Un giovane e un anziano

Un giovane e un anziano

Un giorno, un giovane volle consultare un anziano su un problema che gli stava a cuore…
“Mio signore,” gli disse, “voglio confessarti una cosa:
non riesco ad avere un amico.
Mi sapresti dare un consiglio?”

L’anziano sorrise e rispose:

“Posso solo dirti di me.
Quand’ero ragazzo fra cento ragazzi, ne ebbi uno, di amico.
Fu una cosa bellissima che diede i suoi frutti e poi terminò.
Quando divenni adulto fra mille adulti, ne ebbi un altro, di amico.
Fu una cosa bellissima, ma l’amico morì ed anch’io mi sentii morire.
Ora che sono diventato anziano fra diecimila anziani, adulti e giovani, ho rinunciato ad avere un amico e ho preferito esserlo io, un amico, ogni giorno e ogni ora, di qualcuno che non so chi sia e non so dove sia.”
“Non dev’essere facile…” mormorò il giovane.
“Forse non lo è, perché cercare di essere amico significa, prima di tutto, rinunciare ad averne uno.
Ma forse lo è, perché proprio rinunciando ad averne uno se ne possono avere tanti!” spiego il maestro.
“Non si saprà mai chi saranno?” domandò il giovane.

“Mai.

Tenere il cuore spalancato perché tutti vi possano entrare, dare sempre fiducia perché tutti ne possano attingere, rispettare ognuno perché ognuno si senta se stesso ti rende, insieme, amato ed odiato, incomprensibile ed imprendibile.
Chi cerca di essere amico, è un po’ come il mare, fatto di tenera acqua, ma acqua salata.
Chi ha come amico il mare, me lo sai dire?” domandò il maestro.
“Il cielo!” rispose il giovane.

“Infatti.

Chi cerca di essere amico può solo sperare che il cielo gli sorrida; e che i gabbiani non smettano di posarglisi sopra!” concluse il maestro.
A questo punto il giovane tacque a lungo, avvolto in profondi pensieri.
Poi guardò l’anziano con uno strano sorriso e gli chiese:
“Mi permetti di essere un tuo gabbiano?”
L’anziano gli rispose:
“Benvenuto!”

Brano senza Autore

Il rabbino ed il guardiano

Il rabbino ed il guardiano

Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di Dio che, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.

Mentre camminava lentamente per una strada isolata,

incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere.
“Per chi cammini, tu?” chiese il rabbino, incuriosito.
Il guardiano disse il nome del suo padrone.

Poi, subito dopo, chiese al rabbino:

“E tu, per chi cammini?”
Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.

E tu, per chi cammini?
Per chi sono tutti i passi e gli affanni di questa giornata?
Per chi vivi?

Puoi vivere solo per qualcuno.

Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome.
Mai avrai avuto una giornata così leggera.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Le cavallette nella zuppa

Le cavallette nella zuppa

Un gruppo di monaci vivevano in caverne nel deserto.
Un giorno un giovane monaco andò a consultare un anziano:

“Padre,” gli disse,

“tu sai che è da poco più di un anno che vivo nel deserto, e in questo tempo già sei o sette volte sono venute le cavallette.
Tu sai quale tormento siano, poiché si infilano dappertutto, persino dentro il nostro cibo.

Come ti comporti tu?”

L’anziano, che viveva nel deserto da quarant’anni, così rispose:
“Le prime volte, quando mi cadeva una sola cavalletta nella zuppa, buttavo via tutto.

Poi, toglievo le cavallette e mangiavo la zuppa.

In seguito mangiai tutto, cavallette e zuppa.
Adesso, se qualche cavalletta cerca di uscire dalla zuppa, ce la rimetto dentro!”

Brano senza Autore

La saggezza della quercia

La saggezza della quercia

Una leggenda sarda testimonia come il simbolo “paterno” e protettivo della quercia, sia radicato nell’immaginario collettivo.
Un giorno il diavolo si recò dal Signore dicendogli:
“Tu sei il signore e padrone di tutto il creato, mentre io, misero, non possiedo nulla.

