La leggenda della luna piena


La leggenda della luna piena

In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.
In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.
Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati.
In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:

“Cos’hai da urlare tanto?

Perché non la smetti almeno per un po’?”
“Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata.
Sono disperato… aiutami!” rispose il lupo.
La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi.
E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.

“Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto.”

disse dolcemente partecipe, al lupo in pena.
Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio.
Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna.

Poi sparì tra il folto della vegetazione.

Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo:
ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.
I lupi lo sanno… e ululano festosi alla luna piena…

Leggenda Indiana.
Brano incluso nel libro “Il libro blu.” di Fernanda Raineri

Pioggia di stelle


Pioggia di stelle

C’era una volta un’orfanella povera e sola.
Nessuno l’aveva voluta con sé.
Possedeva solo gli abiti che indossava e un pezzetto di pane.
Un giorno s’incamminò per la campagna pensando:
“Qualcuno mi aiuterà!”
Incontrò un uomo.
“Ho tanta fame!” le disse.
“Dammi qualcosa, per carità!”
La bimba gli diede il suo pezzo di pane.
Poco dopo incontrò un bambino.
“Ho la testa ghiacciata.
Dammi qualcosa per coprirmela!” la supplicò.

L’orfanella si sfilò la cuffia e gliela diede.

Più in là incontrò un altro bambino.
Era senza giubbetto e tremava per il freddo.
Si sfilò la mantella e gliela diede.
Ancora avanti incontrò una bambina mezza assiderata.
Si sfilò la gonnellina e gliela porse.
Ormai non le era rimasto addosso nient’altro che la camicia.
Cammina, cammina arrivò in un bosco. Intanto si era fatto buio.
“Dammi la tua camicia.
Non ho niente da mettermi!” la supplicò un’altra bambina.

L’orfanella pensò:

“Ormai è notte, qui nel bosco nessuno mi vedrà.
Posso dargliela!”
Se la sfilò e gliela porse.
Subito dopo, cominciò a cadere una pioggia di stelle, che cadendo si trasformavano in monete d’oro lucenti.
Nello stesso tempo la bimba si ritrovò vestita di tutto punto e con abiti di stoffa finissimi.
Alzò i bordi del gonnellino e raccolse le monete finché ce ne poterono stare.
Così la buona orfanella non ebbe più a temere la miseria per il resto della sua vita.

Favola dei Fratelli J. e W. Grimm

Il cardellino e lo spaventapasseri


Il cardellino e lo spaventapasseri

Una volta un cardellino fu ferito a un’ala da un cacciatore.
Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra.
Poi, terribile e gelido, arrivò l’inverno.
Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri.
Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari.
Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi.
“Che ti capita, cardellino?” chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
“Va male!” sospirò il cardellino, “Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio.
Per non parlare del cibo.
Penso che non rivedrò la primavera.”

“Non aver paura.
Rifugiati qui sotto la giacca.
La mia paglia è asciutta e calda!” rispose lo spaventapasseri.
Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri.
Restava il problema del cibo.
Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi.
Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino:
“Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais.”

“Ma tu resterai senza bocca!” replicò il cardellino.

“Sembrerò molto più saggio.” affermò lo spaventapasseri.
Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse.
E gli sorrideva con gli occhi di noce.
Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota.
“Mangialo. E’ ricco di vitamine!” diceva lo spaventapasseri al cardellino.
Toccò poi alle noci che servivano da occhi.
“Mi basteranno i tuoi racconti!” diceva lui.
Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa.
Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c’era più.
Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.


Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero