Tonto Zuccone, le domande e gli scherzi

Tonto Zuccone, le domande e gli scherzi
—————————–

Il braccio più corto

Le mani

Le balbuzie

—————————–
“Il braccio più corto”

 

L’assistente sociale che seguiva Tonto Zuccone sbrigò le pratiche burocratiche affinché potesse avere la pensione di invalidità, poiché ne aveva alquanto bisogno.
La commissione medica gli pose tante domande.
Tonto riuscì a suscitare tanta ilarità per il modo in cui rispondeva.
Il presidente gli disse alla fine:
“Puoi andare, ti assegniamo un piccolo vitalizio per le tue difficoltà!”

Tonto, allora, chiese:

“Me lo date perché, come mi dicono in tanti, mi manca un venerdì?”
Il presidente rispose:
“Anche per quello, ma soprattutto per una cosa che puoi verificare anche tu; prova a stendere la mano ed il braccio sinistro e porta poi la mano destra all’altezza del gomito!”
Tonto fece la prova ed esclamò:
“Adesso capisco perché ho un braccio uno più lungo e uno più corto!
Non me ne ero mai accorto prima ed è per questo che non ho l’olio di gomito per poter lavorare!”

—————————–
“Le mani”

 

Tonto Zuccone si trovava sulla strada di fronte al bar, che di solito frequentava, ad osservare, ad una distanza ravvicinata, degli operai che stavano lavorando vicini ad un tombino, per un guasto alle tubature dell’acqua.
Era fermo con le mani dietro la schiena, divertito a sentire le loro imprecazioni.
Fu richiamato dal capo cantiere che, stizzito, gli intimò:

“Non ti vergogni?

Tu stai con le mani dietro la schiena, mentre noi lavoriamo e sudiamo sette camicie!”
Tonto si portò istintivamente le mani davanti al petto e fu di nuovo aggredito verbalmente dal capo cantiere:
“Con questa postura vuoi farci capire, forse, che ci stai prendendo per i fondelli?”
Tonto imbarazzato rispose:
“Ma le mani dove le posso mettere?”
La risposta non si fece attendere:
“Prima nel portafoglio e poi vai al bar a prenderci da bere!”

—————————–
“Le balbuzie”

 

Tonto Zuccone fu inviato dai suoi famigliari a fare esperienza come apprendista, non retribuito, in una falegnameria artigianale.
In questa falegnameria si creava un po’ di tutto, dagli arredi agli infissi e, in caso di necessità, anche casse da morto.
Tonto nella prima giornata di lavoro fu posto a levigare e verniciare proprio una di queste.
Durante un momento di assenza del titolare fu invitato, con insistenza da altri apprendisti, a stendersi dentro la barra, con la motivazione di verificare se fossero presenti fessure.
Una volta disteso, i suoi colleghi di lavoro chiusero di botto la cassa, sedendosi sopra il coperchio e impedendogli di uscire, iniziando a recitare a voce alta le preghiere dei defunti.

Tonto, spaventato a morte e angosciato dal buio, cercò con tutte le sue forze di sollevare il coperchio.

Provò più volte ad aprire e, solo dopo molto insistere, riuscì ad uscire.
Purtroppo, a causa dello spavento e del molto gridare, Tonto da quel momento iniziò a balbettare vistosamente, aggravando il suo stato di ragazzo sfortunato, trovandosi tra l’altro con un nome e un cognome che non promettevano niente di buono.
Eppure, nonostante tutto, seppe rilegarsi momenti di vera e genuina felicità tutta da narrare.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

Gli insegnanti innamorati

Gli insegnanti innamorati

In una scuola primaria vicina al mio paese, tanti anni fa, arrivarono ad insegnare un maestro ed una maestra, freschi di nomina.
Il maestro era molto basso di statura e vistosamente tarchiato, mentre la maestra era esageratamente alta e magra, e ciò evidenziava un grande contrasto fisico tra di loro.

La bidella, appassionata di storia risorgimentale e con una vena satirica che gli era propria,

diede ad entrambi un soprannome, rispettivamente Curtatone e Montanara, evocando i luoghi della battaglia del 1848 vinta dalle truppe sabaude su quelle austriache in terra lombarda.
I soprannomi circolarono in maniera rapida, divertendo tutti, sia dentro che fuori dalla scuola e, in modo altrettanto rapido, i due insegnanti si innamorarono.
Il maestro era diventato per tutti Curtatone perché corto di statura e la maestra Montanara perché sembrava una guglia alpina.

Vederli passeggiare per le vie del paese a braccetto era uno spettacolo che nessuno voleva perdersi.

Con il tempo divennero coscienti di essere soggetti di commenti, molto, sarcastici e chiesero, ottenendo, di essere trasferiti per l’anno successivo.
Ci fu l’esame di quinta e, ad uno sprovveduto alunno, fu chiesto di parlare di Curtatone e Montanara.

