Il signor felicità

Il signor felicità

Won Li era un contadino cinese semplice e generoso.
Un giorno scendeva dalla montagna con un gran fascio di giunchi sulle spalle, quelli che usa la povera gente per ricoprire la propria capanna.
Stanco e sudato si fermò per riposare un po’.
Ad un tratto una bella farfalla, dalle ali ricamate, venne a posarsi sulle foglie della sua fascina.
Won Li cercò di allontanarla.
“Vai, creatura bella, goditi la libertà che Dio ti ha dato!”
Ma per quanto cercasse di allontanarla, la farfalla continuava a tornare sui giunchi del contadino.
Allora la prese delicatamente tra le dita e la legò a un filo d’erba.

“La porterò ai miei bambini!” pensava, “Ne saranno felici,”

La farfalla, che era stanca di volare, se ne stava tutta tranquilla, senza far proprio nulla per riprendere il volo.
Giunto ai piedi della montagna, Won Li incontrò una signora che teneva per mano un bambino.
“Mamma, mamma!” gridò il piccolo, “Guarda che bella farfalla!
Prendila, prendila!”
“Non vedi che quest’uomo l’ha presa per portarla ai suoi bambini?” disse la donna.
Il bambino però era del tipo capriccioso.
E quando si incaponiva a volere una cosa, non rinunciava facilmente:
“La voglio, mamma, voglio la farfalla!”
Won Li aveva il cuore buono e sorrise al bambino.
“Vieni, bambino, prendi pure la farfalla, ma non farle del male.” e gli porse il filo d’erba che teneva prigioniera la farfalla.
“Lei è veramente buono.” disse la donna.
“Mi dispiace di non avere con me il borsellino; ma almeno prenda queste tre arance che ho colte nel mio giardino, serviranno per dissetarsi!”
Erano tre arance veramente belle e succose.

Won Li se le mise in tasca:

“Le porterò ai miei bambini. Non ne hanno mai viste di così grosse!
Ma che farò di tutta questa ricchezza?”
Dopo un pezzo di strada, Won Li si imbatté in un uomo seduto sotto una pianta, con accanto un gran fagotto di pezze di seta:
“E da stamattina che cammino in queste lande deserte.
Ho una sete da morire.
Buon uomo, non avresti qualcosa per dissetarmi?”
L’uomo sotto l’albero era proprio esausto.
“Prendi queste tre arance!” disse Won Li e gliele porse, “Ti toglieranno l’arsura.”
“Grazie, buon uomo.
Ma io voglio ricambiare la tua generosità.
Prendi questo taglio di seta, potrai fare un bel vestito a tua moglie.” disse l’uomo.
Won Li, felice, riprese il cammino verso casa.
Arrivato sulla strada principale si imbatté in una portantina sostenuta da quattro uomini e seguita da sei eleganti cavalieri.

Era la principessa.

“Vieni qui!” disse la principessa appena lo vide.
Come tutte le principesse aveva la voce dolcissima, simile a tanti campanellini d’oro tintinnanti. “Fammi vedere quel pezzo di stoffa che tieni sotto il braccio!”
Won Li si accostò tremante e svolse il rotolo di seta.
Era bellissimo, disegnato a fiori e uccelli multicolori.
“Se vi piace, sarò lieto di regalarvela, gentile principessa!” mormorò Won Li.
“Sei molto buono e generoso.
Voglio anch’io farti un dono!”
E la principessa porse al contadino la sua borsetta.
Won Li corse a casa stringendo il dono della principessa.
Arrivato nella sua povera capanna chiamò la moglie e i figli e, con mani tremanti, aprì la borsetta.
Com’è facile immaginare, come tutte le borsette delle principesse era piena di monete d’oro.
“Ma che farò di tutta questa ricchezza?” si chiese un po’ smarrito Won Li.

