Il diavolo e la coppia felice

Il diavolo e la coppia felice

Mentre sfogliava i suoi “dossier” matrimoniali, il diavolo notò con dispetto che c’era ancora una coppia, sulla terra, che filava d’amore e d’accordo.
Decise di fare un’ispezione.

Si trattava in realtà di una coppia comune:

eppure sprigionava tanto amore che attorno ad essa pareva ci fosse un’eterna primavera.
Il diavolo volle conoscere il segreto di quell’amore.
“Nessun segreto!” gli spiegarono i due,

“Viviamo il nostro amore come una gara:

quando uno dei due sbaglia, è l’altro che se ne assume la colpa; quando uno dei due fa bene, è l’altro che ne ha le lodi; quando uno dei due soffre, è l’altro che ne ha consolazione; quando uno dei due gioisce, è l’altro che ne ricava piacere.
Insomma, facciamo sempre a chi arriva per primo.”

Al diavolo tutto ciò parve scemo.

E se ne andò senza far loro del male.
Ed è così che possono ancora esistere delle coppie felici sulla terra.

Brano senza Autore

Per una goccia di miele

Per una goccia di miele

Tanti anni fa, in un villaggio, un uomo aveva appena aperto una bottega di alimentari.
Non faceva grandi guadagni, ma non poteva lamentarsi.
A quel tempo non occorreva molto per vivere dignitosamente ed essere felici.
Un bel mattino, la porta della drogheria si aprì davanti al primo cliente della giornata.
Era il pastore del villaggio vicino, con il suo nodoso bastone in mano e un grosso splendido cane accanto.
“Buongiorno, amico mio!” disse il pastore gentilmente, “Avrei bisogno di un po’ di miele.”
Il droghiere si avvicinò premuroso al banco:
“Buongiorno, signor pastore!
Siate il benvenuto!
Che bel cagnone, il vostro!
Miele avete detto?
Ne ho, certo, e della migliore qualità!
Avete portato un vasetto?
Perfetto!

Quanto ne volete?”

“Una libbra, grazie.
È davvero bello il mio cane, non è vero?” continuò il pastore.
“È l’essere che amo di più al mondo.
È il mio fedele compagno ed è anche molto intelligente.
Dovreste vederlo in azione quando è con me al pascolo…”
Il droghiere annuiva con grandi cenni del capo.
Mentre affondava il mestolo nel barilotto del miele e lo versava nel vasetto del pastore, una goccia di miele cadde a terra.
In quell’istante una mosca, venuta da chissà dove, si lanciò in picchiata sulla goccia.
Il gatto del droghiere, che fingeva di dormire raggomitolato in un angolo, seguì la manovra della mosca con un occhio solo.
Poi scattò come una molla e appiattì la mosca con un solo colpo di zampa.
Fino a quel momento il cane del pastore aveva finto di ignorare la presenza del gatto.
Irritato dal movimento improvviso del gatto, suo nemico atavico, ringhiò e si gettò sulla povera bestiola.

Un parapiglia spaventoso:

latrati, miagolii, zanne e unghie.
Prima che gli uomini potessero fare un solo gesto, il gatto giaceva stecchito ai piedi del padrone.
“Oh, maledetta bestia!
Il mio povero micino…” gridò il bottegaio.
Accecato dalla collera impugnò il primo oggetto pesante che gli capitò tra le mani e colpì ripetutamente il cane:
“Tieni! Così impari!”
Colpito alla testa il povero cane piombò morto al suolo, vicino al gatto.
Il pastore si disperò:
“Selvaggio!
Assassino!
Hai massacrato il mio cane!
Il mio unico amico!
Il mio compagno di lavoro!
Che farò io adesso?
Guarda come finiscono i disgraziati come te!”
Il gigantesco pastore brandì il suo bastone e, folle di rabbia, colpì a morte il droghiere.
“Aiuto!
Correte!
Addosso all’assassino!”
Da una strada all’altra, la notizia della morte del droghiere si diffuse in tutto il villaggio come una folata di polvere sollevata dal vento.
Lugubri rintocchi di campana si mescolarono a grida di collera e di vendetta, insieme a pianti e lamenti.
Uomini, donne, bambini accorrevano da tutte le parti.
Si impadronirono del pastore e lo massacrarono.
Il corpo del pastore fu steso accanto a quello del droghiere, del cane, del gatto e della mosca…
Lassù, nel villaggio vicino, quello del pastore, fu dato l’allarme:

“Aiuto!

Hanno ucciso il nostro pastore…
Andiamo a vendicarlo!”
Gli abitanti del villaggio, armati di pietre, zappe, forconi, cioè di tutto quello che trovarono a portata di mano, alcuni a piedi, altri a cavallo, attaccarono il villaggio nemico.
La loro rappresaglia fu terribile.
Colpirono, uccisero, saccheggiarono, incendiarono…
Gli altri risposero con altrettanta violenza.
Ben presto non rimasero nei due villaggi che cenere, cadaveri e desolazione.
Per combinazione, quei due villaggi così vicini erano sulla linea di due stati diversi.
Il re del primo, messo al corrente della distruzione del suo villaggio di frontiera, s’infiammò di collera, riunì il suo stato maggiore e fece redigere una dichiarazione di guerra che venne affissa in tutti gli angoli del regno.
Il re dell’altro paese non tardò a reagire rendendo pubblico il suo proclama:
“Davanti a Dio e agli uomini, io protesto contro l’arroganza dei nostri vicini.
Il loro re ha calpestato tutti i trattati e le leggi esistenti.
Sono obbligato a rispondere con la forza, in nome dell’Onore e della Giustizia, in nome della Gloria eterna del nostro popolo!”

E scoppiò la guerra.

Una guerra terribile e letale.
I due paesi furono messi a ferro e fuoco.
Durante l’inverno, la primavera, l’estate, per anni e anni.
I campi di grano si trasformarono in campi di battaglia; le fattorie furono devastate, il bestiame massacrato…
La guerra infuriava ancora, quando sopravvenne la carestia, poi le epidemie, i morti senza numero e… il freddo di un inverno che non si era visto a memoria d’uomo.
Sui campi e sui cimiteri coperti di neve dal campanile di un paese lontano giunse l’eco del suono delle campane che si perdeva nel vento gelido.
Era il primo gennaio.
Quei pochi che sopravvissero per miracolo si domandavano e si domandano ancora come e perché tutto questo era potuto cominciare e come sarebbe potuto essere evitato.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Tre parole

Tre parole

Un giovane e ambizioso cavaliere era noto per la vita dissoluta e sfrenata.
Un buon frate cercò di farlo riflettere sui rischi che avrebbe corso presentandosi con l’anima cosi carica di peccati all’ultimo giudizio del Signore.
“Non ho nessuna paura!” rispose sprezzante il cavaliere, “So che il Signore è buono e misericordioso.
Poco prima di morire pronuncerò tre parole che mi garantiranno la salvezza eterna.

Dirò:

“Gesù, pietà, perdonami.”
Il frate scosse la testa ed il cavaliere, ridendo, riprese la sua vita depravata.
Un giorno, durante un terribile temporale, cavalcava a spron battuto sulle rive di un fiume gonfio d’acqua.

Non voleva mancare ad una festa.

Un fulmine spaventò il cavallo che lo disarcionò e lo fece piombare nella violenta corrente del fiume.
Le ultime tre parole del cavaliere, prima di morire, furono:
“Crepa bestiaccia infame!”

Brano di Bruno Ferrero

Il sogno, la croce ed il burrone

Il sogno, la croce ed il burrone

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva:
“Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce?
Possibile che non esista un mezzo per evitarla?
Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”

Il Buon Dio gli rispose con un sogno.

Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione.
Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle.
Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro.
Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga:
per questo faceva tanta fatica ad avanzare.
“Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno!” si disse.
Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero.
E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.

Era un burrone:

una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna.”
Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passavano con facilità.
Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura:
congiungevano esattamente i due margini del precipizio.

Passavano tutti.

Ma non lui.
Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi:
“Ah, se l’avessi saputo…”
Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.