ricorda che Van Gogh ha iniziato a dipingere a 28 anni ed è morto a 37 anni.
In breve tempo ha realizzato più di 900 dipinti e 1100 disegni.
Questo non è per dire che siamo tutti Van Gogh, ma per ricordarti che non è mai troppo tardi per iniziare.
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La matematica ed i numeri binari
La matematica ed i numeri binari
Alberto, uno studente al primo anno del liceo scientifico, un giorno rientrò a casa con un due in matematica.
La madre si accorse del pessimo risultato e chiese, allarmata, spiegazioni.
Alberto fu pronto a giustificarsi e argomentò:
“Il professore di matematica si è un po’ distratto e deve aver usato, per la mia valutazione, il sistema binario, dove il dieci è rappresentato dal due.
Tu sei ancora legata, romanticamente, al dieci della smorfia napoletana, che vuol dire soldi sognati!”
La madre, che spiccava per intelligenza pur essendo una casalinga, lo prese in contropiede e replicò:
“A proposito di soldi, per questa volta ti consiglio di non dire niente a tuo padre dello stupefacente voto che hai preso in matematica, poiché anche lui userebbe il sistema numerico binario e, pur essendo un operaio a cottimo, ti darebbe due euro al posto di dieci!”
Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno
Il contadino che vendette la mucca a Sant’Antonio
Il contadino che vendette la mucca a Sant’Antonio
C’era una volta un contadino proprio scemo, che aveva una moglie intelligente.
Era lei a portare avanti la casa, comprava e vendeva, organizzava il lavoro nella fattoria e si preoccupava che tutto procedesse sempre al meglio.
Un bel giorno, però, si fece male ad un piede, tanto da non riuscire a camminare, e dovette rimanere a casa.
Proprio in quei giorni doveva essere venduta una mucca e, per questa ragione, fu il contadino a dover portare la mucca al mercato.
La moglie lo aveva ammonito di non vendere la mucca al di sotto di 160 fiorini e di guardarsi dai compratori che parlavano troppo.
Infatti questi non avrebbero certamente comprato nulla.
Le occorreva il denaro per l’affitto, altrimenti avrebbe rimandato volentieri l’affare, poiché non credeva che il suo stupido marito fosse capace di portare a buon termine la vendita.
Al mercato molti compratori cercarono di convincere il contadino.
Egli si ricordò di sua moglie e non diede la mucca a nessuno.
Così dovette riportare la sua mucca di nuovo a casa.
Aveva già paura che la moglie gli dicesse che era scemo.
Cammin facendo arrivò in un villaggio, ad una chiesa che era aperta:
“Insomma,” pensò, “darò un’occhiata qui dentro; forse ci trovo un compratore!”
Proprio in quel giorno aveva avuto luogo un pellegrinaggio per sant’Antonio, la cui statua si trovava nella chiesa, e per questo la porta della chiesa era ancora aperta.
Era, però, già così tardi che non vi era più nessuno in chiesa.
Il contadinotto entrò con la sua mucca e legò la bestia ad un banco.
Lui andò più avanti, perché aveva notato uno che stava lì in piedi e non diceva una parola, cioè la statua di sant’Antonio.
Poiché Antonio era rappresentato insieme ad un maiale, il contadino lo prese per un porcaro.
Che se ne stesse così zitto, gli parve buona cosa.
Ad un certo punto iniziò lui a parlare con la statua.
Gli offrì la sua mucca.
Però, dato che Antonio non rispondeva proprio, si arrabbiò e lo colpì con il proprio bastone.
In quel preciso istante, di fronte ai piedi di Hannes, cadde un sacco di denaro:
“Beh,” disse, “sapevo che volevi comprare la mia mucca.
Se avessi aperto la bocca, non ti avrei picchiato!”
Contento raccolse il denaro, lasciò la chiesa e tornò a casa.
Rientrato a casa, lanciò il denaro alla moglie contento.
Da quel momento in poi, lei non avrebbe più potuto dire che fosse uno scemo.
La moglie si meravigliò poiché il denaro era molto.
Hannes le raccontò solamente di aver venduto la mucca ad un porcaro, il quale aveva gettato la borsa del denaro ai suoi piedi, senza nemmeno mercanteggiare.
Dopo che Hannes ebbe lasciato la chiesa, arrivò il sagrestano per chiudere le porte.
Vide la mucca legata e notò che tutti i suoi risparmi, nascosti dentro la statua di sant’Antonio, erano spariti.
