L’ostrica ed il cavalluccio marino

L’ostrica ed il cavalluccio marino

Passeggiando sul fondo del mare, un giorno, un cavalluccio marino vide una giovane ostrica.
Doveva essere arrivata da poco poiché il cavalluccio, appassionato di passeggiate e molto estroverso, non l’aveva mai vista prima.
“Buongiorno!” disse gentilmente il cavalluccio bussando piano sul guscio dell’ostrica.
Stava per proseguire, pronto a godere delle meraviglie del mare e delle sue creature, quando una voce dolcissima gli rispose:

“Per me sarà certamente un buon giorno:

ti sei accorto di me!”
“Tu non sei di qua vero?” domandò il cavalluccio, che cominciava a essere curioso di quella strana creatura, grigia e rugosa.
“No, però qualche volta le correnti mi avevano già portata dove ci troviamo ora…” disse gentilmente l’ostrica.
“Allora conoscerai i miei amici!
Il granchio forte e loquace, la medusa affascinante e un po’ pungente…” esclamò il cavalluccio.
“Veramente no…
Io non ho amici.” replicò la timida ostrica.
“Davvero?” domandò il cavalluccio, “Mi sembra impossibile!”
“Vedi, io sono molto timida, non sono bella, non so fare tante cose…” si giustificò l’ostrica.

“Che cosa dici?

Tutti sanno fare compagnia a qualcuno!” spiegò il cavalluccio marino.
Fu felice di rimanere ancora in compagnia dell’ostrica, e l’ostrica cominciò a rilassarsi, tanto da schiudersi un po’:
non aveva mai compreso che poteva essere così facile donare e ricevere gioia!
Scese la notte e il riflesso della luna brillò sul fondo del mare.
Solo allora il cavalluccio e l’ostrica si sentirono un po’ stanchi.
Rimasero qualche istante in silenzio, poi l’ostrica mormorò:
“Sono stata tanto felice oggi.
Voglio offrirti un regalo che spero ti faccia piacere!”
E davanti agli occhi ammirati del cavalluccio, l’ostrica si aprì e porse una bellissima perla dalle venature rosate, che brillava al chiarore della luna.

“Questo è il mio regalo per te.

Prendila!” trillò l’ostrica.
Il cavalluccio prese la perla con delicatezza.
Era luminosa e calda … e il cavalluccio sentì tutto l’amore dell’ostrica fluire dentro di lui.

Potete rendere felici tutti quelli che vivono con voi.
Scoprireste tesori inimmaginabili che finirebbero altrimenti sprecati.
Lo potete fare con molto poco.
Allora, perché non lo fate?

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La leggenda delle castagne

La leggenda delle castagne

Un montanaro, durante una pausa, si stava riposando ai piedi di un maestoso e secolare albero, lamentandosi con il buon Dio del poco sostentamento che aveva a disposizione.
Riusciva a sopravvivere solo grazie ai prodotti del pascolo, latte e formaggi, ottimi ma monotoni.

Durante l’estate arricchiva la sua dieta con bacche e funghi.

Inoltre raccoglieva fin troppa legna da ardere, ma non sapeva come impiegarla, dato il poco da cuocere in suo possesso.
Si lamentava, inoltre, del fatto che in pianura avessero messi, ortaggi e frutta, non dovendo neanche sforzarsi per affrontare lunghe camminate o ripide pendenze e del fatto che avessero stagioni dal clima più temperato.
Mentre continuava a lagnarsi a voce alta per la vistosa differenza di vita toccatagli, gli cadde in testa una cosa spinosa e rotonda, mai vista prima.
Dopo aver imprecato per il dolore, si alzò e diede un violento calcio alla cosa spinosa per allontanarla.
Meraviglia delle meraviglie, il riccio spinoso si aprì e ne uscirono tre frutti tondeggianti.

Il montanaro, non sapendo comunque cosa fossero, li assaggiò.

Risultarono commestibili e, per questa ragione, provò anche a cucinarli.
Nel frattempo, il montanaro, diede un nome all’albero e ai suoi frutti, chiamandoli rispettivamente castagno e castagne.
Le castagne bollite o arrosto erano veramente saporite, anche senza alcun condimento.

Inoltre saziavano ed erano nutrienti, soprattutto durante i lunghi e rigidi inverni.

L’albero si mostrò molto generoso di frutti e poco bisognoso di cure.
Anche le api iniziarono ad impollinare i fiori di questo albero, producendo, così, il rinomato miele.
Le castagne furono apprezzate da tutti e barattate con i prodotti della campagna.
E fu così che il buon Dio, che tutto vede e a tutti provvede, prese in “castagna” il brontolone montanaro donandogli, a sorpresa, il provvidenziale “pane della montagna”.

Togliere le castagne dal fuoco e mangiarle induce allegria in ogni cuore, che sia quello di un bambino o quello di un adulto, soprattutto se accompagnate da un buon vino, sempre in lieta e festosa compagnia.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il topolino sagace

Il topolino sagace

Un topolino che si apprestava a uscire dal suo buco intravide un gatto appostato là fuori.
Tornò in fondo al buco e invitò un amico a fare una capatina insieme ad un certo sacco di grano:

“Sarei andato anche solo,” disse,

“ma non posso negarmi il piacere di una compagnia così distinta!” “Benissimo,” disse l’amico, “verrò con te.
Fai strada.”
“Io?” esclamò l’altro, “Io precedere un topo illustre e famoso come te?
Non sia mai.

Seguo piuttosto la vostra signoria…”

Lusingato del grande sfoggio di deferenza, l’amico andò per primo e, uscendo dal buco, venne catturato dal gatto, che trotterellò via con la sua preda.
L’altro uscì indisturbato.

Brano senza Autore

Il pastore ed il viandante

Il pastore ed il viandante

C’era una volta un uomo che aveva sempre il cielo dell’anima coperto di nubi nere.
Era incapace di credere alla bontà.
Soprattutto non credeva alla bontà e all’amore di Dio.
Un giorno mentre passeggiava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi dubbi, incontrò un pastore.

Il pastore era un brav’uomo dagli occhi limpidi.

Si accorse che lo sconosciuto aveva un’aria particolarmente triste e gli chiese:
“Che cosa ti rende così triste, amico?”
“Mi sento immensamente solo.” rispose l’uomo.
“Anch’io sono solo, eppure non sono triste!” replicò il pastore.
“Forse perché Dio ti fa compagnia…” disse il viandante.

“Hai indovinato!” esclamò il pastore.

“Io invece non ho la compagnia di Dio.” spiegò l’uomo, “Non riesco a credere che mi ama.
Com’è possibile che ami gli uomini uno per uno?
Com’è possibile che ami uno come me?”
“Vedi laggiù il nostro villaggio?” domandò il pastore, “Vedi ogni casa?
Vedi le finestre di ogni casa?”

“Vedo tutto questo!” rispose l’uomo.

“Allora non devi disperare.
Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell’arco della giornata.
Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra.” concluse il saggio pastore.

Brano senza Autore

Amiche del cuore

Amiche del cuore

“Per piacere, resta!” imploravo.
Ann era la mia migliore amica, l’unica ragazzina del vicinato, e non volevo che andasse via.
Stava seduta sul mio letto, con gli occhi blu privi di espressione.
“Mi annoio!” disse arrotolandosi gli spessi riccioli rossi intorno a un dito.
Era venuta a giocare solo mezz’ ora prima.
“Per piacere, non andare!” chiesi supplichevole, “Tua mamma ha detto che potevi restare per un’ ora!”
Ann fece per alzarsi, poi vide un paio di mocassini indiani in miniatura sul mio comodino.
Con le loro perline dai colori vivaci sulla morbida pelle, quei mocassini erano la cosa che mi era più preziosa.
“Rimarrò se me li dai!” disse Ann.

Aggrottai le sopracciglia.

Non potevo immaginare di separarmi da quei mocassini.
“Ma me li ha dati la zia Reba!” protestai.
Mia zia era stata una donna bella e gentile, e io l’adoravo.
Non era mai troppo occupata per dedicarmi un po’ di tempo.
Ci inventavamo storie buffe e ridevamo tanto.
Il giorno in cui era morta, avevo pianto per ore sotto una coperta, incapace di credere che non l’avrei più rivista.
In quel momento, mentre tenevo con cura i mocassini nella mano, ero invasa dal dolce ricordo di zia Reba.
“Andiamo.” incitava Ann, “Sono la tua migliore amica!”
Come se ci fosse bisogno di ricordarmelo!
Non so che cosa mi prese, ma desideravo più di ogni altra cosa avere qualcuno che giocasse con me.
Lo volevo così tanto che porsi i mocassini ad Ann!
Dopo che li ebbe riposti in tasca, andammo in bicicletta sul vialetto per diverse volte e presto fu tempo per lei di tornare a casa.
Sconvolta per quello che avevo fatto, non avevo comunque voglia di giocare.

