Il dono al re. La Matassa di lana.


Il dono al re. La Matassa di lana.

Si fece una gran festa alla corte del re, per celebrare il suo ingresso nella città capitale.
Il re riceveva nel salone delle feste i doni e gli omaggi.
Erano tutti doni preziosi:
armi cesellate, coppe d’argento, tessuti di broccati ricamati d’oro.
Il corteo di donatori stava esaurendosi, quando apparve, zoppicando e appoggiandosi pesantemente ad un bastone, una vecchia contadina con i pesanti zoccoli di legno.

In silenzio trasse dalla gerla un pacchetto avvolto in un telo.

Uno scoppio di risate accompagnò il movimento della donna che depose ai piedi del trono una matassa di lana bianca, ricavata dalle due pecore che erano tutta la sua fortuna e filata nelle lunghe sere d’inverno.
Senza una parola, il re s’inchinò dignitosamente, poi diede il segnale di incominciare la festa, mentre l’anziana contadina attraversava lentamente la sala, scorticata dalle occhiaie beffarde dei cortigiani.
Riprese penosamente il suo lungo cammino, di notte, per tornare alla sua baita costruita nella foresta reale dove fino a quel momento la sua presenza era stata tollerata.
Ma quando arrivò in vista della sua casa, si fermò invasa dal panico.

La baita era circondata dai soldati del re.

Stavano piantando dei picchetti tutt’intorno e sui paletti stendevano il filo di lana bianco.
“Mio Dio,” pensò la povera donna con il cuore piccolo piccolo “il re si è offeso per il mio dono; le guardie mi toglieranno la casa, mi arresteranno, mi metteranno in prigione!”
Quando la vide, il comandante delle guardie si inchinò cortesemente e disse:
“Signora, per ordine del nostro buon re, tutta la terra che può essere circondata dal vostro filo di lana d’ora in poi vi appartiene!”
Il perimetro della sua nuova proprietà corrispondeva esattamente alla lunghezza della sua matassa di lana.
Aveva ricevuto con la stessa misura con cui aveva donato…

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero

Chi sono io?


Chi sono io?

“Chi sono io?” chiese un giorno un giovane ad un anziano.
“Sei quello che pensi!” rispose l’anziano,

“Te lo spiego con una piccola storia.”

Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto, si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
“Sono un papà e una mamma!” pensò una bambina innocente.
“Sono due amanti!” pensò un uomo dal cuore torbido.
“Sono due amici che s’incontrano dopo molti anni!” pensò un uomo solo.

“Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare!” pensò un uomo avido di denaro.

“È un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra!” pensò una donna dall’anima tenera.
“Sono due innamorati!” pensò una ragazza che sognava l’Amore.
“Chissà perché si abbracciano!” pensò un uomo dal cuore asciutto.
“Che bello vedere due persone che si abbracciano!” pensò un uomo di Dio.

“Ogni pensiero rivela a te stesso quello che sei.

Esamina di frequente i tuoi pensieri:
ti possono dire molte più cose su te di qualsiasi maestro!” concluse l’anziano.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

I gomitoli colorati


I gomitoli colorati

C’era una volta in una piccola città un negozio chiamato Arcobaleno perché sui suoi scaffali erano allineati tanti soffici gomitoli di lana di tutti i colori, giallo, rosso, verde, azzurro…
…un vero arcobaleno!
Però questi gomitoli non facevano che litigare fra di loro.
“Io, il giallo, sono il più bello perché ho il colore del sole e del risotto allo zafferano!”
“No, io, l’azzurro, perché ho il colore del cielo!”

“Ed io, il rosso, ho il colore di un bel campo di papaveri!”

E così via, finché un giorno, la padrona del negozio, stanca di tutto quello strepitare, decise di cercare qualcuno che mettesse fine a tanti litigi.
Si presentarono tanti bambini, tutti armati di grossi e tondi ferri da maglia…
Incominciarono a prendere chi un gomitolo, chi un altro e iniziarono a lavorare.
Arrivò anche qualche nonna ad aiutarli.

I gomitoli, prima sorpresi e preoccupati, capirono presto che nessuno di loro era il più bello, ma che lo sarebbero diventati tutti, unendosi uno con l’altro.