Chiamò il parroco e gli raccontò della sua sciagura.
Aveva messo al sicuro da sua moglie il denaro dentro la statua di Antonio; la moglie, altrimenti, l’avrebbe speso a larghe mani.
Il parroco disse che doveva prendere la mucca e dire alla moglie che era un suo regalo.
Il sagrestano tornò a casa con la mucca e la moglie si meravigliò molto per un regalo così grande, dato che il parroco era parsimonioso e, inoltre, che non aveva grandi possibilità.
Il sagrestano, però, le tolse ogni dubbio dicendole di chiedere lei stessa al parroco.
La mucca, quindi, finì nella stalla, la donna se ne rallegrò e l’accudì bene.
Il lavoro le divenne poco a poco divertente e, invece della solita chiacchierata di fronte ad una tazza di caffè o al correre da una vicina all’altra, era continuamente indaffarata con la mucca.
La mucca dava molto latte, poiché era una bella bestia e la donna, che prima spendeva il denaro con leggerezza, divenne parsimoniosa, quando vide come fosse difficile guadagnare qualcosa.
In questo modo aveva presto messo da parte abbastanza denaro per comprare una seconda mucca.
Più tardi comprarono anche un pezzo di terra e oggi il sagrestano è un benestante con una stalla piena di bestiame e molta terra.
Anche la fattoria di Hannes andò in seguito bene, poiché sua moglie ebbe a disposizione più denaro.
Da quel momento non osò più rimproverarlo di essere scemo, anche se lui non era meno fannullone di prima.
Brano senza Autore
Il filo d’oro
Il filo d’oro
Massimo era un ragazzino davvero strano:
gli piaceva tantissimo sognare ad occhi aperti.
Soprattutto a scuola, quando la lezione non gli interessava molto.
Il maestro, che lo considerava intelligente ma svogliato, gli chiese un giorno, un po’ seccato:
“A cosa stai pensando, Massimo?
Perché non stai attento?”
“Sto cercando di immaginare cosa farò da grande!” rispose il ragazzino.
“Oh, non è una bella cosa!” replicò il maestro, “Cerca di godere quest’età meravigliosa e spensierata e spera che gli anni della giovinezza scorrano lentamente!”
Massimo non riusciva a capire le parole del maestro.
A lui non piaceva aspettare.
Infatti, quando era inverno e pattinava sul ghiaccio, non vedeva l’ora che arrivasse l’estate per poter nuotare; quando poi arrivava la tanto sospirata estate, desiderava l’autunno per poter giocare con il suo aquilone sul grande prato dei giardini pubblici.
Insomma, se qualcuno chiedeva a Massimo quale fosse la cosa che più desiderasse al mondo, riceveva una risposta ben precisa:
“Io vorrei che il tempo passasse in fretta…”
Un giorno d’estate, Massimo si fermò a riposare dopo una corsa sulla panchina del parco.
All’improvviso si sentì chiamare:
si voltò di scatto e vide una vecchietta che lo osservava con dolcezza.
La vecchietta mostrò al ragazzo una scatoletta d’argento con un forellino da cui usciva un filo d’oro e gli disse:
“Guarda, Massimo.
Questo filo sottile è il filo della tua vita.
Se proprio desideri che il tempo per te trascorra velocemente, non devi far altro che tirare un po’ il filo.
Un piccolissimo pezzo di filo corrisponde ad un’ora di vita.
Soltanto, ricordati di non dire a nessuno che possiedi questa scatoletta, altrimenti morirai il giorno stesso!
Tienila, e buona fortuna!”
La vecchietta consegnò al ragazzo la scatoletta e scomparve.
Massimo, tornò a casa, saltellando, con la scatoletta in tasca.
Il giorno dopo, a scuola, il maestro si accorse che Massimo era più distratto del solito e gli fece una bella lavata di capo:
“Ecco!
Sei sempre con la testa fra le nuvole!
Finirai bocciato, te lo posso garantire, se continui così…”
Massimo era veramente stanco di sentir predicozzi e pensò di usare il filo per accorciare le giornate di scuola.
In pratica quasi ogni mattina, tirava un pezzettino di filo e così, appena entrato in classe, sentiva la voce del maestro che diceva:
“Le lezioni sono finite.
Potete andare a casa!”
Il ragazzo era felicissimo:
la vita era un susseguirsi di giornate di vacanza e di giochi all’aria aperta.
Trascorsi un po’ di giorni, però, Massimo cominciò ad annoiarsi e pensò:
“Oh, come sarebbe bello aver già finito la scuola e poter lavorare!”
Una notte in cui non riusciva ad addormentarsi, Massimo decise di dare una bella tiratina al filo e così, la mattina seguente, si svegliò che aveva i baffi, faceva l’ingegnere e aveva messo su una bella fabbrica.
Era molto felice del suo mestiere e per un po’ tirò il filo con moderazione, giusto solo per far arrivare in fretta i soldi a fine mese.
Un giorno, però, un particolare turbò Massimo per un momento:
la sua mamma era invecchiata, aveva già molti capelli grigi.
Si pentì di aver tirato così spesso il filo magico e promise a se stesso che, ora che era grande, non l’avrebbe fatto più.
“Sembra anche a te che tutto sia passato in un soffio?” gli chiedeva la mamma.
Massimo non poteva rispondere e si sentiva molto triste.
Un giorno che sonnecchiava nel parco, sulla solita panchina, il vecchio Massimo si sentì chiamare.
Aprì gli occhi e vide la vecchina che, tanti e tanti anni prima, gli aveva regalato la scatoletta con il filo magico.
“Allora Massimo, com’è andata?
Il filo magico ti ha procurato una vita felice, secondo i tuoi desideri?” gli chiese.
“Non saprei…
Grazie a quel filo non ho mai dovuto attendere o soffrire troppo nella mia vita, ma ora mi accorgo che è passato tutto così in fretta ed eccomi qui, vecchio e debole…” spiegò lui.
“Ah, sì?” disse la vecchina, “E che cosa vorresti, allora?”
“Vorrei tornare ragazzino!” esclamò disse Massimo con un po’ di vergogna, “E poter rivivere la mia vita senza il filo magico.
Vivere come tutte le altre persone e accettare tutto quello che la vita mi riserva, senza più essere impaziente!”
“Lo desideri davvero?” domandò allora l’anziana signora.
“Sì!” disse Massimo senza esitare un attimo, “Quello che ho passato in questi anni mi è servito di lezione e sono sicuro che non ricadrei più negli stessi errori!”
“Se è così, sono davvero felice.
Vedrai che ora gusterai di più la vita e sarai in grado di apprezzarne anche i momenti di fatica e di sconforto che senz’altro incontrerai nel tuo cammino.
Ora non ti resta che restituirmi la scatoletta e…
Buona fortuna, Massimo!”
Appena Massimo pose nella mano della vecchina la scatoletta, cadde in un sonno profondo.
“Ehi, dormiglione!
Sveglia!”
Massimo aprì gli occhi e si trovò nel suo letto, con la mamma (giovane e bella) che lo guardava dolcemente.
Corse allo specchio e vide il suo solito volto paffuto da ragazzino.
Baciò e abbracciò la mamma come fossero cent’anni che non la vedeva più.
Si lavò e si vestì in un baleno, mangiò la colazione come un fulmine e partì per la scuola.
Per la strada incontrò Marta, che era anche lei la solita bambina bionda.
La prese per mano e mentre correvano sul marciapiede le disse:
“Ho un sacco di cose da raccontarti…
Ma tu lo sapevi che la nostra età è la più bella?”
Brano senza Autore
La ragazza ed il parasole
La ragazza ed il parasole
Min-Hi era una graziosa e simpatica cinesina di dodici anni che viveva con la mamma e il papà in un villaggio al margine della foresta.
Il compleanno di Min-Hi coincideva con la stagione calda, quando il sole scottava e la gente andava in cerca di ombra.
Perciò, per il suo compleanno, ricevette in regalo un bel parasole.
“Posso andare a fare una passeggiata col mio nuovo parasole?” chiese alla mamma.
“Va bene, stai attenta però, e torna presto!” rispose la mamma.
Min-Hi stava camminando sul ciglio di una risaia, quando vide un enorme gorilla dondolarsi su un albero con le braccia penzoloni.
“Povera me!
Non mi resta che nascondermi dietro il mio parasole e aspettare che mi acchiappi!” pensò Min-Hi.
E, tremando tutta, si rincantucciò dietro il parasole.
Ma non accadde niente… proprio niente!
Quando fece capolino, tutto era tranquillo e non c’era traccia del gorilla!
Non aveva fatto molta strada, quando intravide una grande ombra aggirarsi minacciosa fra i cespugli.
Era un’enorme tigre che puntava silenziosamente verso di lei.
“Oh, povera me!