Quella sera sostenni di non avere fame e andai a letto senza cena.

Una volta nella mia stanza, iniziai davvero a sentire la mancanza dei mocassini!
Dopo che la mamma mi ebbe rimboccato le coperte e spento la luce, mi chiese cosa ci fosse che non andasse.
Le raccontai tra le lacrime di come avessi tradito la memoria di zia Reba e di quanto mi sentissi in colpa.
La mamma mi abbracciò con calore, ma tutto quello che mi disse fu:
“Bene, immagino che dovrai decidere cosa fare.”
Le sue parole non mi furono d’aiuto.
Sola nel buio, cercai di chiarirmi le idee.
“La legge dei bambini dice che non devi dare una cosa e poi riprendertela.” mi dicevo, “Ma è stato un affare conveniente?
Perché ho permesso ad Ann di giocare con i miei sentimenti?
Ma soprattutto, Ann è davvero la mia migliore amica?”
Decisi che cosa avrei fatto.
Mi agitai e mi rivoltai per tutta la notte, non vedendo l’ora che si facesse giorno.
A scuola, il giorno seguente, affrontai Ann.
Trassi un profondo respiro e le chiesi di rendermi i mocassini.

Sbarrò gli occhi e mi guardò a lungo.

“Per piacere!” pensavo, “Per piacere!”
“Okay.” disse infine, tirando fuori dalla tasca i mocassini, “Tanto non mi piacevano.”
Fui sopraffatta da una sensazione di sollievo.
Dopo qualche tempo io e Ann smettemmo di giocare insieme.
Scoprii nei dintorni dei bambini che non erano niente male, e spesso mi invitavano a giocare a softball.
Mi feci anche nuove amiche in altri quartieri.
Nel corso degli anni, ho avuto altre amiche del cuore.
Ma non ho più supplicato per la loro compagnia.
Sono arrivata a capire che gli amici sono persone che vogliono trascorrere il tempo con te, senza chiedere niente in cambio.

Brano di Mary Beth Olson

Un pomeriggio con il nonno

Un pomeriggio con il nonno

Da ragazzino andai ad aiutare il nonno materno per la fienagione (tecnica di raccolta delle piante foraggere finalizzata alla conservazione del foraggio sotto forma di fieno).
Ma, più che lavorare, dovevo solo fargli compagnia, a causa di un leggero problema al cuore.
Verso metà pomeriggio facemmo una lunga pausa per permettere al sole di essiccare l’erba ed il nonno, stanco, ne approfittò per fare merenda e schiacciare un riposino all’ombra di un grande gelso.
Gli chiesi il permesso di andare in esplorazione alla ricerca di nidi di uccelli, siccome ne ero affascinato, promettendogli di rimanere nei paraggi.

Il patto non fu rispettato e mi allontanai molto.

Trascorse un paio di ore, mi parve di sentire una voce insistente che mi chiamava da lontano.
Ne percepivo solo l’eco dato che ci trovavamo in una valle, ma non ci feci troppo caso e continuai a camminare, coinvolto dalla mia avventura.
Al ritorno trovai il nonno intento a riposare, così, dopo averlo chiamato, lo scossi con insistenza per svegliarlo, ma questo non mi diede segni di vita tenendo, inoltre, gli occhi chiusi.

Allora provai ad alzargli un braccio che però ricadde di colpo.

Continuai a chiamarlo insistentemente, senza avere risposte e, preso dalla paura e dal panico, iniziai a pensare che fosse morto, singhiozzando senza tregua.
Il nonno allora si alzò di scatto e cercò di tranquillizzarmi.
Mi disse che lo avevo fatto spaventare moltissimo poiché non sapeva dove fossi finito, non rispondendo neanche ai suoi insistenti richiami.
Con voce autorevole mi disse anche che, volendomi un gran bene e vedendomi pentito, era resuscitato.
Nei mesi seguenti andai al catechismo ed il sacerdote parlò del pianto di Gesù per la morte dell’amico Lazzaro e della sua resurrezione.