Gli venne un’ispirazione:

“Ah, si. Cercherò di far felici i più poveri del paese!”
Comprò una vasta estensione di terra, la suddivise in tanti appezzamenti e la donò ai poveri che non possedevano nulla.
Così tutto il villaggio diventò più ricco e tutti vissero contenti e felici.
Ma il più felice di tutti era Won Li che tutti ormai chiamavano:
“Il signor Felicità!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il bambino che spostò un armadio con un dito

Il bambino che spostò un armadio con un dito

Seduto e in silenzio, Gesù guardava con tenerezza un bambino che cercava di spostare un grosso armadio, molto pesante, di casa sua.
Spingeva da un lato, poi spingeva da un altro, sbuffando e stringendo i denti, ma niente… il grosso armadio non si spostava neanche di un millimetro.
Il bambino voleva spostare l’armadio per fare contenti i suoi genitori.
Loro avevano molto bisogno di spostare l’armadio, ma non trovavano mai il tempo e la voglia di farlo.
Certo, poveretti, tornavano a casa sempre stanchi del lavoro!

Questo il bambino lo capiva.

Quello che non capiva era perché litigavano sempre per colpa di quell’armadio.
La mamma rimproverava il papà di non fare assolutamente nulla per spostarlo.
Il papà accusava la mamma di non volere togliere tutta la roba che era dentro l’armadio per renderlo più leggero e permettergli di spostarlo.
In casa c’era sempre tensione e sembrava che andasse sempre peggio.
Così il bambino si sforzava di spostare l’armadio, e ci provava in tutti i modi.
Niente!
L’armadio era sempre al suo posto.
Il bambino era tutto sudato e anche molto stanco.
Ci aveva messo tutta la sua forza.
“Hai usato proprio tutte le tue forze?” gli chiese Gesù con un tono di voce molto delicato.
“Si!” rispose il bambino, cercando di riprendere fiato.
“Non mi sembra,” ribatté Gesù, “anzi, direi proprio di no…

Pensaci bene.

Hai fatto proprio tutto quello che potevi fare per spostarlo?”
“Si!” rispose deluso e convinto il bambino.
“Guarda che non hai ancora usato la tua forza più grande!” disse Gesù con un bellissimo sorriso.
“Quale forza?” domandò il bambino con gli occhi spalancati per la meraviglia.
“Non mi hai chiesto di aiutarti.” disse dolcemente Gesù, “Io sono la tua forza più grande!”
Il bambino cominciò a pregare, e pregare, e pregare.
L’armadio non si spostò.
Ma il papà una sera, rientrando a casa, sembrava più sereno.
E, senza dire una parola, si mise a svuotare i cassetti dell’armadio.
La mamma lo vide e, dopo un po’, andò da lui dicendo:

“Aspetta che ti aiuto!”

Insieme vuotarono l’armadio cominciando a ridere di tutti gli episodi che quelle cose gli ricordavano.
Poi insieme spinsero l’armadio fuori della loro stanza da letto.
Insieme prepararono la cena, e insieme andarono a riposarsi sul divano, abbracciati l’uno all’altro.
Il bambino si tuffò felice in mezzo a loro.
Da quel giorno imparò non a spingere gli armadi, ma a spingere i suoi genitori ad andare insieme a Messa la domenica, perché anche loro potessero ricevere la forza di Gesù.
Passò ancora un po’ di tempo.
I genitori ed il bambino cominciarono a sentire il bisogno e il gusto di pregare insieme.
Ci si sentiva un po’ strani all’inizio su quel divano con la televisione spenta, ma poi era diventato il momento più bello della giornata.
Ci si sentiva uno dentro l’altro.
Ci si sentiva stanchi ma contenti, in una semplice e dolce pace.
Una colomba aveva preso l’abitudine di posarsi sul davanzale della loro finestra proprio mentre pregavano, chissà perché…
E fu così che, dopo qualche anno, in quella casa, gli armadi si spostavano con un solo dito.

Brano senza Autore

Il valzer dei soldi (Donare)

Il valzer dei soldi (Donare)

Un papà ed una mamma, ogni fine settimana, accompagnavano i propri figlioletti dalle rispettive nonne, entrambe rimaste vedove.
Queste accoglievano il nipotino e la nipotina con entusiasmo e gratitudine.
Solo quella paterna però dava delle mance in denaro ai nipotini,

che avevano segnalato questa differenza ai genitori.

