100 punti per il paradiso

100 (Cento) punti per il paradiso

Una buona cristiana si presentò alla porta del Cielo.
Era tutta intimorita.
San Pietro la ricevette cordialmente.
Cercò di rassicurarla, ma le disse serio:
“Per entrare in Paradiso, ci vogliono cento punti!”

La brava donna cominciò a elencare:

“Sono stata fedele a mio marito per tutta la vita.
Ho educato cristianamente i miei figli; non ci sono riuscita tanto, ma ho fatto tutto quel che ho potuto.
Sono stata catechista per ventidue anni.
Ho fatto volontariato per le Missioni e ho dato una mano alla Caritas.
Ho cercato sempre di sopportare le persone che mi stavano accanto, soprattutto il parroco e i miei vicini di casa…”
Quando si fermò a tirare il fiato, San Pietro le disse:
“Due punti e mezzo.”
Per la donna fu un pugno nello stomaco.

Allora riprovò:

“E… Ah sì!
Ho assistito i miei vecchi genitori.
Ho perdonato a mia sorella che mi faceva la guerra per via dell’eredità … e… Ecco!
Non ho mai saltato una Messa la domenica, eccetto che per la nascita dei miei figli.
Ho anche partecipato a dei ritiri e alle conferenze quaresimali…
Ho recitato sempre le preghiere…
E il rosario nel mese di maggio…”
San Pietro le disse:
“Siamo a tre punti.”
La donna si demoralizzò.
Come poteva arrivare a cento punti?
Aveva detto l’essenziale e le riusciva difficile trovare ancora qualcosa.

Con le lacrime agli occhi e la voce tremante, disse:

“Se è così, posso contare solo sulla misericordia di Dio!”
“Cento punti!
Prego, si accomodi, la stavamo aspettando!” esclamò San Pietro…
Anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, poiché so quanto egli ami il figliol prodigo che ritorna a lui.

Brano di Santa Teresa di Lisieux

Il lustrascarpe

Il lustrascarpe

In Scozia, nella città di Glasgow, c’era un lustrascarpe di nome Jack.
Un giorno questo ragazzo pensò che avrebbe potuto fare qualcosa di meglio nella vita e decise di diventare commesso in un elegante negozio della città.
Senza perdere tempo, Jack andò a presentarsi sul posto e chiese di parlare con il capo del personale.
Questi diede una rapida occhiata al ragazzo, lo vide a piedi nudi e gli disse:
“Per poter lavorare qui dovresti almeno avere un paio di scarpe.”

Senza dire una parola il lustrascarpe se ne andò.

Ritornò al suo posto all’angolo della strada e continuò a lavorare per giorni e giorni fino a che non riuscì a guadagnare abbastanza per comprarsi un discreto paio di scarpe.
Allora, tutto contento, corse al negozio e si presentò al capo del personale.
Questi, un po’ sorpreso della visita di Jack, ascoltò la richiesta del ragazzo e poi osservò:
“Non hai nemmeno un vestito decente; non puoi lavorare per noi con quegli stracci addosso!”
Anche questa volta Jack se ne andò senza fiatare e ritornò al suo vecchio lavoro.
Ce la mise tutta, risparmiò ogni centesimo e, dopo alcuni mesi, ecco che poté comprarsi il vestito necessario.
Ora, abito indosso e scarpe ai piedi, viso e mani pulite, Jack si presentò per la terza volta al capo del personale.
Egli lo guardò con interesse e simpatia.
“Bene,” gli disse, “riempi questo modulo!”

Triste e sconsolato Jack mormorò:

“Non so scrivere!”
“Mi dispiace davvero,” ribatté il capo del personale, “ma non puoi essere assunto se non sai né leggere né scrivere!”
Deluso, ma non scoraggiato, Jack ringraziò e andò via.
L’essersi procurato un paio di scarpe e un vestito sviluppò in lui rispetto per se stesso e l’ambizione di potere riuscire nel suo intento di fare qualcosa di meglio del lustrascarpe.
Allora trovò un lavoro diverso.
Si iscrisse a una scuola serale.
Dedicò tutto il tempo libero a studiare con successo altre materie e, nel giro di due anni, eccolo in grado di ripresentarsi al grande negozio, dove venne subito assunto.

“Mi sa che un giorno quel ragazzo prenderà il mio posto!”

disse fra sé il capo del personale.
Questa non è una storia inventata, ma un fatto veramente accaduto tanti anni fa.
Jack era deciso a raggiungere il suo scopo e si impegnò con tutta la sua abilità.
Era un ragazzo pieno di buona volontà, paziente, perseverante ed anche gentile e ben educato.
Sul lavoro intuiva ciò che si doveva fare e lo faceva senza aspettare che glielo chiedessero.
Dopo pochi anni, Jack divenne non solo capo del personale ma socio e azionista del negozio.

Brano tratto dal libro “Incontri con Gesù.” di Fiorella Carelli Ferraro

Il principe senza fiaba

Il principe senza fiaba

C’era una volta un principe senza fiaba, che vagava disperato nel paese delle fiabe, alla ricerca di una storia dove poter fare la sua comparsa anche lui.
Non era facile, però: la Bella Addormentata aveva già il suo principe e così Biancaneve, Cenerentola, Pelle d’ Asino, la Sirenetta… c’ erano fin troppi principi nel paese delle fiabe.
Allora tentò il tutto per tutto:
salì sul suo cavallo magico e volò fino sulla terra, per ascoltare le fiabe che le mamme narravano ai loro bambini, sperando di trovarne una adatta per lui.
Tutto inutile!
Non solo erano sempre le stesse fiabe, ma erano sempre più piene di principi e re e magari si trattava di principi coraggiosissimi, capaci di combattere draghi spaventosi e tutto il resto!
Sconsolato, una sera si fermò vicino ad una stanzetta con la luce fioca, dove una mamma e il suo bambino stavano soli in silenzio.
La mamma veramente non era proprio in silenzio: piangeva piano e ogni tanto provava a dire qualche parola, ma non le riusciva di raccontare nessuna fiaba, perché il bambino era tanto malato e la mamma, sempre più triste, non poteva ricordare più nulla.

