Il seme ed i frutti

Il seme ed i frutti

Un contadino si diresse verso i campi per seminare.
Ma accadde che rovesciò una parte delle sementi lungo il cammino, e subito arrivarono gli uccelli a banchettare.
Poi, per l’accanimento della sfortuna, un’altra parte fu versata in una pietraia:

germogliò quasi subito, perché c’era soltanto un velo di terra sopra i sassi.

Quando il sole divenne cocente, le piccole gemme seccarono, poiché non avevano radici.
Un’altra parte ancora scivolò tra i rovi e, crescendo, fu soffocata dalla malerba, che gli impedì di produrre alcunché.
L’ultima semente fu sparsa su una terra grassa e feconda.

Attecchì e diede molti frutti:

un seme ne produsse trenta, un altro sessanta e un altro ancora cento.
Ecco perché dovete spargere le vostre sementi in tutti i luoghi nei quali vi troverete a passare:
qualche seme germoglierà e illuminerà il cammino delle generazioni future.

Brano tratto dal libro “Il manoscritto ritrovato ad Accra.” di Paulo Coelho

Giulia e l’uva

Giulia e l’uva

Una giovane ragazza, di nome Giulia, nel pieno della gioventù, faceva la domestica tuttofare in una dimora di ricchi proprietari terrieri.
Vigeva in quel tempo l’istituto della mezzadria ed i contadini portavano ai padroni i frutti più belli:

le cosiddette regalie.

Nella stanza dove dormiva Giulia avevano, perfino, appeso alle travi del soffitto i più bei grappoli d’uva, delle varietà migliori, per conservarli, dono dei contadini contraenti.
I suoi padroni le avevano raccomandato, pena il licenziamento, di non mangiare per nessun motivo nemmeno un chicco d’uva.
Vuoi per la fame, vuoi per l’essere golosa, Giulia qualche chicco d’uva qua e là lo aveva mangiato, e si augurava che i proprietari non notassero questi piccoli furti.
Ma non fu così, ed i padroni, noti per essere taccagni e avari, la sgridarono pesantemente.

Giulia si difese dicendo:

“Sono stati i topi!
E voi mi fate addirittura dormire con loro!”
I padroni schifati risposero:
“Se è davvero così, puoi mangiarti tutta l’uva che vuoi perché a noi non interessa più!”

Giulia era mia nonna.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il testamento di un albero

Il testamento di un albero

Un albero di un bosco chiamò gli uccelli e fece testamento:
“Lascio i miei fiori al mare, lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semi a voi.

A voi, poveri uccelli,

perché mi cantavate le canzoni
della bella stagione.
E voglio che gli sterpi,

quando saranno secchi,

facciano il fuoco per i poverelli.

Però vi avviso che sul mio tronco
c’è un ramo che dev’essere ricordato

alla bontà degli uomini e di Dio.

Perché quel ramo, semplice e modesto, fu forte e generoso: e lo provò
il giorno che sostenne un uomo onesto quando ci si impiccò”.

Brano di Trilussa

La leggenda della nascita del deserto

La leggenda della nascita del deserto

Tanto tempo fa la terra intera era verde e fresca come una foglia appena spuntata.
C’erano mille ruscelli che correvano tra l’erba.
Arance, mandorle, ciliegie, datteri e melograni crescevano insieme sullo stesso ramo.
Il leone giocava con l’agnello e le tribù degli uomini vivevano in pace.
Essi non sapevano cosa fosse il male.

All’inizio dei tempi, il Signore aveva detto agli uomini:

“Questo giardino fiorito è tutto vostro, e vostri sono i suoi frutti.
Badate però, che ad ogni azione malvagia io lascerò cadere sulla terra un granello di sabbia, e un giorno gli alberi verdi e l’acqua fresca potrebbero scomparire per non tornare mai più!”
Per molto tempo il suo monito venne obbedito e ricordato, finché un giorno due uomini litigarono per il possesso di un cammello.
Appena la prima parola cattiva fu pronunciata il Signore gettò al suolo un granello di sabbia, così minuscolo e leggero che nessuno se ne accorse.
Ben presto alle parole seguirono i fatti, e molti nuovi granelli si formarono e caddero.
Il piccolo mucchio di sabbia cresceva lentamente.
Gli uomini allora si fermarono a guardarlo, incuriositi.