Non mi resta che nascondermi dietro il mio parasole e aspettare che mi acchiappi!” pensò sgomenta.
E, tremando tutta, si accoccolò dietro il parasole.
Ma non successe nulla… decisamente nulla.
Quando fece capolino, tutto era tranquillo e non c’era traccia di tigre.
Non era andata molto più lontano quando un’ombra nera sulla sua testa la fece guardare in alto.
Su di lei stava calando un grosso uccello dalle enormi ali spiegate, con un becco adunco e gli unghioni affilati.
“Oh, povera me!
Non mi resta che nascondermi sotto il mio parasole e aspettare che mi acchiappi!” pensò terrorizzata.
E tremando tutta si fece piccola sotto il parasole.
Ma non successe nulla… assolutamente nulla.
Quando fece capolino, tutto era tranquillo e non c’era traccia dell’aquila.
Tornata a casa, Min-Hi raccontò alla mamma le sue tremende avventure.
“Ma hai guardato cosa c’è sul tuo parasole?” le chiese la mamma.
Min-Hi lo aprì e fece un salto per lo spavento!
Dipinto sopra il parasole c’era un drago coloratissimo e terrificante, con enormi artigli e narici fiammeggianti.
“Hai visto?” le disse la mamma, “Contro il potentissimo drago non c’è gorilla, tigre o rapace che tenga!”
Ed aggiunse:
“Il tuo parasole, farai bene a portarlo sempre con te!”
E, da quel giorno, Min-Hi non se lo fece certo dire due volte.
Brano tratto dal libro “Altre storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
Il segreto del cacciatore
Il segreto del cacciatore
In un villaggio dell’Africa, c’era una volta un giovane cacciatore.
Un giorno s’inoltrò nella foresta.
Seguiva ormai da molte ore le tracce di un leone.
Camminava guardingo, pronto a scagliare la lancia:
doveva essere un leone enorme, a giudicare dalle impronte che lasciava.
Improvvisamente udì uno schianto secco di rami, mentre risuonava un rabbioso ruggito.
La giungla piombò in un silenzio terrorizzato.
Il giovane attendeva, fermo…
Ma dal fitto della giungla uscì una bellissima fanciulla.
Il giovane, come emergendo da un incubo, sorrise.
Tra i due fiorì subito una grande simpatia.
Il giovane, però, non sapeva una cosa importante:
quella ragazza non era altri che il più feroce leone della foresta, il re dei leoni, che aveva il potere di trasformarsi in quello che voleva.
Qualche giorno dopo la ragazza andò al villaggio a trovare il giovane.
Conversarono allegramente, come avessero tante cose da dirsi.
A un tratto, facendosi seria, la ragazza si interruppe e chiese:
“Come fai a dare la caccia ai leoni, senza aver paura di venire sbranato?”
Lui sorrise, poi le confidò che era un segreto, proprio un segreto che lui aveva:
poteva trasformarsi in albero, in fiore, in roccia, in a…
In quel momento s’affacciò all’uscio della capanna sua madre, che gli fece un cenno, come per dirgli:
“Non dire tutto a chi non conosci bene!”
Il sole era vicino al tramonto e il giovane cacciatore si offrì di accompagnare a casa la sua nuova amica.
La strada lasciava il villaggio e si inoltrava subito nella foresta.
Dopo un po’ la ragazza chiese:
“Conosci questo posto?”
“Oh sì, ci venivo a giocare da bambino!” rispose il ragazzo.
Camminarono ancora per un lungo tratto.
“Conosci questo posto?” chiese di nuovo la ragazza.
“Vedi quel gruppo di banani laggiù?
Vengo spesso fin qui!” replicò lui.
Proseguirono in silenzio.
“E questo posto lo conosci?” domandò ancora la ragazza.
“Sì, mi pare di sì.
Ci sono venuto con mio padre!” spiegò il ragazzo.
Ripresero a camminare.
Il sole ormai era quasi al tramonto e la foresta diventava sempre più nera.
“E questo lo conosci?” lo interrogò lei.
Il giovane si guardò attorno a lungo, poi si volse verso la ragazza per dire che no, quel posto non lo conosceva…
Ma di fronte a lui c’era un leone enorme pronto a saltargli addosso e stritolarlo con le possenti zanne.
Immediatamente il giovane si trasformò in albero; ma anche il leone si trasformò in albero.
Divenne un fiore; anche il leone si mutò in fiore.
Allora divenne roccia; il leone a sua volta si trasformò in roccia.
