Signore, lasciami prendere il tuo posto

Signore, lasciami prendere il tuo posto

Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina.
In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di “Cristo delle Grazie.”
Arrivava gente da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.
Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiedere anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all’immagine, pregò:
“Signore, lasciami prendere il tuo posto.
Voglio soffrire con te.
Voglio stare io sulla croce.”
Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.

Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse:

“Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione:
qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio!”
“Te lo prometto, Signore.” rispose Sebastiano.
Avvenne lo scambio.
Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c’era Sebastiano inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell’eremita.
I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva.
Finché un giorno…
Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenticò sul gradino la sua borsa piena di monete d’oro.

Sebastiano vide, ma conservò il silenzio.

Non parlò neppure un’ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne andò.
Né aprì bocca quando davanti a lui si inginocchiò un giovane che chiedeva la sua protezione prima di intraprendere un lungo viaggio per mare.
Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l’uomo ricco che, credendo che fosse stato il giovane a derubarlo della borsa di monete d’oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido:
“Fermi!”
Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare.
Sebastiano spiegò come erano andate le cose.
Il ricco corse allora a cercare il povero.
Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio.
Quando nel santuario non rimase più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò:

“Scendi dalla croce.

Non sei degno di occupare il mio posto.
Non hai saputo stare zitto!”
“Ma, Signore!” protestò, confuso, Sebastiano, “Dovevo permettere quell’ingiustizia?”
“Tu non sai,” rispose il Signore, “che al ricco conveniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un’ingiustizia.
Il povero, al contrario, aveva un gran bisogno di quel denaro.
Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l’imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Al crocicchio del villaggio

Al crocicchio del villaggio

Tanto tempo fa, c’era un uomo che da anni cercava il segreto della vita.
Un giorno, un saggio eremita gli indicò un pozzo che possedeva la risposta che l’uomo così ardentemente cercava.
L’uomo corse al pozzo e pose la domanda:
“C’è un segreto della vita?”

Dalla profondità del pozzo echeggiò la risposta:

“Vai al crocicchio del villaggio: là troverai ciò che cerchi”
Pieno di speranza, l’uomo obbedì, ma al luogo indicato trovò soltanto tre botteghe:
una bottega vendeva fili metallici, un’altra legno e la terza pezzi di metallo.
Nulla e nessuno in quei paraggi sembrava avere a che fare con la rivelazione del segreto della vita.
Deluso, l’uomo ritornò al pozzo a chiedere una spiegazione.

Ma il pozzo gli rispose:

“Capirai in futuro!”
L’uomo protestò, ma l’eco delle sue proteste fu l’unica risposta che ottenne.
Credendo di essere stato raggirato, l’uomo riprese le sue peregrinazioni.
Col passare del tempo, il ricordo di questa esperienza svanì, finché una notte, mentre stava camminando alla luce della luna, il suono di un sitar (lo strumento musicale dell’oriente) attrasse la sua attenzione.
Era una musica meravigliosa, suonata con grande maestria e ispirazione.
Affascinato, l’uomo si diresse verso il suonatore; vide le sue mani che suonavano abilmente; vide il sitar; e gridò di gioia, perché aveva capito.
Il sitar era composto di fili metallici, di pezzi di metallo e di legno come quelli che aveva visto nelle tre botteghe al crocicchio del villaggio e che aveva giudicato senza particolare significato.

La vita è un viaggio.

Si arriva passo dopo passo.
E se ogni passo è meraviglioso, se ogni passo è magico, lo sarà anche la vita.
E non sarete mai di quelli che arrivano in punto di morte senza aver vissuto.
Non lasciatevi sfuggire nulla.
Non guardate al di sopra delle spalle degli altri.
Guardateli negli occhi.
Non parlate “ai” vostri figli.
Prendete i loro visi tra le mani e parlate “con” loro.
Non abbracciate un corpo, abbracciate una persona.

E fatelo ora.

Sensazioni, impulsi, desideri, emozioni, idee, incontri, non buttate via niente.
Un giorno scoprirete quanto erano grandi e insostituibili.
Ogni giorno imparate qualcosa di nuovo su voi stessi e sugli altri.
Ogni giorno cercate di essere consapevoli delle cose bellissime che ci sono nel nostro mondo.
E non lasciate che vi convincano del contrario.

Guardate i fiori.
Guardate gli uccellini.
Sentite la brezza.
Mangiate bene e apprezzatelo.
E condividete tutto con gli altri.
Uno dei complimenti più grandi è dire a qualcuno: “Guarda quel tramonto.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il lama, il gatto ed il topolino

Il lama, il gatto ed il topolino

In una notte gelida, fino da poco l’inverno, un lama buddhista trovò sulla soglia della porta un topolino intirizzito e quasi morto di freddo.
Il lama raccolse il topolino, lo ristorò e gli chiese di restare a fargli compagnia.
Da quel momento la vita del topolino fu piacevole.
Ma nonostante questo, la bestiola non aveva l’aria felice.
Il lama si preoccupò:
“Che hai, piccolo amico?” gli chiese.
“Tu sei molto buono con me.
E tutto nella tua casa è molto buono con me.
Ma c’è il gatto…” rispose il topolino.
Il lama sorrise.
Non aveva pensato al gatto di casa, un animale troppo saggio e troppo ben pasciuto per degnarsi di dare la caccia ai topi.

Il lama esclamò:

“Ma quel bel micione non ti vuole certo male, amico mio!
Non farebbe mai male a un topolino!
Non hai niente da temere, te lo assicuro!”
“Ti credo, ma è più forte di me!” piagnucolò il topolino, “Ho tanta paura del gatto.
Il tuo potere è grande.
Trasformami in gatto!
Cosi non avrei più paura di quella bestia orribile!”
Il lama scosse la testa.
Non gli sembrava una buona idea…
Ma il topolino lo supplicava e allora disse:
“Sia fatto come desideri, piccolo amico!”

E di colpo il topolino fu trasformato in un grosso gatto.

Quando morì la notte e nacque il giorno, un bel gattone uscì dalla camera del lama.
Ma appena vide il gatto di casa, il gatto-topolino corse a rifugiarsi nella camera del lama e si infilò sotto il letto.
“Che ti succede, piccolo amico?” chiese il lama, sorpreso, “Avrai mica ancora paura del gatto?”
Il topolino-gatto si vergognò moltissimo.
E implorò:
“Ti prego trasformami in un cane, un grosso cane dalle zanne taglienti, che abbaia forte…”
“Dal momento che lo desideri ti accontento e così sia!”
Quando il giorno morì e si accesero le lampade a olio, un grosso cane nero uscì dalla camera del lama.
Il cane andò fin sulla soglia della casa e incontrò il gatto di casa che usciva dalla cucina.
Il gattone quasi svenne per la paura alla vista del cane.
Ma il cane ebbe ancora più paura.
Guaì penosamente e corse a rifugiarsi nella camera del lama.
Il saggio guardò il povero cane tremante e disse:

“Che ti succede?

Hai incontrato un altro cane?”
Il cane-topolino si vergognò da morire.
E chiese: “Trasformami in una tigre, ti prego, in una grossa terribile tigre!”
Il lama lo accontentò e, il giorno dopo, una enorme tigre dagli occhi feroci uscì dalla camera del lama.
La tigre passeggiò per tutta la casa spaventando tutti, poi uscì nel giardino e là incontrò il gatto che usciva dalla cucina.
Appena vide la tigre, il gatto fece un balzo terrorizzato, si arrampicò su un albero e poi chiuse gli occhi, dicendo:
“Sono un gatto morto!”
Ma la tigre, vedendo il gatto, miagolò lamentosamente e fuggì ancora più veloce del gatto e corse a rifugiarsi in un angolo della stanza del lama.
“Che bestia spaventosa hai incontrato?” gli chiese il lama.
“Io… io ho paura… del… gatto!” balbettò la tigre, che tremava ancora.
Il lama scoppiò in una gran risata.
“Adesso capisci, piccolo amico!” spiegò, “L’apparenza non è niente!
Di fuori hai l’aspetto terribile di una tigre, ma hai paura del gatto perché il tuo cuore è rimasto quello di un topolino!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Il volo di Gea

