La leggenda della brocca

La leggenda della brocca

Molto, molto tempo fa, ci fu una grande siccità sulla terra.
Tutti i laghi, le sorgenti, i torrenti e i pozzi si erano prosciugati.
Gli alberi, i cespugli e l’erba erano seccati.
Persone e animali morivano di sete.
In un piccolo villaggio, una bambina guardava angosciata la mamma a letto divorata dalla febbre, con le labbra aride e screpolate dall’arsura.

Anche se era già buio,

si coprì con lo scialle della mamma e uscì con una brocca di terracotta in mano per tentare di trovare un po’ d’acqua.
Camminò in lungo e in largo, ma non riuscì a trovare neanche una goccia d’acqua da nessuna parte, finché sfinita si sdraiò sull’erba di un prato e si addormentò.
Quando si svegliò e riprese la brocca, si accorse che dentro aveva un po’ d’acqua.
Era un’acqua molto fresca e limpida.
La bambina era felice ed era tentata di bere, ma le è venne in mente che poi non sarebbe stata sufficiente per sua madre, e corse a casa con la brocca stretta al petto.
Aveva così tanta fretta che non si accorse nemmeno di un cagnolino davanti a casa sua, inciampò e lasciò cadere la brocca.
La bambina si rialzò con le lacrime agli occhi.
La bambina pensava di aver rovesciato l’acqua.
Invece la brocca era caduta in piedi e non aveva perso neanche una goccia della preziosa acqua.

Il cane uggiolava tristemente.

La bambina verso un po’ d’acqua nella sua mano a coppa e la mise sotto il muso del cane che la leccò avidamente, riprendendo a scodinzolare.
La bambina riprese la brocca e con gran meraviglia vide che non era più di terracotta, ma di argento.
Corse a casa e la diede alla mamma.
“Mamma, mamma!
Ho trovato dell’acqua!”
La madre però le disse:
“Devo morire comunque, è meglio che beva tu!” e restituì la brocca alla figlia.
In quel momento, la brocca d’argento si trasformò in una brocca d’oro.
La bambina aveva una sete terribile e stava per accostare la brocca alle labbra quando bussarono alla porta.

La bambina andò ad aprire.

Sulla soglia c’era un povero vagabondo che mormorò:
“Un po’ d’acqua, vi prego, per amor di Dio!”
La bambina ingoiò la saliva e porse la brocca al vagabondo.
Improvvisamente, sette diamanti splendenti apparvero sulla brocca, e da ognuno di essi scaturì un grande flusso di acqua limpida e fresca.

Brano senza Autore

La lepre ed il ghiacciolo

La lepre ed il ghiacciolo

Sui verdi fianchi di una balza delle Alpi, sotto un roccione sporgente, c’era la tana di una lepre di montagna.
Quella lepre ogni tanto faceva capolino.
Come tutti gli animali selvatici, era povera in canna e viveva nutrendosi di ogni sorta di erbaggi.
Aveva però due vestiti, un lusso che la natura le concedeva gratuitamente e senza pericolo di farla diventare ambiziosa.
I fiori, che vedevano la lepre d’estate, conoscevano bene il suo giubbetto color grigio-bruno con la gran toppa bianca sul petto.
I ghiacci e le nevi che la vedevano d’inverno, conoscevano invece il suo candido, attillato pastrano.
Anche i ghiaccioli, che pendevano numerosi e impettiti dall’ingresso della tana, stavano ad ammirarla un po’ invidiosi per ore e ore, mentre dormiva avvolta nella sua bianca pelliccia.
I fiori che segnavano il tempo di primavera e d’estate non consideravano la lepre un personaggio importante, pensando che avesse, come tutti gli altri animali, un solo vestito; ma le rocce e gli alberi, che la vedevano in tutte le stagioni, sapevano benissimo che i suoi vestiti erano due, e avevano di lei grande stima, perché la ritenevano una bestia facoltosa e tuttavia sempre umile, riservata e gentile.
Sul finire di un inverno, mentre la lepre si preparava a cambiare vestito perché l’aria si era fatta meno cruda e ormai le nevi avevano preso congedo, sul roccione sovrastante la tana si vide un ghiacciolo ostinatamente aggrappato all’orlo della fenditura.

“Non ti decidi ad andartene?” gli chiese un giorno l’abete più vicino.

“I tuoi fratelli sono già partiti da un pezzo!
Finirai col non riuscire a raggiungerli!”
“Andarmene, io?
Io non me ne vado: rimango!
Durante l’inverno non ho fatto altro che sentir decantare la primavera con i suoi colori, l’estate con la sua luce e il vento che sembra una carezza, e la gioia dei fiori e dell’erba, e il cielo tutto lucido e pulito.
Perfino le lepri so che mutano d’abito, come per prepararsi ad una festa.
Perché proprio io non dovrei conoscere tante belle cose, se sono belle davvero?
Ho deciso perciò di restare fino alla primavera, magari fino all’estate!”
“Resta pure, se ci riesci!” replicò l’abete.
“Questo, amico bello, è affar mio!” concluse il ghiacciolo.
Quando l’aria cominciò a intiepidire, il ghiacciolo volle mettersi al riparo dal sole.
Si staccò dalla fenditura e si lasciò cadere in un’incavatura della roccia nella quale il sole non batteva e da cui avrebbe potuto assistere comodamente allo spettacolo atteso.
Ma quando si fu fermato, sentì che era caduto addosso a qualcosa.
“Che maniera villana di presentarsi!” brontolò quel qualcosa.
“Sono veramente mortificato!” esclamò il ghiacciolo, “Non avevo visto che c’era lei.

Se permette, anzi, mi presento:

io sono il ghiacciolo, l’ultimo ghiacciolo dell’inverno!”
“Bene, tanto piacere.
Io sono la cartuccia, una cartuccia di fucile da caccia!” spiegò la cartuccia.
“Ma come si trova qui, signora cartuccia?
È carica o scarica?
Che pensa della primavera e dell’estate?
Che programmi ha per il futuro?” domandò il ghiacciolo.
“Ragazzo, non prendiamoci confidenze!” replicò la cartuccia
Era una cartuccia molto dura e superba, e vedeva tutte le cose dal punto di vista delle cartucce.
“Sono di ottima marca, e… carica, naturalmente.
“E se mi trovo qui è solo a causa di uno spiacevole contrattempo.
Durante una battuta, il mio padrone mi ha smarrita, povero sciocco!
Andava a caccia della lepre, e io ero l’ultima cartuccia che gli restava.
La lepre può ringraziare il cielo:
se avesse avuto a che fare con me, non sarebbe scappata di certo.
Con me non si scherza!”

“Ma che le ha fatto la lepre?” chiese il ghiacciolo.

“Niente mi ha fatto.
Ma non doveva nascere lepre.
Se la trovo, l’accoppo!” esclamò la cartuccia.
“Via, c’è posto per tutti a questo mondo…” disse, sicuro, il ghiacciolo.
“Tu non immischiarti nei miei affari privati.
Spero solo che il cacciatore ripassi di qua e che mi veda.
Al resto penserò io!” conclusa la cartuccia.
L’aria si era fatta ormai mite e la lepre vagava nei dintorni in cerca di nutrimento.
Quanto al ghiacciolo, esso faceva una gran fatica a non sciogliersi, e cercava di aderire all’incavatura della roccia nel punto più profondo e più fresco.
Voleva a tutti i costi vedere i fiori dei rododendri, le stelle alpine, il tenero dell’erba novella, il cielo lucido e pulito nello sfolgorio della sua luce cilestrina.
Ormai non doveva attendere molto.
Ma un mattino, svegliandosi, non vide più la cartuccia.
Orme d’uomo, recenti, erano impresse nel suolo ai piedi del roccione.
Il cacciatore era passato di là?
La cartuccia aveva ritrovato il fucile?
Bisognava avvertire la lepre del pericolo, subito!
“Lepre! Lepre! Ehi, lepre!” si mise a gridare il ghiacciolo, “Non uscire!
C’è gente che ti minaccia qua intorno!”

Nessuno rispose.

La lepre certamente era fuori dalla tana.
Al ghiacciolo non rimase che starsene rincattucciato nell’incavatura della roccia a rimuginare pensieri uno più triste dell’altro.
Verso sera, trascinandosi a stento, la lepre fece ritorno alla tana.
Era malconcia, grondava sangue, aveva la febbre.
“Oh, poveretta, poveretta!” esclamò commosso il ghiacciolo che, in fondo, non aveva un cuore di ghiaccio, “Che ti è successo?
Chi è stato?
Quella sciagurata cartuccia?”
“Non so!” rispose la lepre con un filo di voce, cadendo sfinita sulla soglia della tana, “Ho visto una vampa.
Ho udito un sibilo.
Sono ferita.
Ho tanta sete…”
Il ghiacciolo non volle udire altro.
Si rotolò fin sul margine dell’incavatura, sulla roccia ancor calda dal sole, e cominciò rapidamente a sciogliersi.
Cadde in gocce fitte e refrigeranti sulle ferite della lepre, in gocce ristoratrici sulle labbra riarse.
“Chi piange lassù?” balbettò la lepre stupita, riavendosi a poco a poco.
Ma il ghiacciolo non poté più rispondere.
Si era ormai sciolto del tutto, senza neppur pensare che le stelle alpine e i rododendri non erano ancora fioriti, che il cielo non era ancora terso e azzurro.
Tutte cose che dovevano essere belle, oh molto belle, a vedersi.

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Cappuccino senza febbre, grazie!

Cappuccino senza febbre, grazie!

Cristina era la proprietaria nonché la barista di un piccolo bar situato in un paesino di montagna.
Serviva i suoi clienti con la bontà e la pazienza di Cristo, applicando la massima:

“Il cliente ha sempre ragione!”

Questo nonostante a volte fosse stanca o avesse lavorato troppo.
La sua affezionata clientela la adorava e la pubblicità per il suo piccolo bar era il loro passaparola.
Faceva eccezione un cliente che era esageratamente esigente,

già cacciato da altri bar in passato.

Ogni giorno aveva una lamentela per l’abituale cappuccino.
Un mattino, come il solito, si lamentò perché non aveva la temperatura giusta.
Dopodiché, la nostra Cristina, esasperata dalle asfissianti lamentele e febbricitante, mise il proprio dito dentro la tazza dicendogli:

“Adesso provi a berlo!

Ho la febbre a trentotto e mezzo ed immagino che si sia scaldato secondo le sue esigenze!
Non conosco altri metodi per riscaldarlo, ma se vuole, le posso anche sciogliere lo zucchero!”
Da quel giorno il cliente migliorò il suo comportamento, ma non mancava di ordinare:
“Cappuccino senza febbre, grazie!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il contadino e la trappola per topi

Il contadino e la trappola per topi

Un topo stava guardando attraverso un buco nella parete, spiando quello che il contadino e sua moglie stavano facendo.
Avevano appena ricevuto un pacco e lo stavano scartando tutti contenti.
“Sicuramente conterrà del cibo!” pensò il topo.
Ma quando il pacco fu aperto il piccolo roditore rimase senza fiato.
Quella che il contadino teneva in mano non era roba da mangiare, era una trappola per topi!

Spaventato, il topo cominciò a correre per la fattoria gridando:

“State attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
La gallina, che stava scavando per terra alla ricerca di semi e vermetti, alzò la testa e disse:
“Mi scusi, signor Topo, capisco che questo può costituire per lei un grande problema, ma una trappola per topi non mi riguarda assolutamente.
Sinceramente non mi sento coinvolta nella sua paura.”
E, detto questo, si rimise al lavoro per procurarsi il pranzo.

Il topo continuò a correre gridando:

“State tutti attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
Casualmente incontrò il maiale che gli disse con aria accattivante:
“Sono veramente dispiaciuto per lei, signor Topo, veramente dispiaciuto, mi creda, ma non c’è assolutamente nulla che io possa fare.”
Ma il topo aveva già ripreso a correre verso la stalla dove una placida mucca ruminava, sonnecchiando, il suo fieno.
“Una trappola per topi?” gli disse “E lei crede che costituisca per me un grave pericolo?”

Fece una risata e riprese a mangiare tranquillamente.

Il topo, triste e sconsolato, ritornò alla sua tana preparandosi a dover affrontare la trappola tutto da solo.
Proprio quella notte, in tutta la casa si sentì un fortissimo rumore, proprio il suono della trappola che aveva catturato la sua preda.
La moglie del contadino schizzò fuori dal letto per vedere cosa c’era nella trappola ma, a causa dell’oscurità, non si accorse che nella trappola era stato preso un grosso serpente velenoso.
Il serpente la morse.
Subito il contadino, svegliato dalle urla di lei, la caricò sulla macchina e la portò all’ospedale dove venne sottoposta alle prime cure.
Quando ritornò a casa, qualche giorno dopo, stava meglio ma aveva la febbre alta.

Ora tutti sanno che quando uno ha la febbre non c’è niente di meglio che un buon brodo di gallina.

E così il contadino andò nel pollaio e uccise la gallina trasformandola nell’ingrediente principale del suo brodo.
La donna non si ristabiliva e la notizia del suo stato si diffuse presso i parenti che la vennero a trovare e a farle compagnia.
Allora il contadino pensò che, per dare da mangiare a tutti, avrebbe fatto meglio a macellare il suo maiale.
E così fece.
Finalmente la donna guarì e il marito, pieno di gioia, organizzò una grande festa a base di vino novello e bistecche cotte sul barbecue.
Inutile dire quale animale fornì la materia prima.
La prossima volta che sentirete qualcuno che si trova davanti ad un problema e penserete che in fin dei conti la cosa non vi riguarda, ricordatevi che quando c’è una trappola per topi in casa tutta la fattoria è in pericolo.

Brano senza Autore, tratto dal Web