La famiglia di rospi

La famiglia di rospi

In un angolo del grande parco, in una macchia di alberi e cespugli carichi di fiori e bacche colorate, c’era un piccolo stagno, coperto di ninfee bianche e rosate.
Nello stagno viveva una famiglia di rospi.
Papà, mamma e un vispo piccoletto.

Era una famiglia felice.

“Sei il bambino più bello del mondo.” sussurrava mamma rospo al suo piccolo, che gorgogliava soddisfatto, e poi lo copriva di baci.
“Tu sei la più buona mamma del mondo.” le rispondeva il piccolo e poi correva a tuffarsi nella fresca acqua dello stagno.
Papà rospo guardava con orgoglio la sua famiglia, i bordi fioriti dello stagno, l’acqua scura e fresca e diceva:
“Viviamo nel luogo più incantevole dell’universo.”
Un giorno, la vita tranquilla della famigliola fu messa a soqquadro da una serie di strilli.
Provenivano da un gruppo di ragazzine che passeggiavano sul sentiero che fiancheggiava lo stagno:

“Iiih! Che puzza!”

“Sembra un letamaio… Andiamo via di qui.”
“Che acqua putrida!”
“Ehi! Guarda quegli orribili rospi!”“Che schifo!”
“E quello piccolo, tutto bitorzoluto, che creature orrende!”

Papà e mamma rospo si rincantucciarono nel fango, pieni di vergogna.

Il piccolo si nascose sotto una foglia di ninfea, avvilito e mortificato.
Nello stagno la felicità era finita per sempre.

Brano senza Autore

Il professore ed il ringraziamento a Dio

Il professore ed il ringraziamento a Dio

Il professor Matthew Henry stava rincasando dall’Università, quando a pochi metri da casa sua si trovò davanti una canna di pistola puntata contro gli occhi.
Dietro la pistola c’era un rapinatore con il volto coperto che gli intimò di consegnargli borsa e portafoglio.

Lo fece e il rapinatore si dileguò rapidamente nell’oscurità.

Ancora spaventato dalla spiacevole esperienza, quella sera si sedette alla scrivania e scrisse questa preghiera:
“Signore, oggi sono stato derubato.

So che devo ringraziarti per molte cose.

Per prima cosa ti ringrazio di non essere mai stato rapinato prima, e in un mondo come questo è quasi un miracolo.
In secondo luogo voglio dirti grazie perché mi hanno portato via solo il portafoglio che, come sempre, conteneva solo pochi soldi, e una vecchia borsa piena di carta.

Ti voglio ringraziare anche, Signore,

perché non c’erano con me mia moglie e mia figlia, che si sarebbero spaventate molto e anche per il fatto che ora non devono piangere per me.
Infine, Signore, voglio ringraziarti in modo particolare, perché io sono stato il derubato e non il ladro.”

Il modo più semplice ed efficace per lottare contro la sofferenza consiste nel non essere noi causa di sofferenza.

Brano tratto dal libro “Dieci motivi per essere cristiani (e cattolici).” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il pastore ed il viandante

Il pastore ed il viandante

C’era una volta un uomo che aveva sempre il cielo dell’anima coperto di nubi nere.
Era incapace di credere alla bontà.
Soprattutto non credeva alla bontà e all’amore di Dio.
Un giorno mentre passeggiava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi dubbi, incontrò un pastore.

Il pastore era un brav’uomo dagli occhi limpidi.

Si accorse che lo sconosciuto aveva un’aria particolarmente triste e gli chiese:
“Che cosa ti rende così triste, amico?”
“Mi sento immensamente solo.” rispose l’uomo.
“Anch’io sono solo, eppure non sono triste!” replicò il pastore.
“Forse perché Dio ti fa compagnia…” disse il viandante.

“Hai indovinato!” esclamò il pastore.

“Io invece non ho la compagnia di Dio.” spiegò l’uomo, “Non riesco a credere che mi ama.
Com’è possibile che ami gli uomini uno per uno?
Com’è possibile che ami uno come me?”
“Vedi laggiù il nostro villaggio?” domandò il pastore, “Vedi ogni casa?
Vedi le finestre di ogni casa?”

“Vedo tutto questo!” rispose l’uomo.

“Allora non devi disperare.
Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell’arco della giornata.
Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra.” concluse il saggio pastore.

Brano senza Autore

Un sorriso per Dio

Un sorriso per Dio

Una volta un uomo, un tipo sempre allegro e sorridente, fece un sogno:
gli sembrò d’esser morto e di trovarsi davanti al tribunale di Dio.

Era quasi disperato perché

aveva grosse marachelle sulla coscienza.
Sentiva che il Giudice quando sceglieva uno tra i beati gli diceva:
“Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo freddo e mi hai coperto…

Vieni a godere nel mio regno!”

L’uomo tremava tutto, perché non si ricordava d’aver fatto nessuna opera buona.
Ma quando venne il suo turno vide che il Signore lo guardava sorridendo.
“Che cosa mai avrò fatto di bene?” si domandava tra sé.

Il Giudice esclamò:

“Ero triste e tu con il tuo umorismo mi hai consolato; ero malinconico e tu con il tuo sorriso mi hai rasserenato:
entra nella gioia del mio paradiso!”

Brano tratto dal libro “Racconti per il volo dell’anima.” di Pino Pellegrino

La leggenda del tronchetto di Natale

La leggenda del tronchetto di Natale

Ogni sera, quando il padre di Nellina rientrava dal bosco, scuoteva la neve dagli stivali e brontolava:
“Oh, là là!
Che caldo fa, qui!
Sembra un forno!
Guarda, Nellina, i vetri delle finestre sono tutti appannati!
E poi, sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate!
Toh, guarda tua madre, coperta di farina dalla testa ai piedi!
Che idea che ho avuto di sposare una fornaia!”
Naturalmente la mamma di Nellina non era contenta.
I suoi occhi brillavano di collera.

