che cosa fai?” chiese il pellegrino.

“Non lo vedi?” rispose l’uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo.
“Mi sto ammazzando di fatica”.
Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino
S’imbatté presto in un secondo spaccapietre.
Era altrettanto stanco, ferito, impolverato.

“Che cosa fai?” chiese anche a lui il pellegrino.

“Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini.”, rispose l’uomo.
In silenzio, il pellegrino riprese a camminare.
Giunse quasi in cima alla collina.
Là c’era un terzo spaccapietre.
Era mortalmente affaticato, come gli altri.
Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità.

“Che cosa fai?” chiese il pellegrino.

“Non lo vedi?” rispose l’uomo, sorridendo con fierezza, “Sto costruendo una cattedrale.”
E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il custode dei sogni


Il custode dei sogni

Quest’ uomo andava in giro con la sua valigia e raccoglieva i sogni dei bimbi, degli uomini e delle donne che li immaginavano e li lasciavano in giro.
Raccoglieva i sogni e li riponeva nella sua valigia di cartone con sopra dipinte le stelle.
Lui poteva vederli, erano leggeri ed evanescenti e leggermente luminosi.
Molte volte le persone li abbandonavano e si spegnevano un poco e lui camminando per strade e piazze li vedeva e li raccoglieva.
Giorno dopo giorno continuava a mettere i sogni in questa valigia.

Una sera stanco di camminare si sedette su una panchina, guardò il cielo dove vi era una luna piena.

Intorno nella piazza vi era gente che passeggiava e bambini che giocavano.
Il custode dei sogni si mise la valigia sulle ginocchia e l’aprì.
Da questa valigia usciva una luce fluorescente.
Questi sogni avevano una luce propria che pulsava leggermente.
Alcuni curiosi si fermavano a guardare.
Lui aprì a poco a poco la valigia.

Bolle luminescenti brillando si gonfiavano e questi globi di luce fluttuavano leggermente nell’aria sopra la valigia.

I curiosi divenivano sempre più numerosi, i bambini si avvicinavano a guardare; così il custode dei sogni iniziò a prendere ciascuno dei sogni racchiusi in queste bolle di luce e a darli a ciascun bambino che si faceva avanti, anche agli innamorati che si avvicinavano, ed alle persone che ne chiedevano uno.
E così man mano che queste persone li raccoglievano, divenivano anche loro leggermente luminescenti.
La piazza era diventata luminosa e la luna sorrideva nel cielo.
Ad un certo punto il custode dei sogni prese dalla sua valigia una tenda nera, salì sul piedestallo della statua in mezzo alla piazza e sventolando la tenda nera disse a tutti:
“Vedete anche voi cosa ho in mano?”

Il brusio della gente disse: “Una tenda nera.”

“Ebbene sì!” disse lui.
“Questo velo è il velo che ponete sui vostri sogni quando avete difficoltà a raggiungerli! Vedete tutti?”
La gente esclamò un timoroso “Si!”
“Bene!” disse il custode dei sogni.
“Volete sapere come togliere questo velo nero dai vostri sogni?
Ascoltate, ci sono due cose da fare per ravvivare i sogni.
La prima è ridare vita al vostro sogno, senza mai stancarsi di infondere energia su di esso, e avere il coraggio di continuare anche quando sembra “impossibile!”
Quindi perseverare.
La seconda cosa è conoscere come raggiungere la meta.
Dovete apprendere e conoscere quello che vi serve per vincere nella vita e trovare un modo di realizzarlo.

Perseverando nel vostro intento, raggiungerete la meta.

Quale meta?
Quella la dovete mettere voi, o ‘scoprirla’ togliendo il velo!”
Così dicendo il custode dei sogni agitò la tenda e svanì.
La gente stupita rimase a guardare immobile.
Tutti avevano la loro bolla di luce in mano e in quel momento pulsava… il loro sogno!
Rimase giusto una valigia su una panchina con sopra tante stelle dipinte.
La valigia dei sogni.
Quella non buttiamola.
Non buttarla via, riponila in un angolo della tua mente, dove potrai riporre i tuoi sogni e riprenderli e coltivarli uno per uno.
Buona fortuna.

Brano di Franco Farina

Amore e Pazzia


Amore e Pazzia

Raccontano che un giorno si riunirono in un luogo della terra tutti i sentimenti e le qualità degli uomini.
Quando la noia si fu presentata per la terza volta, la pazzia, come sempre un po’ folle propose: “Giochiamo a nascondino!”
L’interesse alzò un sopracciglio e la curiosità senza potersi contenere chiese:
“A nascondino? Di che si tratta?”
“E’ un gioco,” spiegò la pazzia “in cui io mi copro gli occhi e mi metto a contare fino a un milione mentre voi vi nascondete e, quando avrò terminato di contare, il primo di voi che scopro prenderà il mio posto per continuare il gioco dopo che avrò trovato tutti…”

L’entusiasmo si mise a ballare, accompagnato dall’euforia.

L’allegria fece tanti salti che finì per convincere il dubbio e persino l’apatia alla quale non interessava mai niente.
Però non tutti vollero partecipare.
La verità preferì non nascondersi.
Perché, se poi alla fine tutti la scoprono?
La superbia pensò che fosse un gioco molto sciocco (in fondo ciò che le dava fastidio era che non fosse stata una sua idea) e la codardia preferì non rischiare.
“Uno, due, tre…” cominciò a contare la pazzia.
La prima a nascondersi fu la pigrizia che si lasciò cadere dietro la prima pietra che trovò sul percorso.

La fede volò in cielo e l’invidia si nascose all’ombra del trionfo che con le proprie forze era riuscito a salire sulla cima dell’albero più alto.

La generosità quasi non riusciva a nascondersi.
Ogni posto che trovava le sembrava meraviglioso per qualcuno dei suoi amici.
Che dire di un lago cristallino? Ideale per la bellezza.
Le fronde di un albero? Perfetto per la timidezza.
Le ali di una farfalla? Il migliore per la voluttà.
Una folata di vento? Magnifico per la libertà.
Così la generosità finì per nascondersi in un raggio di sole.

L’egoismo, al contrario trovò subito un buon nascondiglio, ventilato, confortevole e tutto per se.

La menzogna si nascose sul fondale degli oceani (non è vero, si nascose dietro l’arcobaleno).
La passione e il desiderio al centro dei vulcani.
L’oblio non mi ricordo dove!
Quando la pazzia arrivò a contare 999999 l’amore non aveva ancora trovato un posto dove nascondersi poiché li trovava tutti occupati, finché scorse un cespuglio di rose e alla fine decise di nascondersi tra i suoi fiori.
“Un milione!” contò la pazzia.
E cominciò a cercare.
La prima a comparire fu la pigrizia, solo a tre passi da una pietra.
Poi udì la fede, che stava discutendo con Dio su questioni di teologia, e sentì vibrare la passione e il desiderio dal fondo dei vulcani.

Per caso trovò l’invidia e poté dedurre dove fosse il trionfo.

L’egoismo non riuscì a trovarlo.
Era fuggito dal suo nascondiglio essendosi accorto che c’era un nido di vespe.
Dopo tanto camminare, la pazzia ebbe sete e nel raggiungere il lago scoprì la bellezza.
Con il dubbio le risultò ancora più facile, giacché lo trovò seduto su uno steccato senza avere ancora deciso da che lato nascondersi.
Alla fine trovò un po’ tutti: il talento nell’erba fresca, l’angoscia in una grotta buia, la menzogna dietro l’arcobaleno e infine l’oblio che si era già dimenticato che stava giocando a nascondino.

Solo l’amore non le appariva da nessuna parte.

La pazzia cercò dietro ogni albero, dietro ogni pietra, sulla cima delle montagne e quando stava per darsi per vinta scorse il cespuglio di rose e cominciò a muoverne i rami.
Quando, all’improvviso, si udì un grido di dolore:
le spine avevano ferito gli occhi dell’amore…!
La pazzia non sapeva più che cosa fare per discolparsi; pianse, pregò, implorò, domandò perdono e alla fine gli promise che sarebbe diventata la sua guida.
Da allora, da quando per la prima volta si giocò a nascondino sulla terra, l’amore è cieco e la pazzia sempre lo accompagna…

Brano senza Autore, tratto dal Web

Una storia racconta di due amici che camminavano nel deserto…


Una storia racconta di due amici che camminavano nel deserto…

In qualche momento del viaggio cominciarono a discutere, ed un amico diede uno schiaffo all’altro, questi addolorato, ma senza dire nulla, scrisse nella sabbia:
il mio migliore amico oggi mi ha dato uno schiaffo.

Continuarono a camminare, finché trovarono un’oasi, dove decisero di fare un bagno.

L’amico che era stato schiaffeggiato rischiò di affogare, ma il suo amico lo salvò.
Dopo che si fu ripreso, scrisse su una pietra:

il mio migliore amico oggi mi ha salvato la vita.

L’amico che aveva dato lo schiaffo e aveva salvato il suo migliore amico domandò:
“Quando ti ho ferito hai scritto nella sabbia, e adesso lo fai su una pietra.
Perché?”

L’altro amico rispose:

“Quando qualcuno ci ferisce dobbiamo scriverlo nella sabbia, dove i venti del perdono possano cancellarlo.
Ma quando qualcuno fa qualcosa di buono per noi, dobbiamo inciderlo nella pietra, dove nessun vento possa cancellarlo.”
Impara a scrivere le tue ferite nella sabbia ed ad incidere nella pietra le tue gioie.

Brano senza Autore, tratto dal Web