“Quanto sono stupido, a preoccuparmi tanto per una fiaba!” pensò il principe.

“Questa mamma ha motivi di tristezza assai più seri dei miei… se posso, proverò ad aiutarla.”
Per tranquillizzarla un po’, prese un pizzico di polverina del sonno e gliela passò sugli occhi… non appena la mamma li ebbe chiusi, si avvicinò alla culla e prese in braccio il bimbo.
“Vuoi venire con me, e volare con il mio cavallo magico?” chiese gentilmente.
“Ehh, Guh!” rispose il bimbo contento e partirono insieme.
Volarono su, fin nel cielo più alto, fino dalle stelle e tutte le stelline che incontravano li salutavano allegre.
“Che bel bambino!” dicevano le stelle.
“E’ il bambino più bello che abbiamo mai visto!

Posso prenderlo in braccio?”

Il principe rise e lasciò che la stellina più giovane prendesse in braccio il bimbo e subito tutte le altre furono lì attorno a ridere e a scherzare, perché le stelle sono sempre molto allegre e trovavano il principe molto carino e simpatico e il suo cavallo doveva essere certo il più veloce del cielo.
“Cos’è tutto questo chiasso?” esclamò d’improvviso la Luna, illuminando la notte con il suo faccione tondo e vide il bimbo che giocava in mezzo alle stelline, ridendo come loro.
“Via tutte, sciocchine!” s’arrabbiò la Luna.
“I bambini così piccoli a quest’ ora devono dormire: ci penserò io.”
E tutto d’un tratto, da quella grassona che era, si fece bellissima e sottile come una modella e con la forma giusta per prendere in braccio il bimbo e cullarlo dolcemente, mentre le stelline in coro intonavano la ninna nanna.
Era un coro così dolce che il bambino s’addormentò subito e s’addormentarono anche il principe ed il suo cavallo magico; dormivano così profondamente che si accorsero appena del rumore che fece il sole, sbadigliando per alzarsi: se ne accorsero invece le stelline, che subito presero a strillare:

“Il sole, il sole!

Scappiamo, abbiamo fatto tardi!”
“Sempre così, queste monelle!” brontolò la Luna.
“Cantano e ballano e non pensano mai a niente.
Per fortuna ci sono qua io: presto, bel principe, il piccino deve tornare a casa prima che la mamma si svegli.”
“Sì, signora Luna.” rispose il principe, con un inchino, perché, essendo un principe, era molto educato.
Riprese il bimbo e, veloce più del vento, lo riportò sulla terra, dove lo mise nella culla un istante prima che la mamma aprisse gli occhi.
“Ehe ! Ahh, Ohh!” disse il bimbo, per raccontare alla mamma dov’era stata quella notte, ma la mamma non l’ascoltò neppure.

“Piccolo mio, stai bene!” gridò tutta contenta, “Sei guarito, finalmente!”

Lo prese in braccio, lo riempì di baci e cominciò a cantare.
Il principe strizzò l’occhio al suo cavallo:
“Qualche bacetto spetterebbe anche a noi.
Questa mamma è proprio carina.”
“Andiamo a riposare!” lo esortò il cavallo magico, “Ci siamo stancati anche troppo.”
“Va bene, va bene,” acconsentì il principe, “ma questa sera torniamo, per aiutare un’ altra mamma con un bambino malato:
c’è più soddisfazione che a cercare una fiaba vuota.”
Il cavallo magico nitrì energicamente, per far capire che era d’accordo; e quella sera trovarono un bambino ancora più malato, e lo portarono sul fondo del mare, dove i cavallucci marini si misero in cerchio a fare la giostra solo per lui, mentre le ostriche e i granchi suonavano la musica con i loro gusci.
Da quella volta, il principe senza fiaba continua a tornare sulla terra, per portare i bimbi malati nei posti più belli del mondo delle fiabe; ed i bambini sono così contenti che quando tornano sono guariti, e non si ammalano più.

Brano senza Autore

Posso portare il mio cane?


Posso portare il mio cane?

Un signore scrisse una lettera a un piccolo albergo in una cittadina che prevedeva di visitare durante le vacanze.
Scrisse:
“Mi piacerebbe portare con me il mio cane.

È pulito e ben educato.

Mi consentireste di tenerlo nella mia camera durante la notte?”
Immediata giunse la risposta del titolare dell’albergo che disse:

“Gestisco questo albergo da molti anni.

In tutto questo tempo non ho mai visto nessun cane rubare asciugamani, coperte o argenteria o quadri appesi alla parete.
Non ho mai dovuto cacciar via un cane in piena notte per ubriachezza molesta.

E non ho mai visto un cane andarsene senza pagare.

Sì, effettivamente il Suo cane è il benvenuto, nel mio albergo.
E se il Suo cane garantisce per Lei, anche Lei sarà il benvenuto.”

Brano di Kark Albrech