Gridava:

“Che cosa?
Dolci bruciacchiati?
lo?
I miei panettoni farciti sono i migliori dei mondo!
E poi io faccio delle cose con le mie mani.
Tu, grand’uomo, non fai che demolire dei poveri alberi che non t’hanno fatto niente.
Guardalo, Nellina, tutto coperto di segatura dalla testa ai piedi!”
Nellina ne aveva abbastanza di questi litigi.
Si arrotolava le trecce bionde forte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente.
Ma il papà continuava a gridare:
“Questa sedia è tutta appiccicosa.
È ancora la tua crema!”

E la mamma urlava:

“Crema? ma quale crema:
è la resina dei tuoi maledetti alberi.
La spiaccichi dappertutto!”
Quella sera, Nellina piangeva nel suo lettino.
Amava tanto il papà e la mamma.
Ma ora stavano esagerando.
Due giorni dopo era Natale e loro non facevano nessuno sforzo per andare d’accordo e passare una bella festa insieme.
Il papà si era rifiutato di ridipingere l’insegna della pasticceria.
La mamma non aveva voluto rammendare il gilet dei marito.
I grossi lacrimoni di Nellina bagnavano la sua bambola preferita.
Il giorno dopo Nellina raccontò tutto al cugino Gianni.
“Non serve a niente piangere!” le disse Gianni., “Devi fare qualcosa.
I tuoi genitori ti vogliono bene.
Prepara tu la festa.
Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festa fantastica!”

Nellina tornò a casa di corsa.

Aprì le finestre, spazzò fuori farina e segatura.
Pulì e lucidò.
Decorò la casa con rametti di agrifoglio e carta crespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma si annodava nei capelli.
Poi si disse:
“E adesso preparo una bella sorpresa!
Almeno a Natale non litigheranno!”
E mentre mamma e papà erano al lavoro, Nellina preparò la sua sorpresa, ridendo da sola.
Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa:
“Oh, là, là!
Che bella casa!
E il mio gilet riparato per Natale.”
La madre a sua volta:
“La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato.
Che meraviglia!”
Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il pranzo.

Al momento del dolce, Nellina portò la sua sorpresa.

Mamma e papà aggrottarono le sopracciglia.
La mamma domandò:
“Che cos’è?
Sembra un tronco d’albero, con la corteccia scura e un po’ di neve.
È disgustoso!”
Il papà annusò e disse:
“Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere.
È disgustoso!”
Poi, tutto d’un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse:
“È un dolce, è per me.
Grazie Nellina!”
Il papà scoppiò a ridere anche lui:
“È un tronchetto d’albero, è per me.
Grazie Nellina!”
Nellina, felice, gridò:
“È per tutti e tre.
E lasciatene un po’ anche per me!”

Brano di Bruno Ferrero

L’umorista davanti a Dio

L’umorista davanti a Dio

Una volta un uomo, un tipo sempre allegro e sorridente, fece un sogno:
gli sembrò d’esser morto e di trovarsi davanti al tribunale di Dio.

Era quasi disperato perché aveva grosse marachelle sulla coscienza.

Sentiva che il Giudice quando sceglieva uno tra i beati gli diceva:
“Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo freddo e mi hai coperto… vieni a godere nel mio regno!”
L’uomo tremava tutto, perché non si ricordava d’aver fatto nessuna opera buona.
Ma quando venne il suo turno vide che il Signore lo guardava sorridendo.
“Che cosa mai avrò fatto di bene?” si domandava tra sé.

Il Giudice esclamò:

“Ero triste e tu con il tuo umorismo mi hai consolato; ero malinconico e tu con il tuo sorriso mi hai rasserenato:
entra nella gioia del mio paradiso!”

Brano tratto dal libro “Racconti per il volo dell’anima.” di Pino Pellegrino

Salvati dai cardi

Salvati dai cardi

Il cardo non è certamente un fiore che la gente ama raccogliere.
Non è molto bello e ha le foglie coperte di spine che producono delle punture dolorose.
Ma il brutto e spinoso cardo è una pianta venerata in Scozia.
E questo perché una vecchia leggenda scozzese racconta che i cardi salvarono

un re scozzese ed i suoi sudditi dai Vichinghi.

I Vichinghi erano feroci guerrieri che venivano dalla Scandinavia.
Navigavano alla volta di terre straniere e assalivano città e castelli.
Spesso uccidevano tutti gli abitanti, rubavano tutte le ricchezze e incendiavano case, campi, pagliai, ogni cosa.
Racconta la leggenda che più di mille anni fa approdarono in Scozia alcuni Vichinghi.

Durante la notte circondarono il castello del re.

Tutti al castello dormivano profondamente e non si erano accorti che i Vichinghi si preparavano ad attaccare.
Il castello era circondato da un fossato largo e profondo che, solitamente, era pieno d’acqua; perciò i Vichinghi si levarono i calzari per attraversare a guado il fossato.
Purtroppo, a causa del buio, non avevano notato che il fossato non era pieno d’acqua:

era asciutto ed era coperto da migliaia di cardi spinosi!

Quando misero i piedi nudi sui cardi i Vichinghi urlarono di dolore.
Le loro urla svegliarono gli abitanti del castello che riuscirono a sconfiggerli e a scacciarli dalla loro terra.
Oggi il cardo è l’emblema nazionale di Scozia.

Leggenda Scozzese.
Brano senza Autore, tratto dal Web