“Cos’è questo, Signore?” chiesero a Dio.

“È il frutto della vostra cattiveria!” rispose Lui.
“Tutte le volte che agirete ingiustamente, che alzerete la mano su un fratello, che mentirete e ingannerete, un granellino si aggiungerà agli altri.
E chissà che un giorno la sabbia non arrivi a coprire la terra intera!”
Ma gli uomini si misero a ridere.
“Anche se fossimo i più perfidi fra i perfidi, non basteranno milioni di milioni di anni perché questa polvere leggera riesca a farci del male.
E poi, chi può aver paura di un po’ di sabbia?”
Così ricominciarono a ingannare e a combattere, uno contro l’altro, tribù contro tribù.
Finché la sabbia seppellì i pascoli verdi e i campi, cancellò il corso dei ruscelli e cacciò le bestie lontano in cerca di cibo.

In questo modo fu creato il deserto.

E da allora le tribù vagano per il deserto, pensando alla verde terra perduta.
E qualche volta in pieno deserto, sognano e vedono cose che non ci sono più:
laghi azzurri e alberi fioriti.
Ma sono visioni che subito svaniscono:
la gente li chiama miraggi.
Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Dio ci sono ancora palme verdi e sorgenti pulite.
E la sabbia non può cancellare queste cose, ma le circonda come il mare fa con le isole.
I viaggiatori le chiamano oasi.
E là si fermano per trovare riposo e ristoro, ricordando ogni volta le parole del Signore alle tribù:
“Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito!”
Ora sapete perché, anche oggi, sulla terra i deserti continuano ad avanzare.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La pazienza dei fiori di pesco

La pazienza dei fiori di pesco

C’era una volta una prospera comunità di alberi da frutto che viveva sul dolce declivio di una collina.
I loro frutti erano splendide e succose pesche.
In primavera, i loro fiori formavano una morbida nuvola rosa, che faceva la gioia dei viandanti.
In mezzo ai peschi di lungo corso, era spuntato un giovane pesco, che cresceva vigoroso.
Quando le giornate di inizio Marzo si fecero tiepide, il giovane pesco cominciò a chiedere:
“È ora?
Possiamo fiorire?”

“Porta pazienza, ragazzo!

È presto!
Possono ancora venire venti freddi, ed anche qualche gelata…
Aspetta, verrà anche la tua ora!” gli diceva il vecchio ed esperto pesco, accanto a lui.
Brontolando, il giovane pesco annuiva, ma gonfiava le sue gemme.
“Sono solo invidiosi, perché sono vecchi!” rimuginava tra sé.
Una delle prime sere di Marzo, illuminata da un sole particolarmente dolce, il giovane pesco tornò a chiedere:
“Adesso, posso fiorire?”

Il vecchio pesco rispose:

“No, ragazzo mio!
Non è ancora primavera.
È probabile che vengano ancora giorni di freddo!”
Il giovane pesco sbottò:
“Uffa! Voi grandi, siete tutti così!
Sempre con i vostri stai attento qui, aspetta là, abbi pazienza…
Sono stufo, delle vostre lagne! C’è un bel sole, e decido io per me!”
Ed i boccioli del giovane pesco esplosero, in magnifici fiori rosa.

“Guarda, quel pesco: è già fiorito!

È bellissimo!” dicevano i passanti, ammirati.
Sulla collina, era l’unico pesco fiorito, e tutte le attenzioni e l’ammirazione della gente erano solo per lui.
Il giovane pesco si pavoneggiò, esultante!
Il sole di Marzo purtroppo durò poco ed il giorno seguente una lama di aria gelida annientò crudelmente i suoi fiori, così come i suoi sogni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Re, il mendicante e la mela

Il Re, il mendicante e la mela

Ogni mattina, il potente e ricchissimo re di Bengodi riceveva l’omaggio dei suoi sudditi.
Aveva conquistato tutto il conquistabile e si annoiava un po’.
In mezzo agli altri, puntuale ogni mattina, arrivava anche un silenzioso mendicante, che porgeva al re una mela.