Concedimi una signoria, pur minima, su una parte della creazione:

mi accontento di poco!”
“Che cosa vorresti avere?” chiese Dio.
“Dammi, per esempio, il potere su tutto il bosco!” propose il diavolo.
“E sia!” decretò il Signore, “Ma soltanto quando i boschi saranno completamente senza fogliame, ovvero durante l’inverno:

in primavera il potere tornerà a me!”

Quando gli alberi e le foglie decidue dei boschi seppero del patto, cominciarono a preoccuparsi, e con il passare del tempo la preoccupazione si mutò in agitazione.
“Che cosa possiamo fare?” si domandavano disperati, “A noi le foglie cadono in autunno.”
Il problema pareva insolubile quando al faggio venne un’idea:
“Andiamo a consultare la quercia, più robusta e saggia e di noi tutti la più anziana.
Forse lei troverà un espediente per salvarci!”

La quercia, dopo aver riflettuto gravemente, rispose:

“Tenterò di mantenere le mie foglie secche sui rami finché sui vostri non spunteranno la foglioline nuove.
Così il bosco non sarà mai completamente spoglio e il demonio non potrà avere alcun dominio su di noi!”
Da allora le foglie secche della quercia, coriacee e seghettate, rimangono sui rami per cadere completamente soltanto quando almeno un cespuglio si è rivestito di foglie nuove.

Brano tratto dal libro “Florario.” di Alfredo Cattabiani

Il vecchio mai stato giovane

Il vecchio mai stato giovane

C’era una volta un vecchio che non era mai stato giovane.
In tutta la sua vita, in realtà, non aveva mai imparato a vivere.
E non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire.
Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere.
Tutto ciò che succedeva nel mondo non lo addolorava e neppure lo stupiva.
Passava le sue giornate oziando sulla soglia della sua capanna, senza degnare di uno sguardo il cielo, l’immenso cristallo azzurro che, anche per lui, il Signore ogni giorno puliva con la soffice bambagia delle nuvole.

Qualche viandante lo interrogava.

Era così carico d’anni che la gente lo credeva molto saggio e cercava di far tesoro della sua secolare esperienza.
“Che cosa dobbiamo fare per raggiungere la felicità?” chiedevano i giovani.
“La felicità è un’invenzione degli stupidi!” rispondeva il vecchio.
Passavano uomini dall’animo nobile, desiderosi di rendersi utili al prossimo.
“In che modo possiamo sacrificarci per aiutare i nostri fratelli?” chiedevano.
“Chi si sacrifica per l’umanità è un pazzo!” rispondeva il vecchio, con un ghigno sinistro.
“Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?” gli domandavano dei genitori.
“I figli sono serpenti!” rispondeva il vecchio, “Da essi ci si possono aspettare solo morsi velenosi!”
Anche gli artisti e i poeti si recavano a consultare il vecchio che tutti credevano saggio.
“Insegnaci ad esprimere i sentimenti che abbiamo nell’anima!” gli dicevano.

“Fareste meglio a tacere!” brontolava il vecchio.

Poco alla volta, le sue idee maligne e tristi influenzarono il mondo.
Dal suo angolo squallido, dove non crescevano fiori e non cantavano neanche gli uccelli, Pessimismo (perché questo era il nome del vecchio malvagio) faceva giungere un vento gelido sulla bontà, l’amore, la generosità che, investiti da quel soffio mortifero, appassivano e seccavano.
Tutto questo dispiacque molto al Signore, che decise di rimediare.
Chiamò un bambino e gli disse:
“Va’ a dare un bacio a quel povero vecchio!”
Il bambino obbedì.
Circondò con le sue braccia tenere e paffute il collo del vecchio e gli stampò un bacio umido e rumoroso sulla faccia rugosa.

Per la prima volta il vecchio si stupì.

I suoi occhi torbidi divennero di colpo limpidi.
Perché nessuno lo aveva mai baciato.
Così aperse gli occhi alla vita e poi morì, sorridendo.

A volte, davvero, basta un bacio.
Un “Ti voglio bene”, anche solo sussurrato.
Un timido “Grazie.”
Un apprezzamento sincero.
È così facile far felice un altro.
Allora, perché non lo facciamo?

Brano di Bruno Ferrero