Il gelato, il ragazzino e la cameriera

Il gelato, il ragazzino e la cameriera

Ai tempi in cui un gelato con sciroppo e frutta costava molto meno, un ragazzino di dieci anni entrò nel bar di un albergo e si sedette a un tavolo.
Una cameriera mise un bicchiere di acqua davanti a lui.
“Quanto costa un gelato con sciroppo e frutta?” chiese il ragazzino.

“50 centesimi.” replicò la cameriera.

Il ragazzino tirò fuori la mano dalla tasca ed esaminò il numero di monete che aveva.
“Quanto costa una porzione di gelato normale?” s’informò.
Alcune persone stavano cercando un tavolo e la cameriera era un po’ impaziente.
“35 centesimi.” disse bruscamente.

Il ragazzino contò ancora le monete.

“Prendo il gelato normale.” disse.
La cameriera portò il gelato, mise il conto sul tavolo e se ne andò.
Il ragazzo finì il gelato, pagò al cassiere e se ne andò.

Quando la cameriera ritornò,

iniziò a pulire il tavolo e rimase di stucco per quello che vide.
Accanto al piatto vuoto, messi ordinatamente, c’erano 15 centesimi, la sua mancia.

Brano tratto dal libro “L’importante è la Rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Quanto costa un biglietto?

Quanto costa un biglietto?

Un mattino, la segretaria stava vendendo i biglietti per l’ultima serata dello spettacolo allestito dalla scuola.
La sera prima avevano registrato il tutto esaurito.
La prima della fila di quel giorno era una madre.
“Penso che sia terribile dover pagare per vedere recitare mio figlio.” annunciò, estraendo il borsellino dalla borsa.
“La scuola chiede una donazione volontaria per contribuire alle spese per la scenografia e i costumi,” spiegò la segretaria, “ma nessuno deve pagare.
Lei può avere tutti i biglietti di cui ha bisogno!”
“Oh, pagherò!” borbottò, “Due adulti ed un bambino.”
E fece cadere un biglietto da dieci.

La segretaria le diede il resto.

In quel momento il ragazzo dietro di lei svuotò sul tavolo la tasca piena di monete.
“Quanti biglietti?” chiese la segretaria.
“Non mi servono i biglietti per vedere lo spettacolo stasera!” disse.
“Voglio solo pagare!” e spinse verso di lei le monete.
“Ma devi avere il biglietto per vedere lo spettacolo di stasera?” chiese la segretaria.
Il ragazzo scosse la testa: “L’ho già visto!”
La segretaria spinse indietro la pila di monetine.
“Se vuoi vedere lo spettacolo con la tua classe non devi pagare.” gli disse, “È gratis!”
“No!” insistette il ragazzo, “Io l’ho visto ieri sera.
Io e mio fratello siamo arrivati tardi.
Non abbiamo trovato nessuno per comprare i biglietti, così siamo entrati!”
Un sacco di gente in mezzo a quella folla era probabilmente entrata.
I pochi volontari presenti non potevano controllare che tutti avessero il biglietto.

Lui spinse nuovamente avanti il denaro:

“Pago adesso per ieri sera!”
Quel ragazzo e suo fratello dovevano essere rimasti in fondo.
Ed essendo arrivati quando il botteghino era già chiuso, probabilmente non avevano nemmeno visto tutto lo spettacolo.
Alla segretaria dispiaceva prendere quei soldi.
Una pila di monetine nelle mani di un ragazzino è di solito il risultato di paghette risparmiate con cura.
“Se il banco dei biglietti era chiuso quando siete arrivati, non potevate pagare!” argomentò allora.
“Questo è quello che ha detto mio fratello!” spiegò il ragazzino.
“Nessuno si accorgerà della differenza.” gli assicurò la segretaria, “Non preoccuparti!”
Pensando che la questione fosse chiusa, spinse di nuovo indietro le monete.

Lui pose la sua mano sulla sua:

“Io conosco la differenza!”
Per un istante le loro mani si unirono in silenzio al di sopra del mucchietto di monete.
Poi la segretaria disse:
“Due biglietti costano sei euro.”
Le monete vennero contate fino alla cifra corretta.
“Grazie!” dissero insieme.
Il ragazzino sorrise, si voltò e se ne andò.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La sosta in una tavola calda

La sosta in una tavola calda

Di ritorno da un viaggio, un uomo raccontò di un’esperienza che gli era parsa una parabola sulla vita.
Durante una breve sosta egli entrò in una tavola calda dall’aspetto pulito e ordinato.
C’erano minestre deliziose, spezzatini caldi e ogni genere di piatti invitanti.

Ordinò una minestra.

“Lei viaggia con quell’autobus?” gli domandò la proprietaria che era al banco.
L’uomo annuì.
“Allora niente minestra!” esclamò la proprietaria.
“Uno spezzatino ben caldo con riso bollito?” domandò l’uomo perplesso.

“No, se è di quell’autobus.

Posso darle un sandwich.
Ci ho messo tutta la mattina a preparare quei piatti e lei ha soltanto dieci minuti per mangiarli.
Non le permetterò di mangiare cibo che non ha il tempo di gustare!” spiegò la proprietaria.

Brano senza Autore

Attraversare il fiume

Attraversare il fiume

Tre persone si trovarono un giorno davanti ad un fiume dalle acque rapide e minacciose.
Tutte e tre dovevano passare dall’altra parte.

Era molto importante per loro.

Il primo, un mercante scaltro e gran trafficante, abile nel gestire uomini e cose, si inginocchiò e rivolse un pensiero a Dio:
“Signore, dammi il coraggio di buttarmi in queste acque minacciose e di attraversare il fiume.
Dall’altra parte mi attendono affari importanti.
Raddoppierò i miei guadagni, ma devo fare in fretta…”
Si alzò e, dopo un attimo di esitazione si tuffò nell’acqua.

Ma l’acqua lo trascinò a valle.

Il secondo, un soldato noto per l’integrità e la forza d’animo, si mise sull’attenti e pregò:
“Signore, dammi la forza di superare questo ostacolo.
Io vincerò il fiume, perché lottare per la vittoria è il mio motto!”
Si buttò senza tentennare, ma la corrente era più forte di lui e lo portò via.
La terza persona era una donna.

A casa l’attendevano marito e figli.

Anche lei si inginocchiò e pregò:
“Signore, aiutami, dammi il consiglio e la saggezza per attraversare questo fiume minaccioso!”
Si alzò e si accorse che poco lontano un pastore sorvegliava il gregge al pascolo.
“C’è un mezzo per attraversare questo fiume?” gli chiese la donna.
“A dieci minuti di qui, dietro quella duna, c’è un ponte!” rispose il pastore.

Brano di Bruno Ferrero

Il pastore e la gabbia arrugginita

Il pastore e la gabbia arrugginita

C’era una volta un uomo di nome George Thomas, che fu un pastore protestante e visse in un piccolo paese.
La mattina di una Domenica di Pasqua si recò in Chiesa, portando con sé una gabbia arrugginita.
La sistemò vicino al pulpito.
La gente rimase alquanto scioccata.
Il pastore se ne accorse e cominciò a parlare:
“Ieri stavo passeggiando quando vidi un ragazzo con questa gabbia.
Nella gabbia c’erano tre uccellini, tremavano dal freddo e per lo spavento.

Fermai il ragazzo e gli chiesi:

“Cos’hai lì, figliolo?”
“Tre vecchi uccelli!” fu la risposta.
“Cosa farai di loro?” chiesi
“Li porto a casa e mi divertirò con loro!” rispose il ragazzo che continuò a parlare, “Li stuzzicherò, strapperò le piume, cosi litigheranno.
Mi divertirò tantissimo!”
“Ma presto o tardi ti stancherai di loro.

Allora che cosa ne farai?”

chiese nuovamente il pastore.
“Oh, ho dei gatti…” disse il ragazzo, “A loro piacciono gli uccelli, li darò a loro.”
Il pastore rimase in silenzio per un momento…
Poi domandò:
“Quanto vuoi per questi uccelli, figliolo?”
“Cosa? Perché li vuoi, signore, sono uccelli di campo, niente di speciale.
Non cantano.
Non sono nemmeno belli!” replicò il ragazzo.
“Quanto?” chiese di nuovo il pastore.

Pensando fosse pazzo, il ragazzo disse:

“Dieci dollari!”
Presi allora dieci dollari dalla mia tasca e li misi in mano al ragazzo.
Come un fulmine il ragazzo sparì.
Dopo aver recuperato la gabbia con delicatezza andai in un campo dove c’erano alberi ed erba.
Aprii la gabbia e con gentilezza lasciai liberi gli uccellini.”
Non appena il pastore finì di parlare, tutti capirono il motivo della gabbia vuota accanto al pulpito.

Brano senza Autore.

L’aureola le sta troppo stretta

L’aureola le sta troppo stretta

Un uomo andò dal medico e gli disse:
“Dottore, ho un terribile mal di testa che non mi abbandona un istante.
Mi potrebbe dare qualche cosa per farmelo passare?”
“Certamente,” rispose il dottore, “ma prima ho bisogno di sapere da lei alcune cose!

Mi dica, beve molti liquori?”

“Liquori?” esclamò l’uomo indignato, “Non bevo mai quelle schifezze!”
“E fuma?” domandò il dottore.
“Trovo il fumo disgustoso!” replicò l’uomo, “Non ho mai toccato il tabacco in vita mia!”
“Sono un po’ imbarazzato nel farle questa domanda, ma… sa come sono certi uomini… le capita di avere qualche avventura notturna?” chiese ancora il dottore.

“Naturalmente no.

Per chi mi prende?
Vado a dormire tutte le sere alle dieci al massimo!” rispose l’uomo.
“Mi dica,” proseguì il dottore, “questo dolore che sente alla testa è come una fitta acuta e lancinante?”
“Sì!” esclamò l’uomo, “È proprio così, una fitta acuta e lancinante!”

“Molto semplice, mio caro signore!”

spiegò allora il dottore, “Il suo problema è che l’aureola le sta troppo stretta.
Non c’è che da allentarla un po’!”

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

Il più grande spadaccino

Il più grande spadaccino

Matajuro Yagyu era il figlio di un famoso spadaccino.
Suo padre, convinto che l’attitudine del figlio fosse troppo scarsa per fargli raggiungere la maestria, lo disconobbe.
Così Matajuro andò sul Monte Futara e la trovò il famoso spadaccino Banzo.
Ma Banzo confermò il giudizio del padre.
“Tu vuoi imparare a maneggiare la spada sotto la mia guida?” domandò Banzo, “Ti mancano i requisiti indispensabili!”
“Ma se lavoro sodo, quanti anni mi ci vorranno per diventare un maestro?” insistette il giovane.

“Il resto della tua vita!” rispose Banzo.

“Non posso aspettare tanto!” disse Matajuro, “Se accetti di darmi lezione, sono pronto a sottopormi a qualunque fatica.
Se divento il tuo devotissimo servo, quanto tempo ci vorrà?”
“Oh, dieci anni, forse!” disse Banzo addolcendosi.
“Mio padre si sta facendo vecchio e presto dovrò prendermi cura di lui!” continuò Matajuro, “Se lavoro ancora più assiduamente, quanto tempo mi ci vorrà?”
“Oh, forse trent’anni!” rispose Banzo.
“Ma come!” disse Matajuro, “Prima hai detto dieci anni, e ora trenta!

Accetterò qualunque privazione pur di imparare quest’arte nel tempo più breve!”

“Bè,” disse Banzo, “allora dovrai restare con me settant’anni.
Un uomo che ha tanta fretta di ottenere dei risultati raramente impara alla svelta!”
“E va bene!” dichiarò il giovane, comprendendo infine che gli si stava rimproverando la sua impazienza, “Accetto!”
Matajuro ebbe l’ordine di non parlare mai di scherma e di non toccare mai una spada.
Cucinava per il suo maestro, lavava i piatti, gli rifaceva il letto, puliva il cortile, curava il giardino, tutto senza che si parlasse mai di scherma.
Passarono tre anni.
Matajuro continuava a lavorare.

Pensando al proprio avvenire era triste.

Non aveva ancora cominciato a imparare l’arte alla quale aveva votato la propria vita.
Ma un giorno Banzo scivolò alle sue spalle e gli diede un colpo terribile con una spada di legno.
L’indomani, mentre Matajuro stava cucinando del riso, Banzo tutt’a un tratto gli saltò di nuovo addosso.
Da allora, giorno e notte, Matajuro dovette difendersi dagli assalti inaspettati.
Non c’era giorno, non c’era momento che non dovesse pensare al sapore della spada di Banzo.
Imparò così in fretta che la faccia del suo maestro era raggiante di sorrisi.
Matajuro divenne il più grande spadaccino del paese.

Storia Zen.
Brano tratto dal libro “101 storie zen.”