I tre cugini e l’eredità

I tre cugini e l’eredità

Tre vignaioli avevano in comune, oltre che una lontana parentela, anche tre appezzamenti di terra pianeggiante pressoché uguali, per estensione e forma, frutto di un’eredità.
Facevano parte di un immenso terreno appartenente ad uno stesso avo, il quale aveva equamente diviso lo stesso ai rispettivi figli, tanti anni prima.

Zolle molto ambite nella fertile e vocata terra di produzione del mitico vino Prosecco.

Terra dalle molte ed ataviche tentazioni di possesso, con confini che si concordavano faticosamente di giorno e si spostavano di notte, come i nanetti da giardino, a seconda delle fasi lunari.
Due dei tre proprietari portavano avanti un contenzioso legale da molto tempo per la definizione dei rispettivi confini.

I geometri a cui si erano rivolti, usavano due diversi tipi di catasto (mappa e registro dei terreni).

Uno usava quello Napoleonico (1807-1816) e l’altro quello Austriaco (1807-1852), in auge in Veneto in quel periodo.
Un’alternanza dettata dalla convenienza, rimandando all’infinito il contenzioso, con la motivazione, non tanto segreta, che avevano figli da mantenere all’università con conseguenti laute parcelle da riscuotere.
Insistevano anche con il terzo, affinché partecipasse alla disputa per i confini, ma questo, essendo saggio, alla maniera di re Salomone, sentenziò:

“Se in origine le parti erano uguali,

per verificare i confini basta tirare un semplice spago di recupero e fare due nodi equidistanti per definire le tre parti, una stretta di mano per finirla per sempre e un brindisi conciliatore!”
Alcune volte, la vita, vuoi per ignoranza e/o per avarizia, è un cinema che costa caro!

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Una colazione da principe

Una colazione da principe

Diversi anni fa, quando non era all’ordine del giorno spostarsi e conseguentemente non era semplice incontrarsi, conobbi mia moglie.
Lei era di Padova mentre io abitavo in provincia di Treviso.
Ci incontrammo, casualmente, poiché entrambi frequentavamo l’associazione CVS (Centro Volontari Sofferenza) che, per statuto, promuove e promuoveva la spiritualità dei malati.
Decidemmo di fare il viaggio di nozze, nel lontano 1984, in una casa per esercizi spirituali nel comune di Re, nella Val Vigezzo, ai confini del Piemonte ed a ridosso della Svizzera, per servire come volontari i disabili.

Io pulivo le camere al mattino e mia moglie serviva a tavola duranti i pasti.

Proprio in quei giorni, venne a mancare Monsignor Luigi Novarese, carismatico fondatore dell’associazione e, i sacerdoti preposti, volarono a Roma per il funerale, raccomandandoci di essere gioiosi, poiché il cielo aveva accolto un nuovo angelo.
Anni dopo, infatti, fu beatificato.
Seguendo le istruzioni, passammo da un silenzio solenne e meditativo ad un approccio diverso, creando più interazioni tra i vari partecipanti.
Trovammo tutti beneficio, ricevendo più di quello che avevamo donato.

Qualche giorno dopo rientrammo a casa, stanchi ma felici.

Essendo arrivati a tarda ora con l’autobus, non riuscimmo ad andare a fare spesa.
La mattina dopo, non appena ci svegliammo, proposi a mia moglie di andare a fare colazione al bar, ma lei mi disse:
“Non preoccuparti, mio principe, ci penso io.
Ad una sola condizione:
ti dovrai alzare solamente quando ti chiamerò io!”
Rimasi, quindi, in camera.

Udivo, però, uno strano ed insistente sbattere.

Il suono proveniva dalla cucina ma non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.
Alla fine mia moglie mi chiamò per la colazione e con mia sorpresa trovai le fette biscottate imburrate.
Sopra ogni fetta biscottata aveva disegnato un cuore con lo zucchero di canna.
Rimasi sì sorpreso, ma anche perplesso, poiché la sera prima non avevamo burro in casa, e le chiesi come avesse fatto.
Mia moglie mi spiegò che il continuo sbattere che avevo udito, era stato provocato dal fiasco usato per fare il burro in casa.
Fece il burro con la panna ed il latte presenti in casa, con la tecnica dello sbattere, che sua nonna le aveva insegnato.
Mi sentii, in quella circostanza, veramente un principe fortunato e mai colazione fu così buona e gradita.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Tre racconti brevi

Tre racconti brevi
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Il maestro ed il discepolo

Il tesoro nel podere

Un combattimento tra due giovani cervi

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“Il maestro ed il discepolo”

Un giorno un discepolo si macchiò di una grave colpa.
Tutti si aspettavano che il maestro lo punisse in modo esemplare.
Ma passò un anno e il maestro non diede segno di reazione.

Allora un altro discepolo protestò:

“Non si può ignorare ciò che è accaduto: dopo tutto, Dio ci ha dato gli occhi!”
Il maestro replicò:
“È vero, ma anche le palpebre!”

Brano senza Autore.
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“Il tesoro nel podere”

Lo aveva scoperto per caso, ma nel podere che affittava e che coltivava da tempo c’era un tesoro.
Erano monete d’oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità.
Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli il podere.
Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato,

ma gli aveva chiesto una somma altissima.

Per mettere insieme i soldi necessari, l’uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo.
Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un’impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato.
Passò altro tempo.
L’uomo investiva, trafficava, dirigeva, viaggiava.
Si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.

Brano senza Autore. Apologo (Favola allegorica a fine spiccatamente pedagogico) Indiano.
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“Un combattimento tra due giovani cervi”

Due giovani cervi, bellissimi esemplari, si incontrarono nel bosco.
Entrambi gelosi del proprio territorio, decisero di affrontarsi.
Il combattimento durò a lungo:
nessuno dei due voleva cedere.
Alla fine, il più forte, con un ultimo movimento della testa, ebbe la meglio sull’avversario.
Ma i palchi dell’ucciso rimasero incastrati in quelli dell’uccisore, lucidi e possenti.

Impossibili da districare.

Il vincitore tentò in ogni modo di sbarazzarsi del corpo dell’altro cervo, ma non ci riuscì.
Fu costretto a trascinarselo dietro, fino a che, spossato, dovette fermarsi.
All’alba, a liberarlo da quel peso morto fu lo sparo di un cacciatore.

Brano senza Autore.

I due frati e la porta

I due frati e la porta

Sulle pagine di un vecchio libro della biblioteca del monastero, due monaci avevano letto che esiste un luogo, ai confini del mondo, dove cielo e terra si toccano.
Decisero di partire per cercarlo e promisero a se stessi di non tornare indietro finché non lo avessero trovato.
Attraversarono il mondo intero, scamparono a innumerevoli pericoli, sopportarono tutte le terribili privazioni e sacrifici che comporta un pellegrinaggio in tutti gli angoli dell’immensa terra.
Non mancarono neppure le mille seducenti tentazioni che possono distogliere un uomo dal raggiungere la sua meta.

Le superarono tutte.

Sapevano che nel luogo che cercavano avrebbero trovato una porta:
bastava bussare e si sarebbero trovati faccia a faccia con Dio.
Trovarono la porta.
Senza perdere tempo, con il cuore in gola, bussarono.
Lentamente la porta si spalancò.

Trepidanti i due monaci entrarono e…

si trovarono nella loro cella, nel loro monastero.

Un giorno che ricevette degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo:
“Dove abita Dio?”
Quelli risero di lui:
“Ma che ti prende?
Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”.

Il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda:

“Dio abita dove lo si lascia entrare!”
Ecco ciò che conta più di tutto:
lasciar entrare Dio.
Ma lo si può lasciar entrare solo la dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita autentica.
“Io sto alla porta e busso.” dice Dio nella Bibbia.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Costruire fortezze (L’amicizia)

Costruire fortezze
(L’amicizia)

C’era una volta un sovrano potente.
Sapeva che il numero dei giorni che gli restavano da vivere diminuiva inesorabilmente.
Che cosa sarebbe diventato il suo bell’impero, quando sarebbe stato costretto ad abbandonarlo con tutti i nemici che lo circondavano da ogni lato?
Che avrebbe potuto fare il giovane principe, quel figlio troppo giovane e inesperto che il sovrano aveva avuto, ahimè, in tarda età?
Dove poteva rifugiarsi?

Chi lo avrebbe protetto?

Questo pensieri tormentavano il vecchio re, tanto che un giorno disse al principe:
“Figlio mio, io non regnerò più per molto tempo e ignoro ciò che accadrà dopo la mia morte.
Ci sono molti nemici intorno al trono.
Ho tanta paura per l’impero che ho costruito e anche per te.
Morirei tranquillo se sapessi che hai un rifugio sicuro che ti protegga in caso di pericolo.
Per questo ti consiglio di andare per il regno e di costruire fortezze in tutti gli angoli possibili, per tutti i confini del paese!”

Obbediente, il giovane si mise immediatamente in cammino.

Percorse tutto il paese, per monti e valli, e dove trovava il posto conveniente, faceva costruire grandi fortezze solide e imponenti.
Le fortezze sorsero nelle profondità delle foreste, nelle valli più nascoste, sulla sommità delle colline, nei deserti, in riva ai fiumi e sui fianchi delle montagne.
Questo costò molto denaro, ma il principe non badava a spese:
erano in gioco la sua vita e il suo trono.
Dopo un certo tempo, il giovane ritornò nel palazzo del re suo padre.
Stanco, dimagrito, ma soddisfatto d’aver portato a termine il compito, corse a presentarsi dal padre.

“Ebbene, figlio mio, com’è andata?

Hai fatto ciò che io ti avevo detto?” gli domandò il re.
“Sì, padre.” rispose il principe, “In tutto il paese si innalzano fortezze imprendibili:
nei deserti, sulle montagne, nel profondo delle foreste!”
Ma il vecchio re, il più potente che la storia abbia mai conosciuto, invece di congratularsi con il figlio per tutti i suoi sforzi, scuoteva la testa come in preda ad un forte dispiacere.
“Non è questo, figlio mio, che avevo in mente io, devi tornare indietro e ricominciare!” esclamò il re che poi aggiunse:
“Le fortezze che tu hai costruito non ti proteggeranno assolutamente in caso di pericolo:
tu sarai solo e non per quei muri e quelle pietre potrai sfuggire alle imboscate e alle trappole dei tuoi nemici.

Tu devi costruirti dei rifugi nel cuore delle persone oneste e buone.

Devi cercare queste persone e guadagnarti la loro amicizia; soltanto allora saprai dove rifugiarti nei momenti difficili.
Là dove un uomo ha un amico sincero, là trova un tetto sotto cui ripararsi.”
Il principe si rimise in cammino.
Non più per i deserti, i dirupi, le foreste selvagge, ma per andare verso la gente, tra loro, per costruire dei rifugi come immaginava suo padre, il vecchio re pieno di saggezza.
E questo richiese molti più sforzi e fatiche, ma il principe non li rimpianse mai, perché, quando dopo un certo tempo il vecchio sovrano si spense e lasciò questo mondo, il principe non aveva più nessun nemico da temere.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.