Pulisci, se è necessario…

Pulisci, se è necessario…

Una casa è più bella se si può scrivere “ti amo” sulla polvere sul mobilio.
Io lavoravo 8 ore ogni fine settimana per rendere tutto perfetto, “nel caso venisse qualcuno”.
Alla fine ho capito che “non sarebbe venuto nessuno”, perché tutti vivevano la loro vita passandosela bene!

Ora, se viene qualcuno, non ho bisogno di spiegare in che condizione sia la casa:

sono più interessati ad ascoltare le cose interessanti che ho fatto per vivere la mia vita.
Caso mai non te ne fossi ancora accorta:
la vita è breve, goditela!
Pulisci, se è necessario…
Ma sarebbe meglio dipingere un quadro, scrivere una lettera, preparare un dolce, seminare una pianta, oppure pensare alla differenza tra i verbi “volere” e “dovere”.

Pulisci, se è necessario, ma il tempo è poco…

Ci sono tante spiagge e mari per nuotare, monti da scalare, fiumi da navigare, una birretta da bere, musica da ascoltare, libri da leggere, amici da amare e la vita da vivere.
Pulisci, se è necessario, ma…
C’è il mondo là fuori:
il sole sulla faccia, il vento nei capelli, la neve che cade, uno scroscio di pioggia…

Questo giorno non torna indietro!

Pulisci, se è necessario, ma…
Ricorda che la vecchiaia arriverà e non sarà più come adesso.
E, quando sarà il tuo turno, ti trasformerai in polvere.

Brano senza Autore

Il ritorno dei fiori

Il ritorno dei fiori

Siccome non riusciva più ad accettare la cattiveria degli uomini, il più potente dei maghi aveva lasciato la regione per andare a vivere sulla vetta di un’alta montagna.
Dal giorno della sua partenza, tutti i fiori della prateria, quelli che spuntano sulle colline e nei boschi, quelli che fioriscono sui bordi dei fiumi, sulle rive dei laghi e del mare, appassirono e morirono.
Nessuno sopravvisse.
Il paese divenne un deserto, perché dopo la morte dei fiori, gli uccelli, le farfalle, le api e tutti gli insetti fuggirono lontano.
I vecchi abitanti della regione raccontavano ai bambini la bellezza dei fiori e degli insetti, ma i bambini non ci credevano.

“Sono soltanto storie!” dicevano.

Solo il figlio di una povera vedova credeva che esistessero ancora, da qualche parte, fiori e insetti.
E quando la mamma taceva, reclamava ancora un’altra storia, perché voleva sentir parlare della bellezza dei fiori.
“Ah!” diceva, “Quando sarò grande, andrò a cercare il mago per chiedergli di ridarci i fiori.”
Quando fu cresciuto, la sua passione per i fiori era sempre più forte.
Allora disse alla madre:
“Ho deciso: parto per cercare il mago e domandargli di ridarci i fiori!”
Sua madre, all’inizio si rifiutò di credergli.
“Figlio mio!
Io ti ho raccontato solo delle storie!
Ho sentito mia madre raccontarle, perché le aveva sentite da sua madre.
Ma non bisogna credere a queste storie!
Probabilmente i fiori non sono mai esistiti.
E quanto al mago, nessuno potrà mai ritrovarlo.
La montagna su cui vive è la più alta di tutte le montagne!”
Ma il giovane non la ascoltò neppure e un bel mattino partì.
La gente del paese che lo guardava allontanarsi sorrideva ironicamente.
“È proprio matto!” dicevano, “Bisogna essere pazzi per credere a queste storie!”

E i suoi amici lo prendevano in giro.

Il giovane si diresse a nord.
Camminò per tanto e tanto tempo.
Alla fine arrivò ai piedi di una montagna, così alta, ma così alta che non si intravedeva la cima.
Non si perse di coraggio.
Girò intorno alla montagna, ma non vide nessun sentiero, solo rocce ripide e levigate.
Per tre volte, lentamente, ripercorse la base della montagna.
“Se il mago ha trovato un modo per salire, lo troverò anch’io!” si diceva.
Dopo aver scrutato attentamente ogni più piccolo appiglio, si accorse che ad un certo punto una roccia aveva un’attaccatura, che formava come un minuscolo gradino.
Guardò meglio e poco più in alto ne scoprì un altro.
Si allontanò un po’ e vide che sulla parete della montagna era tracciata una scala che saliva a spirale.
Prese a salire, pieno di entusiasmo, senza mai voltarsi indietro perché aveva paura delle vertigini.
Dopo il primo giorno, la vetta della montagna non si vedeva ancora.

Neppure dopo il secondo e il terzo giorno.