Il giovane divenne a…
Il leone si fermò.
Non vedeva più il cacciatore.
Non capiva.
Non sapeva più nulla del segreto del cacciatore.
Ebbe paura.
A grandi balzi, ruggendo di rabbia, scomparve nella foresta.
Il giovane ritornò a casa di corsa e, ancora ansimando, raccontò tutto a sua madre.
“Hai visto?” disse la madre, “Non si racconta tutto a chi non si conosce!”
Brano di Bruno Ferrrero
Pensa a tutti quegli anni che sono trascorsi senza conoscerci! (Emanuele e la mamma)
Pensa a tutti quegli anni che sono trascorsi senza conoscerci! (Emanuele e la mamma)
La nascita di Emanuele, un bimbo bello e sano, fu un avvenimento da festeggiare!
La mamma aveva già due figlie grandi che frequentavano le superiori.
Anzi, man mano che il tempo passava,
sembrava che ogni giorno ci fosse un motivo per festeggiare il prezioso dono che era arrivato con la nascita di Emanuele.
Era un bambino dolce, giudizioso, amava divertirsi ed era un piacere averlo vicino!
Un giorno, quando Emanuele aveva circa cinque anni, insieme con la mamma stavano andando in auto al centro commerciale.
Come succede di solito con i bambini, all’improvviso Emanuele chiese:
“Mamma, quanti anni avevi quando sono nato?”
“Trentasei, Emanuele!
Perché?” gli domandò la mamma, cercando di capire cosa avesse in mente.
“Che peccato!” esclamò Emanuele.
“Cosa vuoi dire?” chiese allora la mamma, alquanto sorpresa.
Guardandola, con uno sguardo pieno d’amore, Emanuele le disse:
“Pensa a tutti quegli anni che sono trascorsi senza conoscerci!”
Brano senza Autore
Dire grazie (Madre e figlio)
Dire grazie (Madre e figlio)
Confessione di un figlio, al di sopra di ogni sospetto…
“Ieri sono stato a mangiare in un ristorante!
Un pranzo passabile, ma che prezzi!
Ci serviva una cameriera, né bella, né gentile…
In tutto il pranzo le avrò detto cento volte:
“Grazie!”
Lei neanche ci faceva caso e aveva ragione:
è pagata per fare quel lavoro!
Oggi, mia madre, come sempre, si è alzata per prendermi un bicchiere d’acqua…
Non so come, mi è sfuggito un:
“Grazie!”
Non l’avevo mai fatto!
Mia madre si è messa seduta e mi è sembrato che, quasi, piangesse…
Conclusione:
per far piangere mia madre basta poco;
basta dire un “Grazie!” ogni tredici anni!”
Confessione di una madre, piena di sospetti…
“Oggi, mio figlio mi ha detto: “Grazie!”
Ho pianto…
Che scema!
Spero non se ne sia accorto:
altrimenti non me lo dice più per non farmi piangere…
Se, invece, si fosse accorto che io, “la madre”, sono Lucia, che ho quarant’anni, che spesso sono stanca, che a volte mi sento sola, che spesso desidero parlare, uscire, che a volte sto male…”
Conclusione:
“Se volete imparare la crescita, il progresso personale e la dignità, per incominciare non c’è un posto migliore della vostra famiglia!”
Brano senza Autore
Che cosa sai dell’amicizia?
Che cosa sai dell’amicizia?
Un uomo decise un giorno:
“Voglio conoscere tutto e, se fosse necessario, farò il giro del mondo!”
Così disse e così fece.
L’uomo si mise a percorrere il mondo.
Dai più grandi professori imparò la geografia, la storia e l’intera gamma delle scienze.
Scoprì la tecnica, si entusiasmò per la matematica, si appassionò all’informatica.
Registrò su video, dischetti e Cd tutto quello che aveva imparato e scoperto.
Ritornò a casa soddisfatto e felice.
Diceva:
“Ora, conosco tutto!”
Qualche giorno dopo, fece visita ad un famoso personaggio, conosciuto in tutto il mondo per la sua straordinaria sapienza.
L’uomo voleva confrontare il suo sapere con quello del saggio.
Tirarono a sorte per sapere quale dei due avrebbe dovuto porre la prima domanda.
La sorte designò il grande saggio, il quale si rivolse all’uomo e gli domandò:
“Che cosa sai dell’amicizia?”
L’uomo ripartì, senza dire una parola.
Oggi sta ancora percorrendo il mondo.