Poi, sempre in silenzio, si ritirava.

Il re, abituato a ricevere ben altri regali, con un gesto un po’ infastidito, accettava il dono, ma appena il mendicante voltava le spalle cominciava a deriderlo, imitato da tutta la corte.
Il mendicante non si scoraggiava.
Tornava ogni mattina a consegnare nelle mani del re il suo dono.
Il re lo prendeva e lo deponeva macchinalmente in una cesta posta accanto al trono.

La cesta conteneva tutte le mele portate dal mendicante con gentilezza e pazienza.

E ormai straripava.
Un giorno, la scimmia prediletta del re prese uno di quei frutti e gli diede un morso, poi lo gettò sputacchiando ai piedi del re.
Il sovrano, sorpreso, vide apparire nel cuore della mela una perla iridescente.
Fece subito aprire tutti i frutti accumulati nella cesta e trovò all’interno di ogni mela una perla.

Meravigliato, il re fece chiamare lo strano mendicante e lo interrogò.

“Ti ho portato questi doni, sire,” rispose l’uomo, “per farti comprendere che la vita ti offre ogni mattina un regalo straordinario, che tu dimentichi e butti via, perché sei circondato da troppe ricchezze.
Questo regalo è il nuovo giorno che comincia!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua” di Bruno Ferrero

L’albero dai frutti d’oro


L’albero dai frutti d’oro

C’era una volta un imbroglione che fu catturato e condannato a morte.
Chiese clemenza perché gli venisse salvata la vita e per convincere i giudici, offrì un segreto sbalorditivo:
il metodo per piantare alberi capaci di produrre frutti d’oro.
La notizia giunse al Sovrano, il quale pensò che valesse la pena fare un tentativo.
L’imbroglione spiegò che era pronto a dimostrare la sua straordinaria capacità:
gli sarebbero serviti soltanto un pizzico di polvere d’oro, e una pala.
Il sovrano accettò: “Ma, se non è vero, finirai nelle mani del boia!” disse.
Il mattino seguente, il Re insieme a tutta la sua corte, si ritrovarono nel giardino reale.
L’uomo si inchinò profondamente davanti a tutti i nobili e disse:

“Sua Maestà vedrà quanto è semplice.

Io scaverò una piccola buca nella terra:
vi metterò un pizzico d’oro e, per tre giorni, verserò un secchio d’acqua.
Il terzo giorno l’albero spunterà, e porterà tre frutti d’oro che a loro volta potranno essere seminati e diventare altri alberi, ognuno carico di frutti d’oro!”
“Allora!” si spazientì il Re “Smettila di chiacchierare, e semina l’oro!
Se fra tre giorni da ora non vedrò i frutti d’oro, finirai sul patibolo!”
“Oh, sommo Signore!” piagnucolò il furbo imbroglione “Non posso farlo io direttamente!
Tale segreto funzionerà solo a una condizione:
la mano che seminerà l’oro dovrà essere totalmente innocente e non aver mai commesso nulla di ingiusto!

In caso contrario il prodigio non avverrà.

Per questo motivo, come Sua Maestà potrà ben comprendere, non mi è possibile utilizzare il segreto da solo, per me stesso.
Ma, Sua Maestà è nobile e clemente, pertanto potrà compiere questo gesto.”
Il Re afferrò la vanga, ma gli venne in mente quello che aveva commesso durante l’ultima guerra in difesa del regno.
“Le mie mani grondano di crudeltà, compiute in guerra verso i nemici!
Renderei vana la magia.
È bene che ci provi qualcun altro.”
Il Sovrano fece un cenno verso il Ministro del Tesoro, ma il Ministro, invece di avvicinarsi, si ritrasse.
“Oh magnifico Sovrano, ti ho sempre servito fedelmente, ma una volta, una sola volta, mi è occorso un incidente increscioso nella camera del Tesoro:
un pezzo d’oro è rimasto attaccato alla suola delle mie scarpe, e così…”
“Va bene!” brontolò il Re “Sarà il mio incorruttibile Giudice supremo a impugnare la pala!”

