Il vecchio mai stato giovane

Il vecchio mai stato giovane

C’era una volta un vecchio che non era mai stato giovane.
In tutta la sua vita, in realtà, non aveva mai imparato a vivere.
E non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire.
Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere.
Tutto ciò che succedeva nel mondo non lo addolorava e neppure lo stupiva.
Passava le sue giornate oziando sulla soglia della sua capanna, senza degnare di uno sguardo il cielo, l’immenso cristallo azzurro che, anche per lui, il Signore ogni giorno puliva con la soffice bambagia delle nuvole.

Qualche viandante lo interrogava.

Era così carico d’anni che la gente lo credeva molto saggio e cercava di far tesoro della sua secolare esperienza.
“Che cosa dobbiamo fare per raggiungere la felicità?” chiedevano i giovani.
“La felicità è un’invenzione degli stupidi!” rispondeva il vecchio.
Passavano uomini dall’animo nobile, desiderosi di rendersi utili al prossimo.
“In che modo possiamo sacrificarci per aiutare i nostri fratelli?” chiedevano.
“Chi si sacrifica per l’umanità è un pazzo!” rispondeva il vecchio, con un ghigno sinistro.
“Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?” gli domandavano dei genitori.
“I figli sono serpenti!” rispondeva il vecchio, “Da essi ci si possono aspettare solo morsi velenosi!”
Anche gli artisti e i poeti si recavano a consultare il vecchio che tutti credevano saggio.
“Insegnaci ad esprimere i sentimenti che abbiamo nell’anima!” gli dicevano.

“Fareste meglio a tacere!” brontolava il vecchio.

Poco alla volta, le sue idee maligne e tristi influenzarono il mondo.
Dal suo angolo squallido, dove non crescevano fiori e non cantavano neanche gli uccelli, Pessimismo (perché questo era il nome del vecchio malvagio) faceva giungere un vento gelido sulla bontà, l’amore, la generosità che, investiti da quel soffio mortifero, appassivano e seccavano.
Tutto questo dispiacque molto al Signore, che decise di rimediare.
Chiamò un bambino e gli disse:
“Va’ a dare un bacio a quel povero vecchio!”
Il bambino obbedì.
Circondò con le sue braccia tenere e paffute il collo del vecchio e gli stampò un bacio umido e rumoroso sulla faccia rugosa.

Per la prima volta il vecchio si stupì.

I suoi occhi torbidi divennero di colpo limpidi.
Perché nessuno lo aveva mai baciato.
Così aperse gli occhi alla vita e poi morì, sorridendo.

A volte, davvero, basta un bacio.
Un “Ti voglio bene”, anche solo sussurrato.
Un timido “Grazie.”
Un apprezzamento sincero.
È così facile far felice un altro.
Allora, perché non lo facciamo?

Brano di Bruno Ferrero

Le calze di Giovanni

Le calze di Giovanni

Nel XIX secolo, in una cittadina inglese, dopo mesi di lavoro, una schiera di muratori aveva terminato la costruzione di un’altissima ciminiera per una fabbrica.
L’ultimo operaio era sceso dalla vertiginosa impalcatura di legno.
L’intera popolazione della città era là per festeggiare l’evento e soprattutto per assistere alla caduta spettacolare dell’impalcatura.

Appena il castello di assi e travi crollò tra il frastuono,

la polvere, le risate e le grida della gente, con stupore si vide spuntare sulla sommità della ciminiera la testa di un muratore che aveva appena terminato il lavoro nel colletto interno.
La folla degli spettatori ammutolì di colpo e l’orrore cominciò a serpeggiare in mezzo a loro:
“Ci vorranno giorni per alzare un’altra impalcatura.
E fino ad allora quel muratore sarà morto di freddo, di sete o di fame!”
In mezzo alla gente c’era anche la mamma del muratore, che sembrava disperata.
Ma poi ad un tratto si fece largo ed arrivata sotto la ciminiera fece un segno al figlio e gridò: “Giovanni, togliti le calze!”

Un mormorio si diffuse:

“Poverina, il dolore le ha fatto perdere la ragione!”
Ma la donna insistette.
Per non preoccuparla oltre, Giovanni si tolse la calza.
La donna gridò di nuovo:
“Rovesciala e cerca il nodo, poi tira!”
L’uomo ubbidì e ben presto si trovò in mano una grossa manciata di lana.
“Fai lo stesso con l’altra e lega insieme i fili e poi buttane giù il capo.
E tieni l’altro ben saldo fra le dita!”