Vedendomi particolarmente attento e rosso in volto,

il parroco mi chiese se credessi al miracolo di Gesù.
Risposi di sì, raccontando anche l’avventura avuta qualche tempo prima, dove, anche il mio pianto sincero aveva fatto resuscitare l’amato nonno.
Alle ultime parole del racconto seguì una grande risata collettiva.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La malattia del pigiama

La malattia del pigiama

Un anziano signore ultraottantenne viveva da solo in una piccola villetta.
Aveva trascorso la propria esistenza da misantropo, sempre chiuso in se stesso, vivendo in mezzo al disordine più totale in compagnia dell’inseparabile gatto.

Da quanto narrava,

aveva sempre goduto di un’ottima salute e l’unica visita medica che ricordava di aver sostenuto era quella per il militare.
Da diversi mesi i servizi sociali del comune lo tenevano d’occhio dato che nell’ultimo periodo usciva poco di casa e, a turno, mandavano dei volontari che con molta discrezione e tatto lo monitoravano, qualora avesse dovuto avere bisogno di qualche bene di prima necessità e anche per mettere un po’ d’ordine in casa.
Una volontaria, entrando in casa durante una di queste visite,

lo trovò sul divano febbricitante e dolorante.

Pensò di accompagnarlo al pronto soccorso perché non seppe dirle chi fosse il proprio medico di famiglia.
Il medico del pronto soccorso che lo visitò lo mise subito in codice rosso e furono effettuati alcuni esami diagnostici di prassi, riscontrandogli diverse patologie gravi in atto.
Il suo ricovero fu la soluzione obbligata e, accompagnandolo al reparto, la volontaria gli chiese:
“Nonno, hai il pigiama?”

L’anziano rispose:

“Mi hanno detto che ho varie malattie, con nomi difficili che hanno a che fare con la matematica, ma quella del pigiama non mi sembra di averla sentita, comunque mi devono fare altri esami specialistici!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’Angelo del Signore e le tre prove

L’Angelo del Signore e le tre prove

Un saggio, che aveva passato la vita in meditazione e ricerca, scorse una mattina tra la folla uno strano essere, magro, con una folta barba lunga, e gli disse:
“So chi sei, e ti riconosco perché sono un mistico:
tu sei l’Angelo del Signore, e vai per la terra a compiere i suoi disegni.
Lascia allora ch’io ti segua, lascia che ti serva perché questo è ciò che per tutta la vita ho desiderato: essere utile ai disegni di Dio.”
L’altro lo guardò perplesso, e dopo un lungo silenzio rispose:
“Sia; ma ad una condizione:
rimarrai con me sino al tramonto senza criticare mai le mie azioni né chiedere mai spiegazione del mio operato.”
“Va bene.” esclamò il saggio, “So tacere quando occorre…”
E si misero in cammino.
Dopo un po’ giunsero in vista d’un villaggio i cui abitanti s’eran raccolti attorno a un muro che recintava un orto e cominciavano a demolirlo pietra dopo pietra.
L’individuo magro dalla barba folta chiese loro ragione di quel lavoro, e uno rispose:

“Vedi quei due ragazzi?

Sono orfani, e il loro unico sostentamento è dato da questo piccolo orto.
Stamane, passando da qui, il giudice del distretto è stato colpito da una pietra caduta dal muretto; ha ritenuto che il muretto fosse pericolante e ha ingiunto ai ragazzi di demolirlo completamente entro il tramonto, pena la confisca dell’orto.
Poiché non ce la faranno da soli né hanno denaro per pagar manovali, noi tutti li aiutiamo!”
Udito ciò, l’Angelo del Signore gli rispose:
“Ma perché proprio tu sei qui?
Non hai forse una mucca in atto di figliare, bisognosa dunque del tuo aiuto?”
Poi, mentre quello correva alla sua stalla, preso in disparte uno dopo l’altro quelli che lavoravano, parlò loro della necessità che s’occupassero dei fatti propri, e li convinse tutti ad abbandonare i due orfani che, rimasti soli, gli lanciarono una lunga, sconsolata occhiata di rimprovero; poi, con le lacrime agli occhi, presero a demolire il muro dicendo:
“Facciamo quanto possibile, e forse il giudice ci permetterà di terminare domani!”
Il saggio e l’uomo magro ripresero il cammino, non senza una certa perplessità del primo che a un certo momento sbottò:
“Ma non ti pare di aver agito male nei riguardi di quei poveri orfani?”