Il volo di Gea

L’uccellino cinguettava “ciu ciiiiuciu ciu” e i clienti del bar del Signor Antonio entravano volentieri a prendere un caffè nella terrazza per ascoltare il suo canto delicato e trillante come tanti campanellini.
La sua voce argentina sembrava intonare un canto allegro e spensierato per la gioia dei clienti del bar che lo ascoltavano distratti e non vedevano la tristezza e la solitudine nei suoi piccoli occhi di uccellino.
Lui invece cantava ma non di allegria, il suo canto aveva parole tristi e malinconiche che gli ricordavano la sensazione del vento tra le piume delle ali e lo spettacolo magnifico delle chiome degli alberi viste da lassù, volando.

Mentre cantava riusciva a non pensare alle sbarre della gabbietta e alla noia delle giornate che si ripetevano monotone.

Un giorno però successe qualcosa, una bambina entrando nel bar per comprare un gelato ascoltò il suo canto e si sentì improvvisamente triste senza sapere bene il perché.
Allora guardò negli occhi il piccolo uccellino, si accorse che la tristezza veniva proprio da quel canto e si avvicinò alla gabbia.
“Perché sei triste?” sussurrò la bimba.
“Ciu ciiiu ciu!” trillò l’uccellino.
Gea, così si chiamava la bambina, aveva un segreto per capire gli altri anche quando le parole non erano d’aiuto:
si immaginava di essere al loro posto, si metteva nei panni degli altri per capire le loro emozioni.
E così fece, si immaginò di vivere chiusa in una piccola gabbia senza poter correre e giocare con gli amici.
Chiuse gli occhi per concentrarsi e all’improvviso sentì un formicolio alle gambe, come quando stava molto tempo nella stessa posizione:

“Forse è proprio quello che sente quest’uccellino:

di certo gli formicolano le ali per non poterle aprire e forse è triste perché non è libero di volare come gli altri uccelli”, pensò.
Per un momento le sembrò quasi che le fossero spuntate le ali e sentì un forte desiderio di volare in alto nel cielo.
Senza pensarci due volte Gea aprì la piccola gabbia sperando che nessuno la vedesse e l’uccellino la guardò cercando di capire perché quella bambina gli aveva dato la libertà.
Avrebbe voluto dimostrarle la sua gratitudine ma non sapeva come fare, allora fece un ultimo cinguettio di addio e seguì il suo istinto che gli diceva di aprire le ali e volare via.
I clienti del bar senza capire cosa fosse successo si fermarono un istante,

fu una frazione di secondo in cui sembrava che il tempo si fosse fermato.

Nessun cucchiaino suonava contro il bordo della tazza, i ragazzi che scherzavano interruppero le loro risate e persino i cellulari per un attimo smisero di suonare.
In silenzio Gea usci dal bar mangiando il suo gelato e si ritrovò a camminare per strada con lo sguardo rivolto verso il cielo, cercando distrattamente quell’uccellino dallo sguardo triste.
All’improvviso cominciò a sentire il fruscio del vento tra le dita, l’aria fresca le accarezza il viso e il rumore del traffico si sentiva in lontananza, ovattato.
Chiuse gli occhi per assaporare quella sensazione di libertà e, con gli occhi chiusi, vide la città dall’alto, il porto con le barche dei pescatori e le colline alle spalle.
Capi che era il regalo d’addio dell’uccellino, il suo modo di dirle grazie:
stava volando con lui e osservando il mondo con i suoi occhi.

Brano tratto dal libro “Chi ha paura del lupo?” di Viola Mariani

I bambini sono un miracolo!

I bambini sono un miracolo!

Un bambino risponde “grazie” perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.
Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te.
Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.
Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è “aiutami a fare da solo.”
Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti.
Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose.

Lui capirà.

Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la lettura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.
Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.
Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori.
L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.
“Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così!” è una frase da non dire mai.
Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci; provate a portarlo il più possibile nella natura.

Un bambino troppo pulito non è un bambino felice.

La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve, sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.
Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.
Un bambino pone sempre tante domande, ricorda che le tue parole sono importanti; meglio un “questo non lo so!” se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi sugli specchi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.
Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi.

Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte.

Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.
Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.
Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre non un’amica.
Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.

Brano di Giorgio Gaber

Regalare la felicità

Regalare la felicità

Un’antica storia mediorientale racconta di un uomo così buono e disinteressato che Dio decise di premiarlo.
Chiamò un angelo e gli disse di andare da lui e domandargli che cosa volesse:

qualsiasi desiderio verrà esaudito.

L’angelo raggiunse l’uomo gentile e gli comunicò la buona notizia.
Ma l’uomo gentile rispose:
“Io sono già felice.
Ho già tutto ciò che desidero!”

L’angelo gli fece capire che con Dio bisogna avere tatto:

se ci fa un regalo, è meglio accettare.
Allora l’uomo gentile rispose:
“Va bene: voglio che tutti quelli che entrano in contatto con me si sentano bene.
Però non voglio saperne nulla!”
Da quel momento dove l’uomo gentile passava, le piante avvizzite rifiorivano, gli animali più malandati si riprendevano, i malati guarivano, gli infelici venivano sollevati dai loro terribili fardelli, chi litigava faceva la pace e chi aveva un problema riusciva a risolverlo.

Ma tutto questo avveniva dietro di lui, nella sua scia, senza che egli ne sapesse niente.

Non c’erano da parte sua né orgoglio per il bene compiuto né aspettative di alcun genere.
Ignaro e contento, l’uomo gentile camminava per le vie del mondo regalando la felicità.

Brano tratto dal libro “La forza della gentilezza.” di Piero Ferrucci. Edizione Oscar Mondadori.

Il genio e le richieste impossibili

Il genio e le richieste impossibili

Un uomo passeggiando in un bosco alla ricerca di funghi, si imbatté nella più perfetta ed antica lampada ad olio; iniziò subito a strofinarla e apparve il Genio.
L’uomo chiese:
“Posso avere i miei tre desideri?”
Il genio rispose:
“No! A causa dei cattivi tempi, della recessione, della globalizzazione, dell’inflazione, degli scioperi e di tutti gli altri problemi mondiali, oggi come oggi posso offrirti un solo desiderio da esaudire.”

L’uomo prese allora una cartina geografica e disse:

“In tal caso, vorrei la pace in Medio Oriente.
Vedi la cartina?
Vorrei che questi Paesi smettessero di farsi la guerra!”
Il Genio guardò la cartina e replicò:
“Ma accidenti, questi paesi sono in guerra da tempi lontanissimi!

Non credo di poterci fare niente, sono potente ma non così tanto!

Non pensarci neppure.
Neanche se chiedessi l’aiuto del mio Maestro potrei riuscire a realizzare questo desiderio.
Lascia perdere!
Dai, chiedimi qualcos’altro.”
L’uomo pensò per qualche altro minuto e disse:

“Non sono mai riuscito a trovare la donna giusta:

una donna sensibile, dolce e affettuosa, capace di rispettare il suo uomo, che sappia cucinare e farsi carico dei lavori domestici senza lamentarsi continuamente, che sia una brava amante e che non abbia mai il mal di testa, che non passi tutto il tempo a fare spese o a guardare la moda in tv, che non sia sempre nervosa, che mi tratti con amore e che non mi tradisca.”
E il genio sospirando:
“… dai qua, fammi rivedere un po’ la cartina…”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il posto di viaggio in aereo


Il posto di viaggio in aereo

Una donna bianca, di circa 50 anni, prese posto in classe economica, di fianco ad un uomo nero, su un aereo di linea.
Visibilmente turbata, chiamò la hostess.
“Che problema ha signora?” chiese l’hostess.
“Ma non lo vede?” rispose la signora “Mi avete messo a fianco di un uomo nero!

Non sopporto di rimanere qui.

Assegnatemi un altro posto.”
“Per favore, si calmi,” disse l’hostess “poiché tutti i posti sono occupati.
Vado a vedere se ce n’è uno disponibile.”
L’hostess si allontanò e ritornò qualche minuto più tardi.
“Signora, come pensavo, non c’è nessun altro posto libero in classe economica, anche il comandante mi ha confermato questa mancanza di posto, neanche in classe executive.

E’ rimasto libero soltanto un posto in prima classe.”