Il Giudice rifiutò, con un inchino:

“Volentieri lo farei, Sire.
Tuttavia in questo momento sta per iniziare un importante processo a cui non posso assolutamente mancare… Scusatemi!”
Il Re si voltò a destra e a sinistra, e vide che piano piano, Ministri, gentiluomini, consiglieri, e cortigiani, se l’erano squagliata.
Allora si mise a ridere e, rivolto all’imbroglione, disse:
“Me l’hai fatta, furbo delinquente!
Così, ora so per certo che nessuno è innocente.
Neppure io!
Ho capito la lezione:
prendi i tuoi soldi, vattene, e non farti mai più vedere!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Desiderio per domani…


Desiderio per domani…

C’erano una volta tre anziani compagni di scuola che si ritrovarono dopo molto tempo.
Ognuno cominciò a raccontare la propria vita.
Uno era diventato un importante uomo d’affari ed un politico, un altro era un eminente studioso e il terzo un giardiniere.
Conversando intorno ad un bicchiere di buon vino, i tre uomini si scambiavano le impressioni sulla vita, che scorreva sempre più rapida.
Arrivarono alla conclusione che ogni giorno era un dono prezioso che ricevevano.

Giunsero così ad una bizzarra decisione:

“Impegniamoci a realizzare domani il desiderio più intenso che ci portiamo dentro.”
Ognuno confidò il proprio desiderio per l’indomani:
Il politico disse:
“lo voglio usare il mio prezioso servizio da tè di porcellana cinese e il mio magnifico cavallo per galoppare nella mia tenuta.”
Lo studioso disse:
“Io mi procurerò una tazza di cioccolata profumata e un libro antico pregiato da leggere seduto nella mia biblioteca.”

Il giardiniere disse:

“Io domani vorrei godermi una bella giornata di sole, ascoltando un ruscello di acqua gorgogliante, degli uccelli che cantino in cielo e sugli alberi.
Questi ultimi colmi di frutti maturi.”
Proprio quella notte un forte terremoto scosse la regione.
Quando il politico cercò la sua porcellana la trovò in frantumi; il suo prezioso cavallo era morto sotto il muro della scuderia, che a causa del terremoto era crollato.

Lo studioso non riuscì a bere la cioccolata né a leggere,

perché nella sua casa non c’era più una tazza rimasta intatta; la sua biblioteca aveva preso fuoco e tutti i suoi libri erano ormai perduti.
Il giardiniere invece poté godersi il sole che scaldava il suo giardino, bere l’acqua fresca del ruscello e, anche se il deposito degli attrezzi era stato distrutto dal terremoto, gli alberi erano rimasti in piedi, colmi di frutti; anche gli uccelli cantavano come tutti gli altri giorni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’albero e il bambino


L’albero e il bambino

C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino andava a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice.”

“Voglio dei soldi.

Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare.” disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi.
Voglio dei soldi.
Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace,” rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi.
Ho solo foglie e frutti.
Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città.
Così avrai dei soldi e sarai felice.”
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice.”
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi.” rispose il bambino “Voglio una casa che mi ripari.” continuò, “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa.

Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa,” disse l’albero “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa.
Allora sarai felice.”
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio,” mormorò “vieni a giocare.”
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare.” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui.
Tu puoi darmi una barca?”
“Taglia il mio tronco e fatti una barca;” disse l’albero, “così potrai andartene ed essere felice.”
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio,” disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti…

Non ho più frutti.”

“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti.” disse il bambino.
“Non ho più rami,” continuò l’albero, “non puoi più dondolarti.”
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami.” disse il bambino.
“Non ho più tronco.” disse l’albero, “Non puoi più arrampicarti.”
“Sono troppo stanco per arrampicarmi.” disse il bambino.
“Sono desolato.” sospirò l’albero.
“Vorrei tanto donarti qualcosa… ma non ho più niente.
Sono solo un vecchio ceppo.
Mi rincresce tanto…”
“Non ho più bisogno di molto, ormai.” disse il bambino.
“Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi.
Mi sento molto stanco.”
“Ebbene,” disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.
Avvicinati, bambino mio, siediti.
Siediti e riposati.”
Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.

Brano di Shel Silverstein