L’altro gli rispose:

“Ricordati la tua promessa; taci e seguimi!”
Nel primo pomeriggio i due giunsero sulle rive di un grande fiume.
I traghettatori vociavano e berciavano per richiamare l’attenzione dei pellegrini, ma non vollero abbassare il loro prezzo quando l’Angelo del Signore protestò:
“Quattro monete a testa?
Così tanto?
Non potremmo darvene due?”
“Niente da fare, oppure andate laggiù, da Husein il povero.
Ha una barca sgangherata e traghetta per una sola moneta!” risposero diversi traghettatori
Fecero così, e infatti Husein, un giovane che non poteva acquistare una barca più bella, doveva proprio accontentarsi delle briciole.
Li traghettò per una moneta a testa, ma quando arrivarono sulla riva opposta l’Angelo del Signore sguainò la spada e menando un fendente sul fondo della barca vi fece un buco che la colò a picco.
Husein cominciò a inveire, ma i due si allontanarono in fretta.

Poco dopo il saggio sbottò:

“Ma perché hai rovinato quella barca?
Quel giovane è povero, ha bisogno di soldi.
Non potrà più lavorare per tutta la giornata!”
“Ti ho detto di tacere, dunque taci!” ribatté l’altro.
Era quasi il tramonto quando si trovarono a passare accanto alla casetta di un boscaiolo.
Come questi li vide, andò loro incontro dicendo:
“Viandanti, è felice dovere d’ogni buon musulmano ospitare alla propria tavola lo straniero.
Accomodatevi da noi e desinate di buon grado!”
Così i due passarono più di un’ora in compagnia del boscaiolo, parlando con i suoi quattro figli e in particolare con l’ultimo, che era il prediletto dei genitori, oramai attempati.
Quando venne il momento di partire, l’Angelo del Signore chiese indicazioni sulla strada per la città.

Il boscaiolo spiegò:

“Segui il sentiero fin dopo la collina, poi prendi quello a destra dei due alberi…”
Ma l’Angelo pareva non capir bene, talché alla fine disse:
“Facci accompagnare dal tuo ultimogenito fino a quei due alberi, così saremo sicuri di non sbagliare!”
Così fu fatto, e i tre si incamminarono.
Superata la collina, giunti infine alla biforcazione, il ragazzo indicò la strada giusta, li salutò e si volse per tornare indietro.
Allora l’Angelo del Signore sguainò di nuovo la spada e con un gran fendente gli tagliò netta la testa.
L’uomo saggio inorridì…
Rimase un momento col fiato mozzo, e poi, violentemente, urlò:
“Angelo del Signore?
Macché Angelo del Signore:
un delinquente, un assassino, ecco chi sei!
L’Angelo del demonio, forse.
Mio Dio, ma come ho fatto a non capirlo prima?
Vattene, vattene via!
La maledizione su di te, assassino!”
Al che l’altro rispose:
“Certo, me ne vado, e capisco perché non mi vuoi più seguire.

D’altronde non lo potresti fare:

avevamo pattuito che non avresti dovuto protestare per ciò che facevo, né criticare, e per tre volte hai contravvenuto al patto.
Tuttavia, prima di lasciarti, ti darò la spiegazione dei fatti.
Quella gente che aiutava i due orfani, hai visto in effetti com’ era egoista?
Non appena gli ho parlato dei loro interessi se ne sono andati.
Orbene:
ai piedi di quel muretto era sepolta una marmitta piena di monete d’oro.
Se quella gente l’avesse trovata, non ne avrebbe parlato coi ragazzi e si sarebbe spartito il tesoro di nascosto.
Ora i due giovani hanno trovato le monete, e il loro avvenire è assicurato!”
“Sì, ma quella barca?” domandò il saggio.
L’angelo del Signore rispose:
“Dietro di noi stava sopraggiungendo una banda di predoni che aveva compiuto un grande saccheggio.
I predoni, giunti al fiume, hanno razziato tutte le barche per discendere il fiume sino alla loro nave, dove tutte le barche sono state affondate.
La sola che non hanno potuto prendere è quella di Husein, che la potrà riparare durante la notte e domani, unico traghettatore, lavorerà per molti giorni al prezzo che vuole!”
“Sì, ma il ragazzo che hai ucciso?” chiese allora il saggio, “Il più piccolo, il più caro a quei boscaioli!”
“Questa notte sarebbe impazzito, e nella sua follia avrebbe ammazzato nel sonno i suoi fratelli.

