Il vecchio pittore


Il vecchio pittore

Aveva lunghi capelli e occhi come le stelle.
Un giorno fu colpita da una malattia misteriosa che lentamente fece spegnere le stelle nei suoi occhi e la trascinò in un sonno simile alla morte.
Nei rari momenti di lucidità invocava la primavera e chiedeva di vedere i fiori del giardino.

Ma era inverno e il giardino era ingiallito e le piante secche.

I suoi genitori chiesero aiuto ai medici, ma nessuno seppe capire quella strana malattia.
Fu sentita anche la maga del villaggio: disse che la fanciulla sarebbe guarita solo se avesse visto i fiori della primavera.
La disperazione scese allora in quella casa perché tutti presentivano che la fanciulla non sarebbe vissuta sino alla nuova stagione.

Venne a conoscenza della storia un vecchio pittore;

era povero, dormiva in una barca e di notte si recò nel piccolo giardino che stava davanti alla finestra della fanciulla.
Faceva molto freddo, ma non se ne curava e per tutta la notte, con le mani intirizzite, dipinse fiori bellissimi sul muro di cinta: per incanto nel giardino era fiorita la primavera.

Al mattino, quando la fanciulla,

in uno dei suoi rari momenti di lucidità, aprì gli occhi e vide i fiori, il suo viso si illuminò di gioia.
Da quel giorno incominciò a star meglio e guarì, mentre del vecchio pittore non si seppe più nulla.
Lo cercarono tra le onde e sulla riva del mare, ma lui dormiva per sempre nella sua barca dove era morto di gelo.

Brano di Romano Battaglia

La finestra sul muro


La finestra sul muro

Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale.
Ad uno dei due uomini era permesso mettersi seduto per un’ora ogni pomeriggio in modo da permettere il drenaggio dei fluidi dal suo corpo ed il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza.
L’altro uomo invece doveva restare sempre sdraiato.
Col passare dei giorni i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore.
Parlarono delle loro mogli, delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere e l’altro paziente cominciò a vivere per quelle ore in cui la sua sofferenza veniva lenita dai colori del mondo esterno.

La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto dove le anatre e i cigni giocavano nell’acqua,

mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo.
Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza.
Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall’altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.
In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando.
Sebbene l’altro uomo non potesse vedere la banda, poteva sentirla e vederla con gli occhi della sua mente, così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva.

Passavano i giorni e le settimane.

Un mattino l’infermiera del turno di giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno.
L’infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra.
L’infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno, voltandosi per guardare fuori.

Essa si affacciava su un muro bianco…

L’uomo, allora, chiese all’infermiera che cosa potesse avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra.
Vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione.
Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata!
Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare.
L’oggi è un dono, e per questo motivo che si chiama ‘presente’.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Le Due Anfore


Le Due Anfore

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione:

“Non perdo neanche una stilla d’acqua, io!”

Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone:
“Lo sai, sono cosciente dei miei limiti.
Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia.
Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota.

Perdona la mia debolezza e le mie ferite.”

Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse:
“Guarda il bordo della strada.”
“Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora.
“Hai visto? E tutto questo solo grazie a te.” disse il padrone.

“Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada.

Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno.”
La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si sentì morire di gioia.
Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, possiamo fare meraviglie con le nostre imperfezioni.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Il fiore senza nome. La storia del girasole.



Il fiore senza nome
La storia del girasole

C’era una volta un giardino ricco di fiori di ogni specie, in cui cresceva, proprio nel centro, una pianta senza nome.
La pianta era robusta, ma sgraziata, con dei fiori stopposi che non emanavano alcun profumo particolare.
Le altre piante nobili del giardino la consideravano come un’erbaccia, e non le rivolgevano la parola.
La pianta senza nome però aveva un cuore pieno di bontà, di sogni e di ideali.
Quando i primi raggi del sole, al mattino, arrivavano a fare il solletico alla terra, e a giocherellare con le gocce di rugiada per farle sembrare iridescenti diamanti sulle camelie, rubini e zaffiri sulle rose, le altre piante si stiracchiavano pigre.

La pianta senza nome, invece, non si perdeva un solo raggio di sole.

Se li beveva tutti, uno dopo l’altro, godendoseli appieno.
La pianta senza nome trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa.
Tanto che con il passare del tempo il suo fusto, che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri.
Le piante del giardino cominciarono a darle attenzione e a nutrire anche un po’ d’invidia per il suo bell’aspetto.
“Quello spilungone, è un po’ matto!” bisbigliavano dalie e margherite.
La pianta senza nome, non ci badava.
Aveva un progetto.
Se il sole si muoveva nei cielo, lei l’avrebbe seguito, per non abbandonarlo un istante.
Non poteva certo sradicarsi dalla terra ma poteva costringere il suo fusto a girare all’unisono con il sole.

Così, non si sarebbero lasciati mai.

Le prime ad accorgersi di questa iniziativa della pianta senza nome furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari!
“Si è innamorato del sole!” cominciarono a propagare ai quattro venti.
“Lo spilungone, è innamorato del sole!” dicevano, ridacchiando, i tulipani.
“Oh, com’è romantico!” sussurravano, pudicamente, le viole mammole.
La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome, sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole!
Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo.
E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole giorno dopo giorno nella sua camminata attraverso il cielo.

Fu così che i garofani gli diedero un nome: Girasole.

Glielo misero per prenderlo in giro, ma nel giro di poco tutti lo accolsero come un nome bello.
Piacque a tutti, compreso al diretto interessato.
Da quel momento, quando qualcuno gli chiedeva il nome, rispondeva, orgoglioso:
“Mi chiamo Girasole!”
Rose, ortensie e dalie non cessavano, però, di bisbigliare su quella che, secondo loro, era una stranezza che nascondeva troppo orgoglio o peggio qualche sentimento molto disordinato.
Furono le bocche di leone, i fiori più coraggiosi del giardino, a rivolgere direttamente la parola al Girasole.
“Perché guardi sempre in aria?
Perché non ci degni di uno sguardo?

Eppure, siamo piante, come te!” gridarono le bocche di leone, per farsi sentire.

“Amici!” rispose il Girasole “Sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole.
Esso è la mia vita, e non posso staccare gli occhi da lui! Lo seguo, nel suo cammino…
Lo amo tanto, che sento già di assomigliargli un po’!
Che ci volete fare?
Il sole è la mia vita.”
Come tutti i buoni il Girasole parlava forte e l’udirono tutti i fiori del giardino.
E in fondo al loro piccolo, profumato cuore, sentirono una grande ammirazione per l’innamorato del sole.

Brano tratto dal libro “Tutte storie” di Bruno Ferrero. Edizione Elledici.

L’amore di una mamma


L’amore di una mamma

Un angelo scappò dal paradiso per trascorrere la giornata vagando sulla terra.
Al tramonto decise di portarsi via dei ricordi di quella visita.
In un giardino c’erano delle rose:
colse le più belle e compose un mazzo da portare in paradiso.

Un po’ più in là un bambino sorrideva alla madre.

Poiché il sorriso era molto più bello del mazzo di rose, prese anche quello.
Stava per ripartire quando vide la mamma che guardava con amore il suo piccolo nella culla.
L’amore fluiva come un fiume in piena e l’angelo disse a se stesso:
“L’amore di quella mamma è la cosa più bella che c’è sulla terra, perciò prenderò anche quello!”

Volò verso il cielo, ma prima di passare i cancelli perlacei, decise di esaminare i ricordi per vedere come si erano conservati durante il viaggio.

I fiori erano appassiti, il sorriso del bambino era svanito, ma l’amore della mamma era ancora là in tutto il suo calore e la sua bellezza.
Scartò i fior appassiti e il sorriso svanito, chiamò intorno a se tutti gli ospiti del cielo disse:
“Ecco l’unica cosa che ho trovato sulla terra e che ha mantenuto la sua bellezza nel viaggio per il paradiso:
L’amore di una mamma.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda del “Fiore della Passione.” (La leggenda della Passiflora)


La leggenda del “Fiore della Passione.” (La leggenda della Passiflora)

Tanto tanto tempo fa, la primavera fece balzare dalle tenebre verso la luce tutte le piante della Terra, e tutte fiorirono come per incanto.
Solo una pianta non udì il richiamo della primavera, e quando finalmente riuscì a rompere la dura zolla di terreno, la primavera era già lontana…
“Fa’ che anch’io fiorisca, o Signore!” pregò la piantina.

“Tu pure fiorirai.” rispose il Signore.

“Quando?” chiese con ansia la piccola pianta senza nome.
“Un giorno…” e l’occhio di Dio si velò di tristezza.
Era ormai passato molto tempo, la primavera anche quell’anno era venuta e al suo tocco le piante del Golgota avevano aperto i loro fiori.

Tutte le piante, fuorché la piantina senza nome.

Il vento portò l’eco di urla sguaiate, di gemiti, di pianti: un uomo avanzava fra la folla urlante, curvo sotto la croce, aveva il volto sfigurato dal dolore e dal sangue…
“Vorrei piangere anch’io come piangono gli uomini!” pensò la piantina con un fremito.
Gesù in quel momento le passava accanto,

e una lacrima mista a sangue cadde sulla piantina pietosa…

Subito sbocciò un fiore bizzarro, che portava nella corolla gli strumenti della passione: una corona, un martello, dei chiodi…
Era il fiore della passione, la passiflora.


Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web

I tarassachi


I tarassachi

Un uomo decise i curare il praticello davanti alla sua casa, per farne un perfetto tappeto all’inglese.
Era quasi riuscito nel suo intento, quando una primavera scoprì che nel suo prato erano nati alcuni tarassachi, dai brillanti fiori gialli.
Si precipitò a sradicarli, ma il giorno dopo, altri fiori gialli spiccavano nel verde prato.
Comprò un veleno per distruggerli, ma niente da fare…

Da quel momento la sua vita divenne una lotta contro i tenaci fiori gialli, che ad ogni primavera diventavano più numerosi.
“Che posso fare ancora?” chiese scoraggiato alla moglie.
“Perché non provi ad amarli?” gli rispose tranquilla la moglie.
L’uomo ci pensò un po’, e decise di mettere in pratica il consiglio ricevuto.
Dopo un po’ di tempo ai suoi occhi quei brillanti fiori gialli gli sembravano un tocco d’artista nel verde smeraldo del suo prato.
Da allora vive felice.

Quante persone ci irritano
Perché non proviamo ad amarle?
Staremo sicuramente meglio, amare è la migliore medicina.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda del bucaneve


La leggenda del bucaneve

Un’antica leggenda racconta che quando tutto ciò che vive prese la sua forma e il suo nome definitivo, solo l’uomo non fu contento, poiché la terra gli sembrava triste e deserta.
Egli sentiva che mancava qualcosa che rendesse bella e felice la sua vita.
Allora apparve la fata dei fiori, la quale, ascoltando le sue lamentele gli disse:
“Coprirò la terra con un ornamento originale che sarà per sempre la tua consolazione e la gioia dei tuoi occhi.”
E a un cenno della sua bacchetta magica uscirono all’improvviso dalla terra moltissimi fiori che si disposero gli uni accanto agli altri.
La fata allora immerse la sua bacchetta magica nei colori dell’arcobaleno e diede a ciascuno dei colori diversi.

Ben presto la terra si coprì di fiori coloratissimi di ogni tipo.

I fieri crisantemi poterono inorgoglirsi di essere splendenti e multicolori, le rose dei loro petali che sembravano preziosi velluti, i garofani, i gelsomini, i fiordalisi, le viole profumate…
Allo stesso tempo la fata dava a ciascuno un nome, indicandogli anche il luogo di residenza.
Non appena tutti i fiori furono pronti a confortare il genere umano, si udì da sotto un mucchio di neve come il sospiro di un bambino abbandonato.
“Io sono il solo ad essere stato dimenticato, buona fata,” diceva una vocina lamentosa “e sono rimasto senza colore e senza nome.
Quando i miei fratelli, sparsi sulla terra per compiere la loro missione, rallegreranno gli sguardi con la loro bellezza, io resterò qui e nessuno lo saprà!”

Commossa la fata rispose:

“Non essere triste piccolo fiore.
Tu che sei rimasto l’ultimo, sarai il primo.
Poiché sei stato dimenticato, piccolo bucaneve, sarai tu con i tuoi petali bianchi ad annunciare l’arrivo della primavera.
Alla tua vista tutti si rallegreranno!”

Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il mazzo di rose

Il mazzo di rose

Un giorno, una giovane donna ricevette una dozzina di rose con un biglietto che diceva:
“Una persona che ti vuole bene!”
Senza però la firma.
Non essendo sposata, il suo pensiero andò agli uomini della sua vita:
vecchie fiamme, nuove conoscenze.
Oppure erano stati mamma e papà?
Qualche collega di lavoro?

Fece un rapido elenco mentale.
Infine telefonò a un’amica perché l’aiutasse a scoprire il mistero.
Una frase dell’amica le fece all’improvviso balenare un’idea.
“Dimmi, sei stata tu a mandarmi i fiori?” chiese.
“Sì!” rispose l’amica.
“Perché?” replicò.
“Perché l’ultima volta che ci siamo parlate eri di umore nero.
Volevo che trascorressi un giorno pensando a tutte le persone che ti vogliono bene!” concluse l’amica.
Brano senza Autore, tratto dal Web