Un abbraccio tra madre e figlia

Un abbraccio tra madre e figlia

La ragazza era di pessimo umore.
Aveva tutte le sue spine fuori, proprio come un porcospino tormentato da un cane.
Troppi compiti a casa, troppe interrogazioni, troppo tutto… ecco!

La madre le ripeteva la solita predica,

con ragionamenti, spiegazioni e raccomandazioni.
La ragazza si fece ancora più scura.
Poi guardò la madre dritta negli occhi e scandì:
“Mamma, sono stanca e stufa delle tue prediche.

Perché invece non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta?

Nessun consiglio potrà mai farmi altrettanto bene!”
La madre rimase a bocca aperta.
Gli occhi della figlia imploravano un abbraccio.
Con la voce rotta dalla voglia di piangere, disse:

“Vuoi… vuoi che ti abbracci?

Ma lo sai che anch’io… anch’io voglio che tu mi abbracci?”
Accolse la figlia nelle braccia aperte e la strinse a sé, come fosse ancora una bimba.
E, quasi d’incanto, non ci furono più discussioni…

Brano senza Autore

Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane

Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane

Un uomo, il suo cavallo e il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano accanto a un albero gigantesco, si abbatté un fulmine e morirono tutti fulminati.
Ma l’uomo non si accorse di avere ormai lasciato questo mondo e continuò a camminare con i suoi due animali.
A volte occorre del tempo perché i morti si rendano conto della loro nuova condizione.
Era una camminata molto lunga, su per la collina, il sole era forte e loro erano tutti sudati e assetati.
Avevano disperatamente bisogno di acqua.
A una curva della strada, avvistarono un magnifico portone, tutto di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale c’era una fontana da cui sprizzava dell’acqua cristallina.

Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata:

“Buongiorno!”
“Buongiorno!” rispose l’uomo.
“Che posto è mai questo, così meraviglioso?” chiese il viandante.
“Questo è il Cielo.” disse l’uomo.
“Che bello essere arrivati nel cielo, abbiamo molta sete.” esclamò il viandante.
“Lei può entrare e bere a volontà.” disse il guardiano indicando la fontana.
“Anche il mio cavallo e il mio cane hanno sete.” fece notate il viandante.
“Mi spiace molto, ma qui non è permessa l’entrata di animali.” replicò l’uomo.
L’uomo ne rimase assai deluso, perché aveva molta sete, ma non avrebbe mai bevuto da solo.

Ringraziò e proseguì.

Dopo aver camminato a lungo, ormai esausti, arrivarono in un luogo la cui entrata era segnata da una vecchia porta, che si apriva su di un sentiero sterrato, fiancheggiato da alberi.
All’ombra di uno degli alberi, c’era un uomo sdraiato, con il capo coperto da un cappello, che probabilmente stava dormendo.
“Buongiorno!” salutò il viandante.
L’uomo fece un cenno con il capo.
“Abbiamo molta sete, il mio cavallo, il mio cane e io.” continuò il viandante.
“C’è una fonte tra quelle pietre.” disse l’uomo indicando un posto, “Potete bere a volontà.
L’uomo, il cavallo e il cane si avvicinarono alla fonte e bevvero a volontà.
Poi, l’uomo tornò indietro per ringraziare, e chiese:

“Come si chiama questo posto?”

“Cielo.” rispose l’uomo.
“Cielo?
Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era là!” esclamò il viandante.
“Quello non è il cielo, quello è l’inferno.” replicò l’uomo.
Il viandante rimase perplesso e disse:
“Voi dovreste evitarlo!
Una tale informazione falsa causerà grandi confusioni!”
L’uomo sorrise e disse:
“Assolutamente no.
In realtà, ci fanno un grande favore.
Perché laggiù rimangono tutti quelli che sono capaci di abbandonare i loro migliori amici.”

Brano di Paulo Coelho

Quando finisce la notte?

Quando finisce la notte?

Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno.
“Forse quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”

rispose uno di loro.

“No!” disse il rabbino.
“Ma quando allora?”, domandarono gli allievi.

Il rabbino rispose:

“È quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella.
Fino a quel punto, è ancora notte nel tuo cuore.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Er cane moralista

Er cane moralista

Più che de prescia er Gatto
agguantò la bistecca de filetto
che fumava in un piatto,
e scappò, come un furmine, sur tetto.

Lì se fermò, posò la refurtiva
e la guardò contento e soddisfatto.