Le forze cominciavano ad abbandonarlo quando, il quarto giorno, si rese conto tutto d’un colpo che la vetta era vicina e, al calar della notte, finalmente, riuscì a raggiungerla.
Poco sotto le rocce della cima gorgogliava una sorgente.
Stremato e assetato, il giovane s’inchinò e bevve l’acqua fresca.
Appena le sue labbra assaggiarono l’acqua tutta la sua stanchezza scomparve.
Si sentì rinvigorito e più forte che mai.
In quel momento, sentì una voce che gli chiedeva che cosa era venuto a cercare.
“Sono venuto,” rispose il giovane, “per chiedere al grande mago di ridarci i fiori e gli insetti.
Un paese senza fiori, senza uccelli e senza api, è triste e senza gioia.
Sono sicuro che gli abitanti del mio paese la farebbero finita con tutta la loro cattiveria se il mago ridonasse loro i fiori.”
Allora il giovane fu sollevato da mani invisibili.
Dolcemente fu portato verso la regione dei fiori eterni, e le mani invisibili lo deposero al suolo nel bel mezzo di un tappeto di fiori di tutti i colori.
Il giovane non credeva ai suoi occhi.

Non li aveva immaginati così belli i fiori!

Un profumo delicato aleggiava nell’aria e i raggi del sole danzavano sui fiori multicolori.
La gioia del giovane fu così grande, che si mise a piangere.
Udì nuovamente la voce che gli disse di cogliere tutti i fiori che preferiva.
Si riempì le braccia di tutti i fiori che riuscì a raccogliere.
Poi le mani invisibili lo risollevarono e lo riportarono sulla cima della montagna.
Allora, la voce gli disse:
“Riporta questi fiori nel tuo paese che solo grazie alla tua fede e al tuo coraggio da questo momento non sarà mai più senza fiori.
Fioriranno dappertutto.
I venti del nord, del sud, dell’est e dell’ovest porteranno la pioggia che sarà il loro nutrimento e le api torneranno per donarvi il miele che esse ricaveranno dai fiori.”
Il giovane ringraziò e iniziò subito la discesa dalla montagna che, malgrado la quantità di fiori che portava, gli parve molto più facile della salita.
Quando gli abitanti del paese lo videro tornare con le braccia cariche di fiori, si misero a respirare il profumo e furono presi dalla voglia di cantare.
Non riuscivano a credere alla loro felicità.

Quando furono certi di non sognare, dissero:

“Ah! Lo sapevamo che i fiori esistevano e che le storie dei nostri vecchi dicevano il vero!”
Il paese ridivenne un grande giardino.
Sulle colline, nelle valli, sui bordi dei fiumi e dei laghi, nei boschi, nei campi, i fiori sbocciarono e si moltiplicarono.
I venti dei quattro punti cardinali si davano il cambio per innaffiarli.
Tornarono gli uccelli e le farfalle, gli insetti ronzanti e soprattutto le api.
Finalmente la gente poté riassaggiare il miele e la gioia tornò a regnare nel paese.
Quando gli uomini videro la loro terra trasformata grazie al giovane che aveva osato ciò che nessuno aveva creduto possibile, gli chiesero di essere il loro re.
Egli accettò e divenne un re buono, coraggioso e intelligente.
“Ricordiamoci sempre,” diceva, “che era stata la cattiveria degli uomini a provocare la scomparsa dei fiori dal nostro paese.”
E siccome nessuno voleva ricominciare ad abitare in un deserto ed essere privato del miele, si sforzavano tutti di essere più buoni che mai.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Siamo tutti responsabili di un fiorellino

Siamo tutti responsabili di un fiorellino

Una tremenda siccità aveva colpito la regione.
L’erba era prima ingiallita e poi appassita.
Si erano inariditi i cespugli e gli alberi più fragili.
Neppure una goccia d’acqua pioveva dal cielo e le mattine si presentavano alla terra senza la lieve frescura della rugiada.

Migliaia di animali, piccoli e grandi, stavano morendo.

Pochissimi avevano la forza per sfuggire al deserto che ingoiava ogni cosa.
La siccità si faceva ogni giorno più dura.
Persino i forti e vecchi alberi, che affondavano le radici nella profondità della terra, persero le foglie.
Tutte le fontane e le sorgenti erano esaurite.
Ruscelli e fiumi erano inariditi.
Solo un piccolo fiore era rimasto in vita, poiché una piccolissima sorgente dava un paio di gocce d’acqua.

Ma la sorgente disperava:

“Tutto è arido e assetato e muore.
E io non posso farci nulla.
Che senso hanno le mie due gocce d’acqua?”
Lì vicino c’era un vecchio e robusto albero.

