Le scarpette d’oro della Madonna

Le scarpette d’oro della Madonna

Una vedova, che aveva due figlie, riusciva a mantenere la famiglia filando giorno e notte.
La mattina della festa della Madonna del Rosario, la vedova andò a riportare il filato dalle varie comari sperando che le pagassero il lavoro.
Invece non riuscì a riscuotere neanche un soldo, perché tutti avevano una scusa per non pagare.

La donna, prima di ritornare a casa,

si fermò in Chiesa e si mise a pregare davanti alla statua della Madonna del Rosario.
“Santa Madre di Dio, voi che siete mamma, mi sapete dire che cosa darò oggi da mangiare alle mie povere figlie?
Non ho di che accendere il fuoco, né farina né pane:
aiutatemi voi, perché sono alla disperazione!”
La Madonna ebbe compassione della povera vedova:

allungò il piede e le gettò la sua scarpetta d’oro.

La donna, tremante di gioia, andò sulla piazza dove c’era un’orefice e gli mostrò la scarpetta per vendergliela.
Questi, però, riconobbe subito la scarpetta della Madonna:
chiamò le guardie e la donna fu messa in prigione.
Prima della condanna essa chiese di poter pregare un’ultima volta davanti alla statua della Madonna del Rosario.

Il favore le fu accordato.

“Santa Madre di Dio!” supplicò la vedova quando fu davanti alla statua, “È vero o no che la scarpetta me l’avete data voi e non sono stata io a rubarvela?”
Tutti stavano muti a guardare, ed ecco che la statua cominciò a muoversi, il viso piano piano prese colore, la Madonna sollevò il piede e gettò l’altra scarpetta verso la vedova.
Allora la gente gridò al miracolo.
Chi piangeva, chi rideva.
La vedova se ne tornò libera dalle sue figlie con le scarpette d’oro della Madonna.

Brano tratto dal libro “Mese di maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’amicizia (Eliseo e Gedeone)

L’amicizia (Eliseo e Gedeone)

Eliseo e Gedeone erano stati grandi amici fin da bambini.
Ognuno dei due considerava l’altro come un fratello ed in cuor suo ognuno sapeva che non c’era nulla che non fosse disposto a fare per l’amico.
Alla fine si presentò l’occasione di testimoniare la profondità della loro amicizia.
Ecco cosa accadde.
Un giorno Gedeone fu arrestato dalla polizia.
Senza alcuna prova lo accusarono di essere una spia al servizio del nemico.
Un giudice distratto lo condannò a morte.
“Hai un ultimo desiderio?” gli chiese il re, prima di firmare l’ordine di esecuzione.
“Si, lasciami andare a casa per il tempo necessario di dire addio a mia moglie e ai miei figli e per sistemare le faccende domestiche!”
“Vedo che mi ritieni stupido!” disse il re, ridendo, “Se ti lascio andare tu non tornerai più!”

“Ti lascerò un pegno, una garanzia sicura!” spiegò Gedeone.

“Che tipo di pegno potresti lasciarmi che mi renda certo del tuo ritorno?” chiese il re.
In quel momento Eliseo, che era stato per tutto il tempo in silenzio a fianco dell’amico, fece un passo avanti.
“Sarò io il suo pegno!” disse.
“Tienimi qui come tuo prigioniero, fino a quando Gedeone non ritorni.
La nostra amicizia ti è ben nota.
Puoi star certo che Gedeone ritornerà fino a che mi trattieni qui!”
Il re studiò in silenzio i due amici.
“Molto bene!” disse alla fine, “Ma se vuoi veramente prendere il posto del tuo amico, devi accettare la sentenza.
Se Gedeone non farà ritorno, tu morirai al suo posto!”
“Manterrà la sua parola!” replicò Eliseo, “Non ho alcun dubbio!”
Gedeone fu lasciato libero di andare e Eliseo fu gettato in prigione.
Dopo molti giorni, poiché Gedeone non si presentava, la curiosità del re ebbe il sopravvento e il tiranno si recò nelle prigioni per vedere se Eliseo fosse pentito di aver fatto un simile scambio.
“Il tuo tempo è quasi scaduto!” disse il re sogghignando, “Sarebbe inutile chiedere pietà.
Sei stato uno stupido a fidarti della promessa del tuo amico.

Hai creduto veramente che avrebbe sacrificato la sua vita per te?”

“Ha incontrato qualche impedimento!” rispose deciso Eliseo, “I venti gli avranno impedito di navigare, o forse avrà avuto dei contrattempi lungo la strada; ma, nei limiti delle umane possibilità, sarà qui in tempo.
Confido sulla sua parola tanto quanto sulla mia stessa esistenza!”
Il re fu colpito dalla fiducia del prigioniero.
“Lo vedremo presto!” disse, e lasciò Eliseo nella cella.
Il giorno fatale arrivò.
Eliseo fu prelevato dalla prigione e portato davanti al boia.
Il re lo salutò con un sorriso compiaciuto.
“Sembra che il tuo amico non sia tornato!” gli disse ridendo, “Cosa pensi di lui adesso?”
“È mio amico!” rispose Eliseo, “Ho fiducia in lui!”
Mentre stava parlando, le porte si spalancarono e Gedeone entrò vacillando.
Era pallido e ferito e stentava quasi a parlare per la stanchezza.

Abbracciò l’amico.

“Grazie a Dio, sei salvo!” ansimò, “Sembra quasi che tutto stesse cospirando contro di noi.
La mia nave è naufragata nella tempesta, poi sono stato attaccato dai briganti lungo la strada.
Ma non ho mai smesso di sperare, e alla fine ce l’ho fatta.
Sono pronto a subire la mia condanna a morte!”
Il re ascoltò le sue parole con stupore e i suoi occhi e il suo cuore si aprirono.
Era impossibile per lui resistere alla forza di simile fermezza.
“La condanna è revocata!” dichiarò, “Non avrei mai pensato esistesse un’amicizia così leale e fiduciosa.
Mi avete dimostrato quanto fossi in errore, ed è giusto che siate ricompensati con la libertà.
Ma in cambio vi chiedo un grande favore!”
“”Di che favore si tratta?” chiesero i due amici.
“Prendetemi come terzo amico!”

Brano senza Autore

Il filo del ragno e lo strozzino

Il filo del ragno e lo strozzino

Uno strozzino morì.
Per tutta la vita, egoista e spergiuro, aveva accumulato ricchezze sfruttando i poveri e carpendo la buona fede del prossimo.
La sua anima cadde nel profondo baratro dell’inferno, che le avvampò tutt’intorno.

Gridò allora:

“Giudice supremo delle anime, aiutami.
Concedimi una sosta, fa sì che ritorni sulla terra e ponga rimedio alla mia condanna!”
Il Giudice supremo lo udì e chinandosi dall’alto sul baratro dell’inferno chiese:
“Hai mai compiuto un’opera buona, in vita, cosicché ti possa aiutare adesso?”
L’anima dello strozzino pensò a tutto quel che aveva fatto in vita, e più pensava e meno riusciva a trovare una sola azione buona in tutta la sua lunga esistenza.

Ma alla fine si illuminò e disse:

“Sì, Giudice supremo, certo!
Una volta stavo per schiacciare un ragno, ma poi ne ebbi pietà, lo presi e lo buttai fuori dalla finestra!”
“Bravo!” rispose il Giudice supremo, “Pregherò quel ragno di tessere un lungo filo dalla terra all’inferno, e così ti ci potrai arrampicare!”
Detto fatto.
Non appena il filo di ragno la toccò, l’anima dello strozzino cominciò ad arrampicarsi, bracciata dopo bracciata, del tutto piena d’angoscia perché temeva che l’esile filo si spezzasse.
Giunse a metà strada, e il filo continuava a reggere, quando vide che altre anime s’erano accorte del fatto e cominciavano ad arrampicarsi anch’esse lungo lo stesso filo.

Allora gridò:

“Andate via, lasciate stare il mio filo.
Regge solo me.
Andatevene, questo filo è mio!”
E proprio in quel momento il filo si spezzò, e l’anima dello strozzino ricadde nell’inferno.
Infatti il filo della salvezza regge il peso di centomila anime buone, ma non regge un solo grammo d’egoismo.

Brano tratto dal libro “L’importante è la Rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Michele di Cristallo. Il bambino trasparente.

Michele di Cristallo.
Il bambino trasparente.

Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente.
Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua.
Era di carne ed ossa e pareva di vetro.
Se cadeva non andava a pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.
Si poteva vedere il suo cuore battere.
Soprattutto si vedevano i suoi pensieri.
Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere quella che sembrava essere una palla di fuoco dietro la sua fronte.

Disse poi la verità e la palla di fuoco si dissolse.

Per tutto il resto della sua vita il bambino trasparente non disse più bugie.
Crebbe, diventò un giovanotto, poi un uomo.
Ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e, prima che aprisse bocca, si potevano indovinare le sue risposte, quando gli si rivolgeva una domanda.
Egli si chiamava Michele, ma la gente lo chiamava Michele di cristallo.
Tutti gli volevano bene per la sua lealtà e per la sua onestà.
Vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, salì al governo un feroce dittatore.
Cominciò un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo.

Chi osava protestare spariva senza lasciare traccia.

Chi si ribellava veniva fucilato.
I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.
Ma Michele non poteva tacere.
Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui.
Dietro la fronte di quello che una volta era il bambino trasparente, tutti leggevano pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno.
Di nascosto poi, la gente ripeteva i pensieri di Michele come modo per avere speranza nel futuro.

Il tiranno fece arrestare Michele di cristallo.

Poi ordinò di gettarlo nella più buia prigione.
Allora successe una cosa straordinaria.
I muri della cella in cui Michele fu rinchiuso, diventarono trasparenti!
Dopo di essi anche i muri dell’intero edificio, e infine anche le mura esterne.
La gente che passava vicino alla prigione poteva vedere Michele seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo.
Tutti continuavano a leggere i suoi pensieri.
Di notte la prigione emanava una grande luce.
Il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire.
Michele di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa.

Brano senza Autore, tratto dal Web