Prima che la donna avesse modo di commentare la cosa, l’hostess continuò:
“Vede, è insolito per la nostra compagnia permettere a una persona con biglietto di classe economica di sedersi in prima classe.
Ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sarebbe scandaloso obbligare qualcuno a sedersi a fianco di una persona sgradevole.”

E, rivolgendosi all’uomo nero, l’hostess proseguì:

“Quindi, signore, se lo desidera, prenda il suo bagaglio a mano che la attende un posto in prima classe!”
E tutti i passeggeri vicini che, allibiti, avevano assistito alla scenata della signora, si misero ad applaudire.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Desiderio per domani…


Desiderio per domani…

C’erano una volta tre anziani compagni di scuola che si ritrovarono dopo molto tempo.
Ognuno cominciò a raccontare la propria vita.
Uno era diventato un importante uomo d’affari ed un politico, un altro era un eminente studioso e il terzo un giardiniere.
Conversando intorno ad un bicchiere di buon vino, i tre uomini si scambiavano le impressioni sulla vita, che scorreva sempre più rapida.
Arrivarono alla conclusione che ogni giorno era un dono prezioso che ricevevano.

Giunsero così ad una bizzarra decisione:

“Impegniamoci a realizzare domani il desiderio più intenso che ci portiamo dentro.”
Ognuno confidò il proprio desiderio per l’indomani:
Il politico disse:
“lo voglio usare il mio prezioso servizio da tè di porcellana cinese e il mio magnifico cavallo per galoppare nella mia tenuta.”
Lo studioso disse:
“Io mi procurerò una tazza di cioccolata profumata e un libro antico pregiato da leggere seduto nella mia biblioteca.”

Il giardiniere disse:

“Io domani vorrei godermi una bella giornata di sole, ascoltando un ruscello di acqua gorgogliante, degli uccelli che cantino in cielo e sugli alberi.
Questi ultimi colmi di frutti maturi.”
Proprio quella notte un forte terremoto scosse la regione.
Quando il politico cercò la sua porcellana la trovò in frantumi; il suo prezioso cavallo era morto sotto il muro della scuderia, che a causa del terremoto era crollato.

Lo studioso non riuscì a bere la cioccolata né a leggere,

perché nella sua casa non c’era più una tazza rimasta intatta; la sua biblioteca aveva preso fuoco e tutti i suoi libri erano ormai perduti.
Il giardiniere invece poté godersi il sole che scaldava il suo giardino, bere l’acqua fresca del ruscello e, anche se il deposito degli attrezzi era stato distrutto dal terremoto, gli alberi erano rimasti in piedi, colmi di frutti; anche gli uccelli cantavano come tutti gli altri giorni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Le sette giare ed il barbiere


Le sette giare ed il barbiere

Molti anni fa c’era un barbiere.
Era il barbiere del re.
Egli viveva in una piccola casetta con la moglie.
Non erano ricchi, ma non erano neppure poveri.
Ogni mese il re gli pagava le sue prestazioni e con quel denaro acquistavano tutto quello di cui avevano bisogno.
Tuttavia, il barbiere non era felice.
Egli voleva diventare ricco.
“Risparmia più soldi che puoi!” diceva alla moglie.
“Tu devi avere più monili d’oro.
Quando avremo risparmiato abbastanza, ti comprerò una bella collana.
Voglio che tu sembri la moglie di un uomo ricco!”
Così i due risparmiarono quanto più soldi potevano.
Quando ne ebbero a sufficienza, andarono insieme dall’orefice e acquistarono una collana d’oro.
La donna era monto compiaciuta.
“Adesso cominci a sembrare la moglie di un uomo ricco.” le disse il barbiere.
Ma il barbiere non era ancora soddisfatto.

Egli desiderava possedere più oro.

Una sera fece una passeggiata nel bosco vicino a casa.
Si sedette sotto un albero, e come al solito, cominciò a pensare all’oro.
“Vorrei possedere più oro!” diceva fra sé.
In quell’istante sentì una voce.
Sembrava provenire dalla cima dell’albero.
“Barbiere, barbiere!” chiamò la voce.
“Vuoi diventare ricco?
Vuoi dell’oro?”
“Sì, sì!” urlò il barbiere.
“È così!
Voglio diventare ricco!
Voglio dell’oro!”
“Quanto oro vuoi?” chiese la voce.
“Vanno bene sette giare d’oro?”
“Sì, sì!” urlò il barbiere.
“Sette giare vanno bene!
Voglio sette giare d’oro!”