Udì il lamento e, prima di morire, disse alla sorgente:

“Nessuno si aspetta da te che tu faccia rinverdire tutto il deserto.
Il tuo compito è tenere in vita quel fiorellino.
Niente più!”
Siamo tutti responsabili di un fiorellino.
Ma ce ne dimentichiamo spesso per lamentarci di tutto quello che non riusciamo a fare.

Brano senza Autore

Arrivarono solo in tre (La storia dei Re Magi)

Arrivarono solo in tre
(La storia dei Re Magi)

Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo:
i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva.
Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano;

per questo erano chiamati Re Magi.

Nell’anno 0 (zero), studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione:
proprio in una notte di quell’anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla del Re dei re.
Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché, davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima.
I Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada.
Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello.

Così, ben presto, si scordò della stella.

Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso.
Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi.
Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell’universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana.

Quando si ricordò della stella era troppo tardi:

non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell’Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali.
Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio.
Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchiorre, re dei Persiani, Baldassarre, re degli Arabi e Gaspare, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore.
Così ognuno di loro arrivò puntuale all’appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.

Brano tratto dal libro “Novena di Natale per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Un padre premuroso (L’abbraccio dell’orso)

Un padre premuroso
(L’abbraccio dell’orso)

Un uomo molto giovane aveva appena avuto un figlio e viveva per la prima volta l’esperienza della paternità.
Nel suo cuore regnavano la gioia e l’amore, che scorrevano a fiumi dentro di lui.
Un giorno gli venne voglia di entrare in contatto con la natura perché, da quando era nato il suo bimbo, vedeva tutto bello e perfino il rumore di una foglia che cadeva gli sembrava musica.
Decise quindi di andare nel bosco per goderne tutta la bellezza e sentire il canto degli uccelli.
Camminava placidamente respirando l’umidità che c’è in quei posti quando, improvvisamente, vide un’aquila su un ramo, e fu sorpreso dalla sua bellezza.
Anche l’aquila aveva avuto la gioia di avere dei piccoli, ed aveva intenzione di arrivare fino al fiume più vicino, catturare un pesce,

e portarlo nel suo nido come cibo per i suoi aquilotti.

Era una responsabilità molto grande allevare e formare i suoi piccoli, affrontando le sfide che la vita offre.
Nel notare la presenza dell’uomo, l’aquila lo guardò e gli chiese:
“Dove vai buon uomo?
Vedo nei tuoi occhi la gioia.”
L’uomo le rispose:
“Sai mi è nato un figlio e sono venuto nel bosco perché sono felice.
D’ora in poi lo proteggerò sempre, gli darò da mangiare, e non permetterò mai che soffra il freddo.
Giorno dopo giorno lo difenderò dai nemici che avrà e non lascerò mai affrontare situazioni difficili.
Non permetterò che mio figlio abbia le stesse difficoltà che ho avuto io, non dovrà mai sforzarsi per nessuna cosa.
Come padre, sarò forte come un orso, e con la potenza delle mie braccia lo circonderò, l’abbraccerò e non permetterò mai che niente e nessuno possa turbarlo.”
L’aquila lo ascoltava attonita, senza riuscire a credere a ciò che udiva.

Poi lo guardò e gli disse:

“Ascoltami bene.
Quando la natura mi ha dato l’ordine di covare le mie uova, di costruirmi un nido, confortevole, sicuro, protetto dai predatori, mi ha detto anche di mettere dei rami con molte spine, e sai perché?
Perché quando i miei piccoli saranno forti per volare, farò sparire tutta la comodità delle piume.
Non resistendo sulle spine, si vedranno costretti a costruirsi il proprio nido.
Tutta la valle sarà per loro, a patto che realizzino con i loro sforzi l’aspirazione di conquistarla.
Se li abbracciassi, la loro aspirazione verrebbe frenata, e questo distruggerebbe in maniera irreversibile la loro individualità, ne farebbe degli individui indolenti senza coraggio di lottare, né gioia di vivere.

Prima o poi piangerei per il mio errore,

perché vedrei i miei aquilotti trasformati in ridicoli rappresentanti della loro specie, e mi riempirei di rimorso e gran vergogna nel vedere l’impossibilità di gioire per i loro trionfi.
Io, amico mio,” disse l’aquila, “amo i miei figli più d’ogni altra cosa, però non sarò mai complice della loro superficialità e immaturità!”
L’aquila tacque, poi, con maestosità si alzò in volo per perdersi all’orizzonte.
L’uomo tornandosene a casa, meditò sul terribile errore che avrebbe commesso dando a suo figlio l’abbraccio dell’orso.
Giunto a casa abbracciò il suo bimbo per alcuni secondi, poi si rese conto che il piccolo cominciava a muovere le gambe e braccia come per dimostrare il suo bisogno di libertà, senza che nessun orso protettivo lo ostacolasse.
Da quel giorno l’uomo cominciò a prepararsi per diventare il migliore dei padri.