Così cominciarono a saltare da un bimbo all’altro.
Un po’ di rosso qua, due giri di blu là, un tocco di verde, un po’ di bianco…
Sapete come andò a finire la storia?
Nacquero copertine, sciarpe e golfini multicolori che servirono a riscaldare i bambini di tutto il mondo ed i gomitoli, felici di essere serviti a questo non litigarono mai più.
Bisogna sempre tessere con i colori della storia umana.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La città da colorare


La città da colorare

C’era una volta una piccola città dominata dalle ciminiere di una grande fabbrica.
Il cielo della città era grigio per il fumo, grigio era il colore delle case, grigia la faccia della gente.
I bambini erano pallidi e non avevano mai voglia di giocare.
Un giorno arrivò nella piccola città uno sconosciuto.
Era un uomo giovane, dal sorriso simpatico e gli occhi luminosi.
Portava un voluminoso zaino rosso e blu e, sotto il braccio, un grosso ombrellone giallo.

Lo sconosciuto aprì l’ombrellone nella piazza della città e sotto dispose, in bell’ordine, delle statuine di vetro.

I passanti si fermavano, guardavano le statuine, molti le compravano.
In realtà lo sconosciuto non faceva molto per vendere le sue statuine.
Egli si interessava soprattutto alla gente:
parlava con loro, li ascoltava sorridendo, li incoraggiava…
Finché, un mattino, lo sconosciuto estrasse dalle tasche del suo zaino dei gessetti colorati e si mise a disegnare sul marciapiede grigio una città meravigliosa dai colori splendidi, piena di verde, di gente sorridente, di bambini che giocavano.
Da tutta la città accorreva gente per vedere il magnifico disegno, che riusciva a riempire gli occhi e a riscaldare il cuore.

Quando il disegno fu terminato, lo sconosciuto distribuì fra tutti i presenti i suoi gessetti colorati.

Poi se ne andò.
Nessuno l’ha mai più visto.
La gente della piccola città decise di staccare il marciapiede dal suolo e di esporlo nel museo cittadino perché tutti potessero vedere la città meravigliosa dipinta dallo strano venditore.
Ma pochi avevano voglia di andare al museo e i colori cominciarono a sbiadire.
Presto si dimenticarono di lui.
Ma un giorno alcuni bambini trovarono i gessetti colorati che lo sconosciuto aveva distribuito e cominciarono a riempire di colori e di meravigliosi disegni i muri grigi della città grigia.
Oggi la chiamano: “La piccola città colorata dove la gente sorride!”

Brano tratto dal libro “Altre storie.” di Bruno Ferrero

La campana d’argento


La campana d’argento

C’era una volta una magnifica cattedrale simbolo di una grande città.
Su di essa svettava un superbo campanile, orgoglio di tutti gli abitanti.
Tuttavia l’opera era incompiuta.
Il campanile era muto: mancava la campana.
Il vescovo decise di dotare il campanile di una campana degna dell’immagine della cattedrale:
lanciò a tutta la città un invito per raccogliere oggetti d’argento, da far fondere, per realizzare con il contributo di tutti una campana d’argento.

Cominciarono ad arrivare oggetti e monili d’argento.

Un giorno da Don Enrico, incaricato dal vescovo di raccogliere le oblazioni, arrivò una povera vedova.
Ella consegnò timidamente un centesimo d’argento, che era tutto quello che possedeva.
Il prete prese la moneta con piglio sprezzante e appena la donna lasciò la stanza, lanciò la moneta fuori dalla finestra, nel giardino sottostante:
“Un centesimo…
Va bene solo per i mendicanti!
A cosa può servire per una grande opera come la nostra campana?”
Dopo poche settimane venne raccolto molto argento:
venne fuso e venne realizzata una campana stupenda.
Era un’opera d’arte, una meraviglia che ogni esperto giudicò perfetta.

Nel giorno di Pasqua, la maestosa campana d’argento fu benedetta, innalzata sul campanile e inaugurata.

Fu il vescovo ad avere l’onore di dare il primo rintocco della nuova campana.
La campana d’argento però emise soltanto un gemito pietoso, un suono pessimo, sordo che durò inoltre pochissimo.
Dopo il clamoroso insuccesso tecnici ed esperti intervennero per analizzare l’opera:
nessuno riusciva a spiegare il perché.
Il vescovo pregò Dio di mostrargli la causa di tale fallimento.
Una notte, in sogno, un angelo gli rivelò quello che il suo incaricato aveva fatto con l’offerta della povera vedova.
Allora il vescovo cercò immediatamente Don Enrico, incaricato alla raccolta delle offerte, e gli chiese spiegazioni.
Entrambi andarono allora in giardino e insieme, inginocchiati nell’erba e fra i cespugli, cercarono e cercarono…

fino a quando finalmente riuscirono a trovare la moneta della vedova.

Il vescovo fece rifondere la campana d’argento, aggiungendo anche il centesimo donato dalla povera vedova.
Quando, qualche settimana dopo riprovarono a collaudare la campana, il suo suono riempì l’aria con la melodia più bella che si fosse mai sentita provenire da una cattedrale.

Brano senza Autore