Giovanni eseguì.

Al filo di lana fu legato un filo di cotone che l’uomo tirò fino in cima.
Poi al filo di cotone fu attaccata una cordicella e alla cordicella una corda ed infine alla corda un robusto cavo.
Giovanni lo fissò saldamente alla ciminiera e scese in mezzo agli “Urrà” della gente.

La tua vita e la tua salvezza dipendono da cose piccole e fragili, che molto probabilmente già possiedi.
Basta pensarci.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La storiella di una monetina d’argento

La storiella di una monetina d’argento

In una grande città di un lontano Paese esisteva una fabbrica di monete: una zecca.
Un giorno da quella zecca uscì una piccola moneta d’argento che subito cominciò a saltare e, tintinnando, disse:
“Voglio andare per il mondo, voglio vedere tutto ciò che succede nel mondo, lontano da qui!”
E ci andò veramente.
Passò dalle calde manine dei bambini alle fredde e viscide mani degli avari; i vecchi la tenevano stretta stretta, mentre i giovani la rimettevano subito in circolazione, spendendola presto e senza riflettere.
Per caso, un giorno, in un paese straniero, un signore se la trovò fra le mani ed esclamò:
“Toh! Una moneta d’argento del mio paese!” e la rimise nel borsellino insieme alle altre monete.
Lontana dal suo paese, la monetina si sentì estranea in mezzo alle altre e un giorno che il borsellino era aperto, scivolò per vedere cosa succedeva fuori; cadde a terra senza che nessuno si accorgesse di lei.
Dopo qualche ora passò un uomo che la vide, la prese e disse:

“Ma che razza di moneta è mai questa?

Non è delle nostre! È falsa!” e si affrettò a sbarazzarsene.
Incominciò così la sua odissea.
Quelle parole fecero tanto male alla monetina.
Essa sapeva di essere di puro argento e perfetta come conio.
Quelle persone si sbagliavano; non dovevano parlare male di lei e dire che era falsa e non valeva niente.
Un tale che l’aveva avuta per sbaglio disse:
“Appena è buio bisogna che cerchi di darla via.”
E così fece.
Qualcun altro la prese e, di nascosto, riuscì a spacciarla.
Passò di mano in mano.
Un giorno una povera donna che l’aveva avuta in compenso, dopo aver faticato a pulire una casa, non riuscì a darla via e fu per lei una vera disgrazia.

Pensò a come fare:

“Non posso tenere una moneta che non vale niente, la darò al fornaio che saprà come disfarsene.”
Ma il fornaio furbo si accorse che era una moneta fuori corso e non volle accettarla.
La poveretta la riprese e la riportò a casa:
la osservò con gentile delicatezza e disse:
“No! Non voglio più truffare nessuno.
Ma se ci penso bene questa monetina potrebbe essere un portafortuna.
La bambina prese la monetina insieme alla catenina e l’appese al collo.
Il portafortuna riposò tranquillo sopra il petto di una piccola innocente.
La mattina dopo, la madre della piccina la prese in mano e la osservò; staccò la catenina esclamando:
“Che razza di portafortuna: ora vedremo!”

Tuffata nell’aceto la moneta diventò verde.

Allora la donna chiuse il buco con del mastice, la lucidò un po’ e, giunta la sera, col buio, andò a comperare un biglietto della lotteria che, secondo lei, avrebbe dovuto portarle fortuna.
Siccome davanti al botteghino c’era molta gente che comperava i biglietti, quando toccò alla donna, il venditore prese la moneta e la gettò (senza osservarla) insieme alle altre.
Però il giorno dopo, accortosi che era falsa, riuscì a darla via.
Passò molto tempo e la moneta continuò a passare da uno all’altro, sempre malvista:
nessuno si fidava di tenerla.
Dopo tanto vagare senza alcuna meta, capitò fra le mani di un viaggiatore straniero che, prendendola per moneta corrente, volle darla via, ma anche lui si sentì dire:
“Non vale nulla! È falsa!”.
Allora la osservò bene e disse:
“Ma questa è una moneta d’argento del mio Paese, un’onesta moneta nostra. Toh!
Le hanno fatto il buco perché credevano che fosse falsa!
Voglio tenerla ed importarla in patria!”
Finalmente la moneta si sentì dire che era buona e onesta e finalmente sarebbe ritornata a casa!

Brano senza Autore, tratto dal Web