La campana d’argento


La campana d’argento

C’era una volta una magnifica cattedrale simbolo di una grande città.
Su di essa svettava un superbo campanile, orgoglio di tutti gli abitanti.
Tuttavia l’opera era incompiuta.
Il campanile era muto: mancava la campana.
Il vescovo decise di dotare il campanile di una campana degna dell’immagine della cattedrale:
lanciò a tutta la città un invito per raccogliere oggetti d’argento, da far fondere, per realizzare con il contributo di tutti una campana d’argento.

Cominciarono ad arrivare oggetti e monili d’argento.

Un giorno da Don Enrico, incaricato dal vescovo di raccogliere le oblazioni, arrivò una povera vedova.
Ella consegnò timidamente un centesimo d’argento, che era tutto quello che possedeva.
Il prete prese la moneta con piglio sprezzante e appena la donna lasciò la stanza, lanciò la moneta fuori dalla finestra, nel giardino sottostante:
“Un centesimo…
Va bene solo per i mendicanti!
A cosa può servire per una grande opera come la nostra campana?”
Dopo poche settimane venne raccolto molto argento:
venne fuso e venne realizzata una campana stupenda.
Era un’opera d’arte, una meraviglia che ogni esperto giudicò perfetta.

Nel giorno di Pasqua, la maestosa campana d’argento fu benedetta, innalzata sul campanile e inaugurata.

Fu il vescovo ad avere l’onore di dare il primo rintocco della nuova campana.
La campana d’argento però emise soltanto un gemito pietoso, un suono pessimo, sordo che durò inoltre pochissimo.
Dopo il clamoroso insuccesso tecnici ed esperti intervennero per analizzare l’opera:
nessuno riusciva a spiegare il perché.
Il vescovo pregò Dio di mostrargli la causa di tale fallimento.
Una notte, in sogno, un angelo gli rivelò quello che il suo incaricato aveva fatto con l’offerta della povera vedova.
Allora il vescovo cercò immediatamente Don Enrico, incaricato alla raccolta delle offerte, e gli chiese spiegazioni.
Entrambi andarono allora in giardino e insieme, inginocchiati nell’erba e fra i cespugli, cercarono e cercarono…

fino a quando finalmente riuscirono a trovare la moneta della vedova.

Il vescovo fece rifondere la campana d’argento, aggiungendo anche il centesimo donato dalla povera vedova.
Quando, qualche settimana dopo riprovarono a collaudare la campana, il suo suono riempì l’aria con la melodia più bella che si fosse mai sentita provenire da una cattedrale.

Brano senza Autore

Padre, io ti amo come il sale da cucina!


Padre, io ti amo come il sale da cucina!

C’era una volta un re che rispondeva al nobile nome di Enrico il Saggio.
Aveva tre figlie che si chiamavano Alba, Bettina e Carlotta.
In segreto, il re preferiva Carlotta.
Tuttavia, dovendo designare una sola di esse per la successione al trono, le fece chiamare tutte e tre e domandò loro:
“Mie care figlie, come mi amate?”
La più grande rispose:
“Padre, io ti amo come la luce del giorno, come il sole che dona la vita alle piante.
Sei tu la mia luce!”

Soddisfatto, il re fece sedere Alba alla sua destra, poi chiamò la seconda figlia.

Bettina dichiarò:
“Padre, io ti amo come il più grande tesoro del mondo, la tua saggezza vale più dell’oro e delle pietre preziose.
Sei tu la mia ricchezza!”
Lusingato e cullato da questo filiale elogio, il re fece sedere Bettina alla sua sinistra.
Poi chiamò Carlotta.
“E tu, piccola mia, come mi ami?” chiese teneramente.
La ragazza lo guardò fisso negli occhi e rispose senza esitare:
“Padre, io ti amo come il sale da cucina!”
Il re rimase interdetto:
“Che cosa hai detto?”

“Padre, io ti amo come il sale da cucina!”

La collera del re tuonò terribile:
“Insolente!
Come osi, tu, luce dei miei occhi, trattarmi così?
Vattene!
Sei esiliata e diseredata!”
La povera Carlotta, piangendo tutte le sue lacrime, lasciò il castello e il regno di suo padre.
Trovò un posto nelle cucine del re vicino e, siccome era bella, buona e brava, divenne in breve la capocuoca del re.
Un giorno arrivò al palazzo il re Enrico.
Tutti dicevano che era triste e solo.
Aveva avuto tre figlie ma la prima era fuggita con un chitarrista californiano, la seconda era andata in Australia ad allevare canguri e la più piccola l’aveva cacciata via lui…
Carlotta riconobbe subito suo padre.
Si mise ai fornelli e preparò i suoi piatti migliori.

Ma invece del sale usò in tutti lo zucchero.

Il pranzo divenne il festival delle smorfie:
tutti assaggiavano e sputavano poco educatamente nel tovagliolo.
Il re, rosso di collera, fece chiamare la cuoca.
La dolce Carlotta arrivò e soavemente disse:
“Tempo fa, mio padre mi cacciò perché‚ avevo detto che lo amavo come il sale di cucina che dà gusto a tutti i cibi.
Così, per non dargli un altro dispiacere, ho sostituito il sale inopportuno con lo zucchero!”
Il re Enrico si alzò con le lacrime agli occhi:
“E il sale della saggezza che parla per bocca tua, figlia mia.
Perdonami e accetta la mia corona!”
Si fece una gran festa e tutti versarono lacrime di gioia:
erano tutte salate, assicurano le cronache del tempo.

Brano tratto dal libro “Solo il Vento lo Sa.” di Bruno Ferrero. ElleDiCi Editore.