Ora, che cosa è preferibile per quei genitori?

Piangere il loro figlio minore, confortati dagli altri tre, o avere i primi tre uccisi dal fratellino, e quest’ultimo ucciso dal boia?
Stolto l’uomo che giudica le azioni di Dio; anzi:
stolto è l’uomo che giudica, quando gli elementi di giudizio possesso sono inadeguati o scarsi!”
Conclusa la spiegazione, l’Angelo del Signore se ne andò.

Brano tratto dal libro “Saggezza islamica.” di Gabriel Marcel. Edizione Paoline.

La civetta colorata

La civetta colorata

Un nonno regalò a suo nipote un viaggio-vacanza in Brasile.
L’unica condizione per avere questo era regalo era quella di comprare un pappagallo in Brasile e portarglielo, in modo che lui avesse potuto insegnargli a parlare,

per lenire la sua solitudine di vedovo.

Il nipote tra feste e distrazioni si dimenticò del pappagallo e se ne rese conto solamente una volta rientrato a Milano.
Girò tutti i venditori di uccelli per rimediare, ma ebbe la medesima risposta da tutti i commercianti:
le specie protette non possono essere commercializzate.
Fece un ultimo tentativo ed in questo negozio gli venne suggerito di colorare con colori sgargianti una civetta, contando sulla non buona vista del nonno.

Grande fu l’entusiasmo del nonno per la nuova compagnia

Quando il nipote ritornò dal nonno, un mese dopo, per chiedergli se fosse contento del pappagallo, questo gli rispose di sì.
Aggiunse, inoltre, che il pappagallo stava cambiando la lucentezza delle penne per la cattività, ma dai grandi occhi spalancati si intuiva chiaramente che stava molto attento a quello che gli veniva detto e sperava di avere, a breve, una risposta da parte del pappagallo.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La soluzione

La soluzione

Un’allegra e vorace comunità di piccioni aveva eletto come domicilio il sagrato di una chiesa.
Dopo i matrimoni, le fessure del lastrico si riempivano di chicchi di riso che facevano la gioia dei volatili.
Qualche chicco finiva anche oltre il portale della chiesa e, presi dall’entusiasmo,

i piccioni finirono per entrare dentro la chiesa.

Qualcuno restava dentro anche durante le funzioni domenicali, e operava incursioni che disturbavano e distraevano i fedeli.
Senza contare le “firme” oltraggiose lasciate sulle statue dei santi.
Il parroco, esasperato, convocò in seduta straordinaria il Consiglio Pastorale, mettendo all’ordine del giorno la soluzione del problema:
“Dobbiamo assolutamente fare qualcosa per impedire ai piccioni di entrare in chiesa!”

Parlò per primo un consigliere, forse discendente di Erode, che disse:

“Buttiamo del riso avvelenato e facciamoli fuori tutti!”
L’anima francescana di molti consiglieri si ribellò con veemenza:
“Questo mai!
Portiamoli in qualche cascina in campagna dove vivranno felici e in compagnia!”
Ma anche questa soluzione non sembrò praticabile.
Furono ugualmente bocciate la proposta di procurare un rapace opportunamente addestrato per catturare i piccioni, come pure quella di installare pesanti reti sulle porte e sulle finestre della chiesa.
Alla fine, quando cominciava a serpeggiare un silenzio imbarazzato, il più anziano del Consiglio domandò:

“Insomma, voi volete che i piccioni non entrino più in chiesa?”

“Sì!” gridarono in coro i consiglieri.
“Volete proprio non vederceli mai più?” chiese nuovamente.
“Sì!” urlarono i consiglieri, spazientiti.
“Allora è facile!” replicò il vecchietto, “Fate così:
battezzateli, fategli fare la Prima Comunione, cresimateli e in chiesa non li vedrete mai più…”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.