La domanda era chiaramente riferita all’epica battaglia risorgimentale ma questi travisò e,

imbarazzato, rispose che il maestro Curtatone e la maestra Montanara lui sapeva fossero solo innamorati, come Romeo e Giulietta, e che l’amore livella le differenze fisiche, anche se a scuola non gli avevano ancora spiegato come mai questo accade.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La studentessa ed il prete professore

La studentessa ed il prete professore

Una studentessa irrequieta aveva vissuto la brutta esperienza di una “overdose”:
come tanti suoi coetanei aveva deciso di “risolvere” i propri problemi d’infelicità nello sballo.
Tuttavia, invece di essere consegnata alla polizia, fu accompagnata dagli amici in una comunità di accoglienza.
Quando la situazione lo permise, il prete che guidava la comunità, un uomo colto e preparato, professore di teologia e di psicologia, la invitò nel suo ufficio.

Così ricorda:

“Ogni sua parola era intercalata da una bestemmia.
Devo ammettere che in quel momento mi chiesi se mangiasse con la stessa bocca con cui parlava.
Cominciò col raccontarmi del suo “brutto viaggio”!”
I colloqui, nonostante tutto, continuarono.
“Ero semplicemente e completamente sconvolto dalle cose che mi descriveva ad ogni nostra seduta!” riferisce il prete, che cercava di cambiare la ragazza con i ragionamenti più sottili e convincenti.
Quando per gli studenti iniziarono le vacanze estive, finirono gli incontri tra il professore e la ragazza.
Alla ripresa autunnale, la ragazza non si fece vedere.
Il prete domandò alla sua migliore amica dove fosse.
“Oh,” disse l’amica, “si è convertita e adesso vive in una comunità cristiana del Nord, e scrive lettere come una suora!”

Il prete rimase di stucco:

non se lo sarebbe proprio aspettato.
Passarono diversi mesi ed un giorno la ragazza tornò per vedere la famiglia e gli amici.
Andò anche nell’ufficio del prete e per prima cosa lo abbracciò.
Era evidentemente molto cambiata.
Il prete le chiese come fosse avvenuta la sua conversione e soprattutto se era stato grazie ai loro colloqui, ma lei rispose:
“Oh, no.
Lei mi ha trattata con i guanti di velluto.
Il cuoco della pizzeria in cui ho lavorato quest’estate, invece, ha usato dei modi diversi.

Più di una volta mi ha detto, con il suo forte accento:

“Certo che sembri proprio triste, ragazza.
Perché non permetti a Gesù Cristo di entrare nella tua vita?
Lascia che Gesù esca dalle pagine della Bibbia per entrare nella tua vita!”.”
La ragazza sorrise e continuò:
“Io gli rispondevo:
“Taglia corto con queste fesserie” ma, a sua insaputa, cominciai a leggere la Bibbia tutte le sere.
E, una di quelle sere, Gesù Cristo “uscì” veramente da quelle pagine per entrare nella mia vita.”
Il prete professore con tutti i suoi gradi accademici era stato completamente superato dal cuoco di una pizzeria.

Brano senza Autore

Pago il mio e quello di Toni

Pago il mio e quello di Toni

Qualche anno fa, in un piccolo paesino del veneto, si era affermato un piccolo bar.
Sin dal mattino presto era diventato luogo d’incontro.
I clienti frettolosi consumavano la propria colazione e coglievano l’opportunità per dare anche una sbirciatina veloce alla gazzetta cittadina.

Toni era il frequentatore più assiduo.

Con il suo tavolino fisso sembrava essere parte integrante dell’arredamento del locale.
Viveva con la pensione di invalidità ed era sempre a corto di soldi per via delle spese, per i diversi hobby e per alcuni piccoli vizietti.

Aveva escogitato un espediente tutto suo per lucrare qualche caffè e qualche aperitivo.

Teneva per se il giornale e lo cedeva agli avventori del bar, che avevano fretta poiché dovevano andare a lavorare, in cambio del pagamento della sua ordinazione.
“Pago il mio e quello di Toni.” era per il locale una frase usuale.

Un giorno, però, il giornale non lo cedette a nessuno.

Quasi tutti capirono immediatamente che voleva nascondere qualcosa, così andarono di corsa in edicola a comprare il giornale, scoprendo che fosse un falso invalido.
“Pago il mio e quello di Toni.” non si sentì più dire in quel locale che, inoltre, perse cliente, invalido e macchietta.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il filo di cotone

Il filo di cotone

C’era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile.
“Sono troppo debole per fare una corda.” si lamentava.
“E sono troppo corto per fare una maglietta.
Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi.

Sono scolorito e ho le doppie punte…

Ah, se fossi un filo d’oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato!
Non servo proprio a niente.
Sono un fallito!
Nessuno ha bisogno di me.
Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!”
Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo.

Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse:

“Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone.
Ho un’idea:
facciamo qualcosa noi due, insieme!
Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto:
tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa.

Possiamo diventare un lumino, e donare un po’ di calore e un po’ di luce.

È meglio illuminare e scaldare un po’ piuttosto che stare nel buio a brontolare.”
Il filo di cotone accettò di buon grado.
Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell’oscurità ed emanò calore.
E fu felice.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero