Come si chiama la signora che fa le pulizie nella scuola?

Come si chiama la signora che fa le pulizie nella scuola?

Durante il mio secondo mese di scuola per infermieri, il nostro professore ci fece fare un test a sorpresa.
Io ero uno studente diligente e risposi facilmente a tutte le domande, finché lessi l’ultima:

“Come si chiama la signora che fa le pulizie nella scuola?”

Sicuramente questo era una specie di scherzo.
Avevo visto la signora delle pulizie molte volte.
Era alta, con i capelli scuri, sulla cinquantina, ma come avrei potuto sapere il suo nome?

Consegnai il mio foglio,

lasciando in bianco l’ultima domanda.
Prima che la lezione finisse, uno studente chiese se l’ultima domanda avrebbe contato nella graduatoria del nostro test.
“Certamente!” disse il professore, “Nella vostra professione incontrerete molte persone.

Tutte sono significative.

Esse meritano la vostra attenzione e cura, anche se tutto quello che fate è sorridere e dire ciao!”
Non ho mai dimenticato quella lezione.
E ho anche imparato che la signora si chiamava Dorothy.

Brano di Bruno Ferrero

Due racconti brevi sull’indifferenza

Due racconti brevi sull’indifferenza
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La favola e la bambina

La malattia più grave: l’indifferenza

 

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“La favola e la bambina”

La mia bambina più piccola pretendeva che le leggessi una favola ogni sera prima di andare a dormire.
Un giorno mi venne l’idea di acquistare una serie di audio­cassette con delle fiabe già registrate.
La bimbetta imparò a far funzionare il registratore e tutto andò bene per qualche giorno,

finché una sera non mi cacciò in mano un libro di fiabe.

“Ma cara,” dissi, “lo sai come si accende il registratore!”
“Sì, ma non posso sedermici in braccio!” rispose la bambina.

Brano senza Autore.
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“La malattia più grave: l’indifferenza”

Un giorno, ad un luminare della medicina venne chiesto quale fosse la più grave malattia del secolo.
I presenti si aspettavano che dicesse il cancro o l’infarto.
Grande fu lo stupore generale quando lo scienziato rispose:

“L’indifferenza!”

Tutti allora si guardarono negli occhi e ognuno si accorse di essere gravemente ammalato.
Infine gli domandarono quale ne fosse la cura.
E lo scienziato disse:
“Accorgersene!”

Brano senza Autore.

Quanto costa un biglietto?

Quanto costa un biglietto?

Un mattino, la segretaria stava vendendo i biglietti per l’ultima serata dello spettacolo allestito dalla scuola.
La sera prima avevano registrato il tutto esaurito.
La prima della fila di quel giorno era una madre.
“Penso che sia terribile dover pagare per vedere recitare mio figlio.” annunciò, estraendo il borsellino dalla borsa.
“La scuola chiede una donazione volontaria per contribuire alle spese per la scenografia e i costumi,” spiegò la segretaria, “ma nessuno deve pagare.
Lei può avere tutti i biglietti di cui ha bisogno!”
“Oh, pagherò!” borbottò, “Due adulti ed un bambino.”
E fece cadere un biglietto da dieci.

La segretaria le diede il resto.

In quel momento il ragazzo dietro di lei svuotò sul tavolo la tasca piena di monete.
“Quanti biglietti?” chiese la segretaria.
“Non mi servono i biglietti per vedere lo spettacolo stasera!” disse.
“Voglio solo pagare!” e spinse verso di lei le monete.
“Ma devi avere il biglietto per vedere lo spettacolo di stasera?” chiese la segretaria.
Il ragazzo scosse la testa: “L’ho già visto!”
La segretaria spinse indietro la pila di monetine.
“Se vuoi vedere lo spettacolo con la tua classe non devi pagare.” gli disse, “È gratis!”
“No!” insistette il ragazzo, “Io l’ho visto ieri sera.
Io e mio fratello siamo arrivati tardi.
Non abbiamo trovato nessuno per comprare i biglietti, così siamo entrati!”
Un sacco di gente in mezzo a quella folla era probabilmente entrata.
I pochi volontari presenti non potevano controllare che tutti avessero il biglietto.

Lui spinse nuovamente avanti il denaro:

“Pago adesso per ieri sera!”
Quel ragazzo e suo fratello dovevano essere rimasti in fondo.
Ed essendo arrivati quando il botteghino era già chiuso, probabilmente non avevano nemmeno visto tutto lo spettacolo.
Alla segretaria dispiaceva prendere quei soldi.
Una pila di monetine nelle mani di un ragazzino è di solito il risultato di paghette risparmiate con cura.
“Se il banco dei biglietti era chiuso quando siete arrivati, non potevate pagare!” argomentò allora.
“Questo è quello che ha detto mio fratello!” spiegò il ragazzino.
“Nessuno si accorgerà della differenza.” gli assicurò la segretaria, “Non preoccuparti!”
Pensando che la questione fosse chiusa, spinse di nuovo indietro le monete.