Il papà pensò a uno stratagemma per rimediare e diede 50 euro alla suocera perché li desse ai nipotini.
I bambini quando ricevettero gli inaspettati soldi dalla nonna materna, stupiti, andarono subito a mostrare ai genitori il loro tesoretto.
Ritornando verso casa, il padre disse ai figli:
“Bambini, ho finito la benzina della macchina e non ho più i soldi per fare rifornimento.”

I bambini all’unisono replicarono:

“Non preoccuparti papà, i soldi te li diamo noi perché siamo ricchi dopo il regalo della nonna.”
Da questa operazione tutti rimasero contenti e impararono ancor di più il valore del donare.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il rabbino e l’ “amico” critico

Il rabbino e l’ “amico” critico

C’era un tempo un rabbino che la gente venerava come l’inviato di Dio.
Non passava giorno senza che una folla di persone si assiepasse davanti alla sua porta in cerca di un consiglio o della sua guarigione e della benedizione del sant’uomo.
E ogni volta che il rabbino parlava, la gente pendeva dalle sue labbra,

facendo propria ogni parola che diceva.

Fra i presenti c’era però un personaggio piuttosto antipatico, che non perdeva mai l’occasione per contraddire il maestro.
Osservava le debolezze del rabbino e ne sbeffeggiava i difetti, con sgomento dei suoi discepoli, che cominciarono a vedere in lui l’incarnazione del diavolo.
Un giorno però il “diavolo” si ammalò e morì.

Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Di fuori apparivano compresi come si conveniva, ma nel loro cuore erano contenti perché quell’eretico irriverente non avrebbe mai più interrotto i discorsi ispirati del maestro e criticato il suo comportamento.
La gente fu quindi sorpresa di vedere al funerale il maestro genuinamente affranto dal dolore.
Quando più tardi un discepolo gli chiese se era addolorato per la sorte del morto, egli rispose:
“No, no.
Perché dovrei compiangere il nostro amico che è ora in cielo?

E per me che sono triste.

Quell’uomo era l’unico amico che avevo.
Eccomi qui circondato da gente che mi venera.
Lui era il solo che mi metteva alla prova; temo che senza di lui smetterò di crescere!”
E mentre diceva queste parole, il maestro scoppiò in lacrime.

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

Non sono il principe azzurro, ma…



Non sono il principe azzurro, ma…

Non sono il principe azzurro, ma azzurro è il colore della vita che vorrei vivere e far vivere a te.
Non sono nemmeno un principe, ma vorrei che tu fossi la mia principessa.
Non arrivo su un cavallo bianco, ma a cavallo della realtà.
Non sono nemmeno capace di andare a cavallo, ma vorrei galoppare insieme a te, tra le bellezze della vita.

Non ho una reggia, ma mi piacerebbe farti vivere da regina.

Non so nemmeno come sia fatta una reggia, ma ci sto lavorando.
Non sono un rospo, ma se mi baci potrebbe piacerti e, anzi, ti garantisco che dopo non mi trasformerò.
Non ho una scarpetta da farti provare, ma il mio carattere non spigoloso potrebbe calzarti a pennello.
Non ti troverai a mezzanotte con una zucca vuota, ma avrai sempre, vicino a te, una testa pensante.

Non ti offro una mela avvelenata, ma momenti felici da assaporare insieme.

Non sto nemmeno a chiederti di dare un morso alla mela verde, di verdi ci sono solo i miei occhi.
Non ti terrei sotto una teca di cristallo a dormire, ma sarei fiero di averti vicina a me, sveglia.
Non ti cerco la più bella del reame, mi basta crederlo.
Non ti chiedo di guardarti nello specchio come la regina cattiva, ma di guardare insieme a me, nella stessa direzione.

Non mi interessa se hai delle sorellastre perfide, un giorno ti invidieranno.

Non mi interessa nemmeno della tua matrigna cattiva, mi basta sapere che non hai preso da lei.
Non sono nemmeno geloso dei sette nani, il più è che non ti fai influenzare da Brontolo.
Non ho i poteri magici della vecchia strega, ma potrai sempre chiedermi di sparire, se non sono come ti ho detto.
Io non so se cerco una bella addormentata nel bosco o una cenerentola, ma la vita è una fiaba che può essere bella o brutta.
Può dipendere dai brutti incontri che si fanno nel bosco, dalle mele avvelenate che a volte tocca mangiare o proprio da chi ha scritto la fiaba e io vorrei viverla insieme a te, possibilmente felici e contenti.