Brano tratto dal libro “Guida per genitori; PNL con i bambini.” di Eric de la Parra Paz

Il monaco povero ed il monaco ricco

Il monaco povero e il monaco ricco

In una città c’erano due monasteri.
Uno era molto ricco, mentre l’altro era poverissimo.
Un giorno, uno dei monaci poveri si presentò nel monastero dei ricchi per salutare un amico monaco che viveva là.

“Per un po’ non ci vedremo più, amico mio.”

disse il monaco povero, “Ho deciso di partire per un lungo pellegrinaggio e visitare i cento grandi santuari:
accompagnami con la tua preghiera perché dovrò valicare tante montagne e guadare pericolosi fiumi.”
“Che cosa porti con te, per un viaggio così lungo e rischioso?” chiese il monaco ricco.
“Solo una tazza per l’acqua e una ciotola per il riso.” disse sorridendo il monaco povero.

L’altro si meravigliò molto e lo guardò severamente:

“Tu semplifichi un po’ troppo le cose, caro mio!
Non bisogna essere così sventati e sprovveduti.
Anch’io sto per partire per il pellegrinaggio ai cento santuari, ma non partirò di certo finché non sarò sicuro di avere con me tutto quello che mi può servire!”
Un anno dopo, il monaco povero tornò a casa e si affrettò a visitare l’amico ricco per raccontargli la grande e ricca esperienza spirituale che aveva potuto fare durante il pellegrinaggio.

Il monaco ricco dimostrò solo un’ombra di disappunto quando dovette confessare:

“Purtroppo io non sono ancora riuscito a terminare i miei preparativi!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il cuoco generoso

Il cuoco generoso

Un re molto potente volle fare un banchetto per il figlio che arrivava a casa dopo aver girato per le galassie del cielo.
Ma quando il figlio arrivò subito si accorse che c’era qualcosa che non andava bene.
Il giovane era sempre triste, spento, come se tutto quel girovagare per le stelle, i pianeti e i vari satelliti l’avesse sfinito.
Allora il re decise di far curare il suo unico figlio e decise perciò di chiamare i tre medici più bravi e famosi della terra.

Arrivò il primo medico che visitò il giovane e disse:

“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di oro, di tanto oro, perché dopo aver visto tutte le stelle del cielo sicuramente adesso sente la mancanza del loro luccichio…e quindi è triste per questo!”
Così il re fece portare tutto l’oro del mondo e riempì una stanza.
Sì, per un po’ di tempo, qualche giorno, il giovane sembrò un po’ più contento, però dopo un po’ ritornò ad essere triste.
Allora il re chiamò un altro dottore, il quale disse:
“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di una bella giostra, perché dopo aver girato tutti i cieli con la sua navicella spaziale, sicuramente sente la mancanza del movimento e di tutta l’ebrezza che ha provato!”
Il re gli fece avere la giostra più bella e grande che si fosse mai vista ed effettivamente per qualche giorno il giovane fu un po’ più contento.

Ma poi si stufò anche della giostra e divenne più triste di prima.

Allora il re fece chiamare il terzo medico che visitò il ragazzo e disse:
“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di stare in spazi aperti.
È molto triste, perché dopo aver vissuto nei cieli sconfinati adesso si trova a vivere in un castello che, per grande che sia, per lui è un posto molto piccolo ed angusto!”
Allora il re portò il figlio in un posto meraviglioso con prati, cascate, ruscelli, fiumi…
Ed effettivamente per qualche giorno il giovane fu contento, ma dopo un po’ divenne ancora più triste di prima.

Il re, disperato e piangente, non sapeva più cosa fare.

Aveva chiamato i dottori più bravi della terra, ma senza alcun risultato.
Intanto un cuoco di corte che aveva sentito della malattia del giovane principe ed era molto dispiaciuto si avvicinò al re e gli fece una proposta:
“Forse, mio sire, il giovane principe ha solo bisogno di un buon pranzetto…
Ormai i dottori hanno fatto tutto il possibile, perché non lasciate fare a me che so cucinare piatti prelibati?”
Allora il re decise di provare quest’ultima possibilità.
Tutti i giorni il giovane cuoco si recava dal principe e gli faceva assaggiare un po’ per volta, perché il giovane aveva anche perso l’appetito, i piatti preparati da lui e si intratteneva con il principe, gli raccontava quello che succedeva al castello e ascoltava volentieri i meravigliosi viaggi nelle galassie che il principe aveva compiuto in quegli anni… e un po’ per volta il principe guarì completamente dalla sua malattia.

Brano di Maria Macrì