Lui pose la sua mano sulla sua:

“Io conosco la differenza!”
Per un istante le loro mani si unirono in silenzio al di sopra del mucchietto di monete.
Poi la segretaria disse:
“Due biglietti costano sei euro.”
Le monete vennero contate fino alla cifra corretta.
“Grazie!” dissero insieme.
Il ragazzino sorrise, si voltò e se ne andò.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’imbuto multiuso

L’imbuto multiuso

Da una piccola vigna posta al sole, coltivata da generazioni, si otteneva un ottimo vino.
Abatino era molto orgoglioso della sua vigna e del vino, ma, nell’ultimo periodo aveva iniziato ad abusarne, con la scusante che fosse un’annata eccezionale.
In famiglia effettuavano la potatura verde (una tecnica che prevede di togliere i grappoli piccoli lasciando quelli più idonei ad una maturazione omogenea),

che dava come risultato un vino dolce, liquoroso e di alta gradazione.

Il medico di famiglia, chiamato dalla moglie di Abatino per sopraggiunti problemi di salute del marito, diagnosticò ad Abatino un principio di cirrosi epatica.
L’unica cura che gli consigliò fu la drastica riduzione del nettare di Bacco.
La soluzione proposta dal medico, però, risultò di difficile applicazione dato il carattere dell’uomo, che non voleva, in nessun modo, rinunciare al frutto tentacolare delle sue fatiche.

Il dottore, nel congedarsi, disse alla moglie:

“Prova a farlo eterno, cioè aggiungi gradatamente dell’acqua alla caraffa del vino durante i pasti e, inoltre, fai in modo che non si possa spillare dalla botte.
Siccome non potete chiudere la cantina, visto che la usate sia come magazzino che come dispensa, porta via sia i bicchieri che le scodelle.”
La donna seguì i consigli del medico,

ma ogni sera Abatino risultava lo stesso allegro e alticcio.

Tutto ciò risulto per lei un mistero, così decise di appostarsi dietro una tenda divisoria, per capire cosa stesse succedendo.
Ad un certo punto, durante la serata, vide entrare il marito, prendere l’imbuto e bere direttamente dalla botte.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Mangiate Porci!

Mangiate Porci!

Una contadina allevava nella sua fattoria diversi animali da reddito.
Dedicava le sue cure principalmente ai maiali, che nutriva per lo più con delle buone patate.
Lavorava molto, per riuscire a riscattare il terreno che aveva in comodato d’uso.
Il terreno apparteneva ad alcuni suoi parenti emigrati che, oltre al terreno, le avevano dato anche una porzione di casa.
La cura per i maiali era quasi maniacale e, dato che li voleva belli grassi in poco tempo, ogni volta che dava loro da mangiare, ripeteva continuamente:

“Mangiate porci, che mi fatte ricca!”

Alcuni anni dopo, i parenti emigrati ritornarono per sistemare gli affari di famiglia.
La loro intenzione, riguardo la contadina, era quella di farle una donazione avendo trovato una inaspettata fortuna all’estero, con una unica clausola:
quella di restaurare un vecchio capitello con Madonna e Bambino, di antica devozione, situato all’ingresso della proprietà.
Per sancire il buon, nonché vantaggioso, accordo, la nostra brava contadina fece per i ricchi parenti un lauto banchetto all’aperto sull’aia, avendo cura di proporre loro i piatti della tradizione, dato che questi ne avevano nostalgia.

Tutto fu curato nei minimi dettagli e le portate ebbero successo.

La brava contadina, però, cucinò troppo, infatti i commensali cominciarono a rifiutare le portate.
Tutti questi rifiuti iniziarono a preoccupare la contadina, che presa dal panico per la paura che l’accordo non fosse ratificato, alla portata delle patate, ripeté quella frase che meccanicamente diceva ai suoi maiali:

“Mangiate porci, che mi fatte ricca!”

Inutili furono la scuse e le spiegazioni.
I parenti non ratificarono più l’accordo verbale e se ne andarono via indignati.
“Mai mischiare la cura ed il pensiero rivolto agli animali con quello rivolto ai buoni cristiani!” fu la conclusione amara della nostra buona donna.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Gesù solo un dettaglio?

Gesù solo un dettaglio?

Un parroco preparava con cura meticolosa le manifestazioni esterne della sua parrocchia.
Soprattutto la solenne processione del Corpus Domini.
Voleva che la festa fosse un vero avvenimento per il paese.
Tre mesi prima della data, radunava un apposito comitato e organizzava i gruppi di lavoro.

Il giorno della festa tutto il paese era mobilitato.

Alle dieci e trenta in punto, la processione cominciò a snodarsi.
I chierichetti con i candelabri, i paggetti nei costumi colorati, le bambine con il vestito bianco che spargevano petali di rosa, i giovanotti della società sportiva con le tute gialle e blu, gli uomini e le donne delle confraternite con i labari colorati e i nastri azzurri, gialli, rossi, poi l’Azione Cattolica, i ragazzi dell’Oratorio, la gente, altri chierichetti e la banda musicale del paese.

Una processione magnifica!

Quando la banda intonò il pezzo più solenne, dal portale della chiesa uscì lentamente il baldacchino di broccato dorato con i pennacchi rossi e bianchi, sorretto da quattro baldi giovani.
Sotto il baldacchino, incedeva il parroco, rivestito del piviale più prezioso, che reggeva il pesante ostensorio d’oro tempestato di pietre preziose.
Improvvisamente il viceparroco, che accompagnava i chierichetti, si avvicinò allarmato al parroco e gli sussurrò:
“Padre, nell’ostensorio non c’è l’ostia!”

Il parroco ribatté seccato:

“Non vedi a quante cose devo pensare?
Non posso occuparmi anche dei dettagli!”
Gesù solo un dettaglio?
Per tanti, troppi, è così.

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il ragazzino e la barca a vela

Il ragazzino e la barca a vela

C’era una volta un ragazzino che aveva costruito una barca a vela.
Ne aveva scavato con cura lo scafo nel legno, l’aveva smerigliato con estrema attenzione dipingendolo infine con ogni possibile delicatezza, poi aveva ritagliato la vela dalla più candida delle stoffe.
Una volta terminato, non vedeva l’ora di varare la sua barchetta e così la portò subito al lago.
Trovò uno spiazzo d’erba vicino alla riva e, inginocchiatosi, depose con cautela il piccolo vascello sul pelo dell’acqua.
Soffiò un pochino nella vela e si mise ad aspettare.
Ma la barca non si muoveva e così il ragazzo soffiò più forte, finché il vento colmò la piccola vela e la barchetta prese il largo.
“Si muove! Si muove!” gridava, battendo le mani e saltando sulla riva del lago.

All’improvviso il ragazzo si fermò.

Si era reso conto di non aver assicurato la barchetta con uno spago.
Vide la sua creatura spingersi sempre più lontano finché non sparì del tutto dalla sua vista.
Il ragazzino era felice e triste nello stesso tempo:
orgoglioso che la sua barca veleggiasse bene, ma triste di averla perduta.
Corse a casa in lacrime.
Qualche tempo dopo, girovagando per il paese, per caso passò davanti da una bottega che vendeva giocattoli vecchi e nuovi.
E in vetrina c’era la sua barca.
Era in estasi.

Corse dentro e disse entusiasta al negoziante:

“Quella è la mia barca.
La mia.”
L’uomo squadrò il ragazzino e rispose:
“Ti sbagli.
L’ho comprata.
Adesso è in vendita!”
“Ma è la mia barca!” gridò il piccolo, “L’ho fatta io.
L’ho varata e poi l’ho persa.
È mia!”
“Ti sbagli!” ripeté il negoziante, “Se la vuoi te la devi comperare.”
“Quanto costa?” chiese il ragazzo.
Quando ebbe sentito il prezzo ebbe un tuffo al cuore.
Nella sua piccola cassaforte, a casa, c’era soltanto qualche spicciolo.
A capo chino se ne uscì dal negozio.
Ma il ragazzino era un tipo deciso.
Tornato a casa, andò nella sua stanza e contò i suoi averi fino all’ultima monetina per scoprire quanto denaro gli mancava per potersi ricomprare la sua preziosa barca.

Fece qualche lavoretto e risparmiò:

adesso aveva i soldi.
Corse di nuovo al negozio, sperando che la barca fosse ancora lì.
Sorrise:
eccola in mezzo alla vetrina al solito posto.
Entrò nel negozio, rovesciò le tasche e depose tutto il suo denaro vicino alla cassa.
“Voglio comprare la mia barca!” esclamò.
Il negoziante prese la barca dalla vetrina e la mise nelle mani del ragazzino, eccitatissimo.
Il piccolo strinse la barchetta al petto e corse a casa dicendosi pieno di orgoglio:
“Tu sei la mia barca.
La mia!
Sei due volte mia!
Mia perché ti ho fatto, e mia perché ti ho riconquistato!”

Brano senza Autore.

L’aiuto missionario

L’aiuto missionario

Mentre il Padreterno è intento a leggere la posta del mattino, qualcuno bussa energicamente alla porta del suo studio.
Sono Gesù, lo Spirito Santo e la Madonna con tanti bambini.

“Perché piangete?” chiede il Padreterno.

“Padre Santo,” risponde Maria, “molti bambini che tu hai mandato sulla terra un mese fa, sono ritornati perché sono stati rifiutati!”
Il Padreterno diventa triste e domanda a Gesù:
“È ritornato anche Arturo, il futuro scienziato a cui avevo consegnato la cura del cancro?”

“Si, Padre mio, anche lui!” rispose Gesù.

“La piccola Matilde, è ritornata anche lei?” domandò ancora il Padreterno.
“Si,” risponde lo Spirito Santo, “i genitori a cui l’avevi affidata non volevano una bimba down!”
Mentre il Padreterno si asciuga le lacrime dice:

“Il mio piccolo Kimbi, la mia perla nera, è rientrato anche lui?”

“No,” risponde felicemente la Santa Vergine, “lui è rimasto in Africa, l’aiuto e l’impegno missionario di Rino e dei suoi amici, hanno permesso alla sua mamma di poterlo accogliere anche se molto povera.
Il Padreterno, rincuorato da questa bella notizia, si alza in piedi e dice:
“Da questo momento, tutti i bambini che sono rientrati saranno gli angeli protettori di Rino e di tutti coloro che difendono la vita!”

Brano senza Autore.

L’acqua della cascata (Il vino in regalo)

L’acqua della cascata
(Il vino in regalo)

Una coppia di giapponesi si sposò in tarda età e, con grande gioia e sorpresa, ebbe un figlio.
Lo allevarono con tutto l’amore e la cura possibile e, pur essendo molto poveri, lo mandarono alla scuola di un saggio perché crescesse anche nello spirito.

Il ragazzo, tornato a casa, aveva un unico desiderio:

sdebitarsi in qualche modo con i suoi genitori.
“Che potrei mai fare,” chiese loro, “di realmente gradito per voi?”
“Niente ci è più caro della tua stessa presenza!” risposero i vecchi, “Se però vuoi proprio farci un regalo, procuraci un po’ di vino.
Ne siamo golosi, e son tanti anni che non ne beviamo un goccio!”
Il ragazzo non aveva un soldo.
Un giorno, mentre andava nel bosco a far legna, attinse con le mani l’acqua che precipitava da un’enorme cascata e ne bevve:

gli parve avesse il sapore del vino più dolce e schietto.

Ne riempì un orcio che aveva con sé e tornò in fretta a casa.
“Ecco il mio regalo!” disse ai genitori, “Un orcio di vino per voi.”
I genitori assaggiarono l’acqua e, pur non sentendo altro gusto che quello dell’acqua, gli sorrisero e lo ringraziarono molto.
“La prossima settimana ve ne porterò un altro orcio!” disse il figlio.
E così fece per molte settimane di seguito.
I genitori stettero al gioco:
bevevano l’acqua con grande entusiasmo ed erano felici di vedere il sorriso fiorire sul volto del figlio.

Avvenne così un fatto:

i loro acciacchi scomparvero e le loro rughe si appianarono, quasi quell’acqua avesse qualcosa di miracoloso.
E in realtà era così:
che cosa rende più giovani i genitori se non il gioire del dono di un figlio, qualunque esso sia?

Leggenda Giapponese.
Brano senza Autore.

Il rimorso di un padre

Il rimorso di un padre

Ascolta, figlio:
“Ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte.”
Mi sono introdotto nella tua camera da solo:
“Pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un’ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.”
E stavo pensando a queste cose:
“Ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe.
Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto:

hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo.
Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato:
“Ciao, papino!” e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: “Su diritto con la schiena!”
E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze bucate.
Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoli a casa.
Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura.
Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell’offesa subita?
Quando ho alzato gli occhi dal giornale, impaziente per l’interruzione, sei rimasto esitante sulla porta.

“Che vuoi?” ti ho aggredito brusco.

Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l’affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai.
Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale.
Be’, figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un’angoscia terribile.
Cosa mi sta succedendo?
Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto?
Nient’altro per stanotte, figliolo.
Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.
È una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio.
Ma domani sarò per te un vero papà.
Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti.

Continuerò a ripetermi, come una formula di rito:

“È ancora un bambino, un ragazzino!”
Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo.
E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino.
Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla spalla.
Ti ho sempre chiesto troppo, troppo!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.