Però s’accorse che nun era solo
perché er Cagnolo der padrone stesso,
vista la scena, j’era corso appresso
e lo stava a guardà da un muricciolo.
A un certo punto, infatti, arzò la testa
e disse ar Micio: – Quanto me dispiace!

Chi se pensava mai ch’eri capace
d’un’azzionaccia indegna come questa?

Nun sai che nun bisogna
approfittasse de la robba artrui?
Hai fregato er padrone! Propio lui
che te tiè drento casa! Che vergogna!

Nun sai che la bistecca ch’hai rubbato
peserà mezzo chilo a ditte poco?

Pare quasi impossibbile ch’er coco
nun te ciabbia acchiappato!
Chi t’ha visto? – Nessuno…
E er padrone? – Nemmeno…
Allora – dice – armeno
famo metà per uno!»

Brano di Trilussa

Il lama, il gatto ed il topolino

Il lama, il gatto ed il topolino

In una notte gelida, fino da poco l’inverno, un lama buddhista trovò sulla soglia della porta un topolino intirizzito e quasi morto di freddo.
Il lama raccolse il topolino, lo ristorò e gli chiese di restare a fargli compagnia.
Da quel momento la vita del topolino fu piacevole.
Ma nonostante questo, la bestiola non aveva l’aria felice.
Il lama si preoccupò:
“Che hai, piccolo amico?” gli chiese.
“Tu sei molto buono con me.
E tutto nella tua casa è molto buono con me.
Ma c’è il gatto…” rispose il topolino.
Il lama sorrise.
Non aveva pensato al gatto di casa, un animale troppo saggio e troppo ben pasciuto per degnarsi di dare la caccia ai topi.

Il lama esclamò:

“Ma quel bel micione non ti vuole certo male, amico mio!
Non farebbe mai male a un topolino!
Non hai niente da temere, te lo assicuro!”
“Ti credo, ma è più forte di me!” piagnucolò il topolino, “Ho tanta paura del gatto.
Il tuo potere è grande.
Trasformami in gatto!
Cosi non avrei più paura di quella bestia orribile!”
Il lama scosse la testa.
Non gli sembrava una buona idea…
Ma il topolino lo supplicava e allora disse:
“Sia fatto come desideri, piccolo amico!”

E di colpo il topolino fu trasformato in un grosso gatto.

Quando morì la notte e nacque il giorno, un bel gattone uscì dalla camera del lama.
Ma appena vide il gatto di casa, il gatto-topolino corse a rifugiarsi nella camera del lama e si infilò sotto il letto.
“Che ti succede, piccolo amico?” chiese il lama, sorpreso, “Avrai mica ancora paura del gatto?”
Il topolino-gatto si vergognò moltissimo.
E implorò:
“Ti prego trasformami in un cane, un grosso cane dalle zanne taglienti, che abbaia forte…”
“Dal momento che lo desideri ti accontento e così sia!”
Quando il giorno morì e si accesero le lampade a olio, un grosso cane nero uscì dalla camera del lama.
Il cane andò fin sulla soglia della casa e incontrò il gatto di casa che usciva dalla cucina.
Il gattone quasi svenne per la paura alla vista del cane.
Ma il cane ebbe ancora più paura.
Guaì penosamente e corse a rifugiarsi nella camera del lama.
Il saggio guardò il povero cane tremante e disse:

“Che ti succede?

Hai incontrato un altro cane?”
Il cane-topolino si vergognò da morire.
E chiese: “Trasformami in una tigre, ti prego, in una grossa terribile tigre!”
Il lama lo accontentò e, il giorno dopo, una enorme tigre dagli occhi feroci uscì dalla camera del lama.
La tigre passeggiò per tutta la casa spaventando tutti, poi uscì nel giardino e là incontrò il gatto che usciva dalla cucina.
Appena vide la tigre, il gatto fece un balzo terrorizzato, si arrampicò su un albero e poi chiuse gli occhi, dicendo:
“Sono un gatto morto!”
Ma la tigre, vedendo il gatto, miagolò lamentosamente e fuggì ancora più veloce del gatto e corse a rifugiarsi in un angolo della stanza del lama.
“Che bestia spaventosa hai incontrato?” gli chiese il lama.
“Io… io ho paura… del… gatto!” balbettò la tigre, che tremava ancora.
Il lama scoppiò in una gran risata.
“Adesso capisci, piccolo amico!” spiegò, “L’apparenza non è niente!
Di fuori hai l’aspetto terribile di una tigre, ma hai paura del gatto perché il tuo cuore è rimasto quello di un topolino!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Il paese dei cani


Il paese dei cani

C’era una volta uno strano piccolo paese.
Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.
Facciamo un esempio.
Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo, donna o bambino.
Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perché c’era sempre qualcuno per la strada.
Facciamo un altro esempio.
Il signore che abitava la casetta numero 99, rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli fauci e facendogli capire che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni.
Lo stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per strada c’era sempre qualcuno spaventato.

Figurarsi se capitava un forestiero.

Allora i novantanove cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta, passavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte zitte dietro le finestre a spiare fin che il forestiero non fosse passato.
A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel paese erano diventati tutti un po’ sordi, e tra loro parlavano pochissimo.
Del resto non avevano mai avuto grandi cose da dire e da ascoltare.
Pian piano, a starsene sempre zitti e immusoniti, disimpararono anche a parlare.

E alla fine capitò che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani.

Loro forse credevano di parlare, ma quando aprivano la bocca si udiva una specie di “bau bau” che faceva venire la pelle d’oca.
E così, abbaiavano i cani, abbaiavano gli uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove villette sembravano diventate novantanove canili.
Però erano graziose, avevano tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi.
Una volta capitò da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi famosi viaggi.
I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare nervoso un paracarro.
Domandò un’informazione a una donna ed essa gli rispose abbaiando.
Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un ululato.
“Ho capito!” concluse Giovannino “È un’epidemia!”

Si fece ricevere dal sindaco e gli disse:

“Io un rimedio sicuro ce l’avrei.
Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno benissimo anche senza inferriate.
Secondo, mandate i cani a caccia, si divertiranno di più e diventeranno più gentili.
Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare di nuovo.”
Il sindaco gli rispose: “Bau! Bau!”
“Ho capito,” disse Giovannino “il peggior malato è quello che crede di essere sano!”
E se ne andò per i fatti suoi.
Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, può darsi che siano dei cani, ma può anche darsi che siano gli abitanti di quello strano, piccolo paese.

Brano tratto dal libro “Favole al telefono.” di Gianni Rodari

L’importanza di fare una gentilezza



L’importanza di fare una gentilezza

C’era una volta un taglialegna proprietario di un cane e di un asino.
Un giorno l’uomo viaggiò attraverso un bosco con il suo cane e il suo asino lungo un cammino che era assai faticoso.
A un certo punto della giornata il taglialegna si fermò in una radura all’ombra di un faggio, dove si sdraiò e si addormentò beatamente.
Intanto l’asino si mise a brucare l’erba.

Il cane chiese all’asino:

“Abbassati un poco: nel paniere che hai sul dorso c’è del pane.
Lascia che ne prenda un pezzo, perché ho fame.”
L’asino non voltò nemmeno il capo e continuò nella sua attività:
non voleva perdere neanche un minuto, neanche un filo di quella soffice e gustosa erba.
Il suo stomaco doveva riempirsi dopo quel lungo cammino che gli aveva procurato tanta stanchezza.

Poi però rispose al cane, con la bocca piena:

“Aspetta che si svegli il padrone, ti darà lui da mangiare.”
In quel momento sbucò dal margine del bosco un lupo che si avventò sull’asino a fauci spalancate.
L’asino chiese aiuto al cane:
“Caro cane, aiutami!
Amico mio!”

Il cane rispose:

“Sono così stanco a affamato!
Aspetta che il padrone si svegli: ti aiuterà lui!”
Il povero asino, con la zampa sanguinante, capì la lezione.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Posso portare il mio cane?


Posso portare il mio cane?

Un signore scrisse una lettera a un piccolo albergo in una cittadina che prevedeva di visitare durante le vacanze.
Scrisse:
“Mi piacerebbe portare con me il mio cane.

È pulito e ben educato.

Mi consentireste di tenerlo nella mia camera durante la notte?”
Immediata giunse la risposta del titolare dell’albergo che disse:

“Gestisco questo albergo da molti anni.

In tutto questo tempo non ho mai visto nessun cane rubare asciugamani, coperte o argenteria o quadri appesi alla parete.
Non ho mai dovuto cacciar via un cane in piena notte per ubriachezza molesta.

E non ho mai visto un cane andarsene senza pagare.

Sì, effettivamente il Suo cane è il benvenuto, nel mio albergo.
E se il Suo cane garantisce per Lei, anche Lei sarà il benvenuto.”

Brano di Kark Albrech

La strada che non andava da nessuna parte


La strada che non andava da nessuna parte

All’uscita del paese si dividevano tre strade:
una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.
Martino lo sapeva perché lo aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva ricevuto la stessa risposta:
“Quella strada lì?
Non va in nessun posto.
E’ inutile camminarci!”
“E fin dove arriva?” chiedeva.
“Non arriva da nessuna parte!” gli rispondevano
“Ma allora perché l’hanno fatta?” ribadiva.

“Non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì!” replicavano.

“Ma nessuno è mai andato a vedere?” insisteva il ragazzo.
“Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c’è niente da vedere…” concludevano.
“Non potete saperlo se non ci siete mai stati!” diceva Martino.
Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.
Quando fu abbastanza grande, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti.
Il fondo era pieno di buche e di erbacce e ben presto cominciarono i boschi.
Cammina cammina la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane.

Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani,

poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.
Finalmente il bosco cominciò a diradarsi e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro.
Attraverso le sbarre Martino vide un castello e a un balcone una bellissima signora che salutava con la mano.
Spinse il cancello, attraversò il parco e sulla porta trovò la bellissima signora.
Era bella, vestita come una principessa e in più era allegra e rideva:
“Allora non ci hai creduto!”
“A che cosa?” chiese stupito Martino.
“Alla storia della strada che non andava da nessuna parte!” replicò la signora.
“Era troppo stupida e secondo me ci sono più posti che strade!” rispose Martino.
“Certo, basta aver voglia di muoversi.
Ora vieni ti farò vedere il castello!” disse la bellissima signora.
C’erano più di cento saloni zeppi di tesori.
C’erano diamanti, pietre preziose, oro, argento e ad ogni momento la bella signora diceva:

“Prendi, prendi quello che vuoi…

Ti presterò un carretto per portare il peso!”
Martino non si fece pregare e ripartì col carretto pieno.
In paese, dove l’avevano già dato per morto, Martino fu accolto con grande sorpresa.
Scaricato il tesoro il carro ripartì.
Martino fece tanti regali a tutti e dovette raccontare cento volte la sua storia.
Ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere cavallo e carretto e si precipitava giù per la strada che non andava da nessuna parte.
Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro, con la faccia lunga per il dispetto:
la strada per loro finiva in mezzo al bosco in un mare di spine.
Non c’era né cancello, né castello, né bella signora.
Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova.

Brano di Gianni Rodari

Il bambino e il cucciolo zoppo


Il bambino e il cucciolo zoppo

Il padrone di un negozio stava esponendo sulla porta un cartello con la scritta:
“Si vendono cuccioli.”
Questo genere di annuncio attira sempre i bambini e difatti di lì a poco un ragazzino si presentò nel negozio chiedendo:
“Quanto costano i cagnolini?”
Il padrone rispose:
“Tra i 30 e i 50 Euro.”
Il bambino mise la mano in tasca ed estrasse alcune monete:
“Ho solo 2,37 Euro.

Posso vederli?”

L’uomo sorrise e fece un fischio.
Dal retrobottega entrò correndo il suo cane seguito da cinque cuccioli.
Uno di questi però era rimasto molto indietro rispetto agli altri.
Il ragazzino subito indicò il cagnolino rimasto indietro che stava zoppicando:
“Cosa gli è successo?” domandò.
L’uomo gli spiegò che quando era nato il veterinario gli aveva detto che quel cucciolo aveva un’anca difettosa e che sarebbe rimasto zoppo per sempre.
Il bambino si commosse a quelle parole ed esclamò:
“Questo è il cagnolino che voglio comprare!”

Ma l’uomo gli rispose:

“No, non comprarlo!
Se lo vuoi veramente, te lo regalo!”
Il bambino rimase molto male e guardando l’uomo diritto negli occhi gli disse:
“Non voglio che lei me lo regali: vale tanto come gli altri cagnolini e io le pagherò il prezzo intero.
Se è d’accordo, le darò subito i miei 2,37 Euro e un po’ ogni mese fino a quando lo avrò pagato completamente.”

L’uomo rispose:

“Non vorrai davvero comprare questo cagnolino, ragazzo.
Non sarà mai in grado di correre, di saltare e di giocare come gli altri cagnolini!”
Allora il bambino si piegò ed estrasse dai pantaloncini la sua gamba sinistra, malformata e imprigionata in un pesante apparecchio metallico.
Guardò di nuovo l’uomo e gli disse:
“Questo non importa: anch’io non posso correre e il cagnolino avrà bisogno di qualcuno che lo capisca.”
L’uomo si stava mordendo le labbra e i suoi occhi si riempivano di lacrime, sorrise e disse:
“Ragazzo, io mi auguro e lo spero davvero che ciascuno di questi cuccioli trovi un padrone come te.”

Brano senza Autore, tratto dal Web