“Va bene.” replicò la voce.

“Vai a casa barbiere, troverai le sette giare che ti aspettano!”
L’uomo saltò in piedi e corse a casa.
“Sarà vero?” si chiedeva.
“Forse stavo solo sognando.
Sette giare d’oro.
Ma pensaci!”
Il barbiere correva verso casa.
“Moglie, moglie!” chiamò, appena giunse alla casetta.
La donna si affrettò verso la porta.
Sorrideva felice.
“Moglie, hai visto qualcosa?” le chiese.
“Vieni a vedere!” lei rispose.
Lo accompagnò nella stanza.
Sì, sul pavimento c’erano sette giare!
“Sai cosa c’è nelle giare, moglie?” le chiese.
“Oro, mio caro.
Oro!
Ora ti faccio vedere!”
Il barbiere prese la prima giara e sollevò il coperchio.

Era pieno d’oro.

“Vedi moglie?” esclamò il barbiere.
“Ora siamo ricchi.
Abbiamo sette giare piene d’oro!”
Sentendosi felice ed eccitato il barbiere cominciò a ballare per la stanza.
Sua moglie, seduta sul pavimento, cominciò a sollevare i coperchi delle giare, una per una, per vedere l’oro che vi era contenuto.
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… ” contava mentre apriva i coperchi.
“Sono piene d’oro… Che meraviglia!”
Quando aprì la settima giara, emise un’esclamazione di sorpresa.
L’ultima giara era mezza vuota.
“Questa è mezza vuota!” esclamò.
“Cosa?” esclamò il barbiere.
“Come mai questa giara è mezza vuota?”
Il barbiere e la moglie osservavano tristemente le sette giare.
“Bene, bene, non si può far nulla, credo!” disse il barbiere alla fine.
“Ma perché dovremmo tenerla mezza vuota, moglie?
Riempiamola, così sarà come le altre!”
“Riempirla?” disse sua moglie.

“Con cosa la riempiremo?”

“Come, con dell’oro, naturalmente!” rispose il barbiere.
“Dove troveremo abbastanza oro?” ella replicò.
“Bene, risparmieremo di più!” disse il marito.
“E inoltre ci sono i tuoi monili d’oro.
Potremo cominciare con quelli.
Chiederò all’orefice di fonderli nuovamente.
Così potremmo mettere l’oro nella giara.”
“Ma, marito,” ella obbiettò, “dicevi che volevi che sembrassi la moglie di un uomo ricco!”
“Sei una stupida!” replicò il barbiere.
“È vero che i ricchi danno alle loro moglie dei gioielli la indossare, ma questi non sono dei ricconi.
Quelli veramente ricchi tengono il loro oro in giare, proprio come queste.
Quando avremo sette orci pieni d’oro saremo ricchissimi!”
Il barbiere portò i gioielli della moglie dall’orefice.
Questi li fuse in lingotti ed il barbiere li ripose nella settima giara.
Tuttavia la giara non era completamente piena.
“Non spendere così tanti soldi, donna.” le diceva il barbiere.
“Mangiamo troppo.

Compra meno cibo.

Così risparmieremo più denaro!”
La coppia cominciò a mangiare sempre di meno.
Entrambi diventarono magri.
Il re si accorse che il suo barbiere era diventato molto magro e sembrava sempre preoccupato.
“Qual è il tuo problema, barbiere?” un giorno gli chiese il re.
“Perché in questi giorni sei sempre così triste?
Sei anche molto dimagrito.
Sei malato?”
“No, no, vostra maestà!” replicò il barbiere “Non sono malato.
Sono preoccupato per i soldi, ecco tutto!”
“Vedo,” rispose il re “ti servono più soldi?”
“Sì, ecco di cosa ho bisogno, più soldi!” disse il barbiere.
“Bene,” disse il re “ti raddoppio lo stipendio.
Va bene?”
“Oh sì, grazie Vostra maestà!” esclamo il barbiere con gioia.
“Adesso tutto andrà per il meglio.”
Il barbiere cominciò a risparmiare sempre più soldi.