Brano di Enrico Sunda

Quei cari vecchietti…



Quei cari vecchietti…

All’età di novantadue anni nonna Fritz viveva ancora nella sua vecchia casa di campagna a due piani, preparava le fettucine fatte in casa e faceva il bucato con il vecchio strizzatoio nello scantinato.

Sempre da sola coltivava anche il suo orto,

grande abbastanza da sfamare tutta la contea di Bentos, usando soltanto una zappa e una vanga.
I suoi figli settantenni la sgridavano affettuosamente quando insisteva per tagliare l’erba del grande prato davanti casa con la sua vecchia e antiquata falciatrice.

“Ma faccio questi lavori solo al mattino presto o la sera,

quando é più fresco,” spiegava la nonna “e mi metto sempre il cappello.”
I suoi figli provarono un certo sollievo quando vennero a sapere che la nonna aveva cominciato a partecipare ai pranzi del centro anziani della zona.

“Si,” ammise la nonna mentre sua figlia annuiva soddisfatta “cucino per loro.

Sai, quei cari vecchietti sono così contenti!”

Brano tratto dal libro “Una tisana calda per l’anima delle donne.” di LeAnn Thieman

La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno


La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno

Lassù nel cielo c’è un luogo chiamato Ponte dell’Arcobaleno.
Quando muore un amico peloso che è stato amato da qualcuno, questi sale su, fino al Ponte dell’Arcobaleno, dove ci sono prati e colline a disposizione dei nostri amici, i quali possono correre e giocare assieme.
C’è tanto cibo, tanta acqua, c’è tanta luce solare ed i nostri amici sono al calduccio e a proprio agio.
Tutti gli animali che si sono ammalati ritrovano la salute ed il vigore, quelli che sono stati feriti tornano intatti e forti, proprio come ce li ricordiamo quando li sogniamo ricordando i bei giorni passati assieme.

Gli animali sono felici e contenti, salvo per una cosa:

manca loro qualcuno che è stato veramente speciale per loro, dal quale hanno dovuto separarsi.
Tutti loro corrono e giocano insieme, ma per ognuno di loro arriva un giorno in cui si fermano e guardano lontano all’orizzonte.
I loro occhi lucenti sono all’erta, i loro corpi palpitanti.
Allora si staccheranno dal gruppo, volando sull’erba verde, con le zampe che li condurranno sempre più velocemente.

Vi hanno avvistato, vi hanno riconosciuto.

Voi ed il vostro amico del cuore vi ritroverete, per non separarvi mai più.
Una pioggia di baci vi ricoprirà il viso, la vostra mano potrà accarezzare di nuovo l’adorata testolina, e potrete guardare di nuovo negli occhi il vostro amico del cuore, che è stato fisicamente lontano da voi ma non è mai stato lontano dal vostro cuore.
E allora attraverserete insieme il Ponte dell’Arcobaleno…

Leggenda Indiana. Brano senza Autore, tratto dal Web

Il pozzo e la pozzanghera


Il pozzo e la pozzanghera

Un giorno una pozzanghera disse al pozzo vicino a sé:
“Che vita insignificante la mia!
Nessuno si accorge di me se non che qualche uccellino ogni tanto, per bere un po’ d’acqua.
Tu invece sei ben conosciuto e vengono a te da lontano, ti hanno dato persino un nome.”

Il pozzo le rispose:

“Cara amica mia, è vero che vengono da lontano e che mi hanno dato un nome, ma non vengono per me, vengono tutti a prendere l’acqua che la terra mi dona e se ne vanno felici per l’acqua che possono prendere.
Ma a me va bene così, perché in ogni caso li vedo andar via contenti.
Ma anche tu non devi lamentarti, perché è vero che non hai un nome ma quando la tua acqua è calma, riflette lo stupendo azzurro del cielo sulla terra, mentre la mia acqua non ha che buio attorno a sé.
Pensaci amica mia, ciò che conta sia per me che per te è permettere all’acqua che ci viene donata di dissetare chi ne ha bisogno.

Tu cara amica, disseti chi non sa più guardare il cielo.”
Brano di Stefano Lovecchio
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.