Egli acquistò sempre nuovo oro, ma la giara non si riempiva mai.

“Compra meno cibo,” disse il barbiere alla moglie “come possiamo comprare più oro se spendi così tanto per mangiare?”
Il re notò che il barbiere continuava ad apparire triste e preoccupato.
“Barbiere,” esordì il re un giorno “ti ho raddoppiato lo stipendio ma tu sembri sempre preoccupato.
Diventi sempre più magro.
Qual è il motivo?”
Il barbiere non sapeva cosa dire.
Come poteva spiegare al re che voleva oro, sempre più oro, null’altro che oro?
Egli non aveva fatto parola a nessuno delle sette giare.
Improvvisamente il re parlò ancora.
“So cosa ti succede!” urlò il re.
“Sono le sette giare.
Hai ricevuto le sette giare, non è vero?”
Il barbiere rimase attonito.
“Come, come lo sapete, Vostra maestà?” gli chiese.

Il re rise.

“Lo so,” rispose “perché anche a me sono state offerte una volta.
Ho udito una voce in un albero che me le offriva.”
“Non le avete accettate, allora?” gli chiese l’uomo.
“Sì, le ho accettate,” rispose il re “ma mi sono accorto immediatamente che qualcosa non andava.
La voce mi offrì sette orci pieni d’oro, ma trovai che la settima era piena a metà!”
“È così,” esclamò il barbiere “la settima giara era mezza vuota!”
“Così tornai dalla voce nell’albero,” continuò il re “la settima giara è mezza vuota!” dissi.
“Va bene,” replicò la voce “la settima giara è sempre mezza vuota.”
“Cosa successe allora?” domandò il barbiere.
“Allora,” continuò il re “chiesi alla voce se l’oro poteva essere speso o conservato nei contenitori.”
“E cosa rispose?” chiese il barbiere ansiosamente.
“Non mi rispose nulla!” rispose il re, “Così andai a casa, mi sedetti a riflettere sulle giare!”
“Sì?” disse il barbiere.
“Improvvisamente,” continuò il re “capii cosa intendeva la voce quando diceva la settima giara è sempre mezza vuota.
Significava che per quanto mi impegnassi per riempirla, non sarebbe mai potuta essere colmata.
Compresi che mi era una trappola tesa, per farmi desiderare sempre più oro.
Fino a quando la giara non fosse stata riempita, non si sarebbe mai sopito il mio desiderio per l’oro.”
“Una trappola!” esclamò il barbiere.

“Sì,” continuò il re “era una trappola.

Ma lo compresi.
Non mi feci prendere al laccio.
La settima giara era la “giara del desiderio” e più ottieni l’oro che desideri, e più aumenta il tuo desiderio.”
“Come usciste dalla trappola?” chiese il barbiere.
“È stato molto semplice,” replicò il re, “andai ancora una volta all’albero e dissi alla voce: “Riprenditi le tue sette giare d’oro. Non le voglio!”
“E cosa successe?” chiese il barbiere.
“Bene!” disse la voce.” rispose il re.
“Le riprenderò indietro.” E quando tornai a casa, le giare erano sparite!”
“Così la settima giara non può essere riempita.” disse il barbiere, pensieroso.
“Ne siete veramente sicuro, Vostra maestà?”
“Su questo non ci sono dubbi!” replicò il re.
“Rendi quelle giare, barbiere, prima che sia troppo tardi.

Sei magro e malato.

Quale bene ti potrà venire da questo desiderio per sempre più oro?
Rendi quelle giare, ti dico, prima di incappare in problemi ancora più gravi.”
Il barbiere era molto spaventato dalle parole del re.
Corse ancora una volta dall’albero nella foresta e chiese alla voce di riprendersi le sette giare.
“Tutto bene, lo farò!” rispose la voce.
Quando il barbiere tornò a casa, le sette giare erano sparite.
E con quelle, naturalmente si era volatilizzato tutto l’oro che il barbiere aveva risparmiato… e anche tutti i gioielli di sua moglie!

Brano tratto dal libro “Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni.” di Anthony De Mello