La cocorita Francesca

La cocorita Francesca

In una giungla piena di suoni e di colori, viveva una cocorita che aveva il carattere festoso e vivace come le sue piume azzurre, verdi, oro e arancione.
Si divertiva a svolazzare nell’intrico dei rami, giocava a nascondino con altri pappagallini colorati e con i bengalini candidi.
Si chiamava Francesca e ovunque arrivava riusciva a comunicare la sua intensa gioia di vivere.
Perfino le scimmie, che non sopportavano cocorite e pappagallini, facevano eccezione per la cocorita Francesca.
Era un uccellino felice, grato di essere vivo e di avere avuto in dono un paio di ali per volare e un bellissimo vestito di piume morbido e screziato.
Ogni mattina, appena il sole irrompeva attraverso lo spesso fogliame, si levava il suo grido:

“È una bellissima giornata!

Forza fratelli, non fate i pigroni, spalancate le ali: il cielo è tutto nostro!”
E incominciava a tracciare arabeschi nell’aria, come un fiore multicolore portato dal vento.
Ma, un brutto giorno, il cielo sulla foresta si fece improvvisamente nero e minaccioso come una palude senza sole.
Un silenzio pesante, pieno di paura, attanagliò le creature della giungla.
Le cocorite si strinsero tremanti le une alle altre, a formare una nube tremante.
Un vento violento afferrò le chiome degli alberi più alti e cominciò a scuoterli come se volesse sradicarli, rovesciando nidi e piccoli pappagallini che non sapevano ancora volare.
Poi cominciò la sarabanda dei tuoni e dei fulmini.
Staffilate di fuoco sibilavano dal cielo e colpivano senza pietà i vecchi tronchi, finché improvvisa si levò una fiamma e un albero centenario prese fuoco, urlando il suo dolore, con i rami nodosi levati verso il cielo come un’ultima disperata invocazione di aiuto.
“Il fuoco!
Si salvi chi può!” tutte le lingue animali della foresta gridarono all’unisono il loro terrore.
Migliaia di animaletti cominciarono a fuggire, ma il fumo acre e impenetrabile toglieva loro il respiro, faceva bruciare gli occhi e impediva crudelmente di vedere le vie di scampo.
La cocorita Francesca volava affannata, cercando di guidare i più piccoli e i più spaventati:
“Di qua!
Correte di qua!

Il fiume è da questa parte!”

Molti animali, sentendo il suo grido, si affrettarono a fuggire verso il corso d’acqua, altri invece finivano intrappolati dal fuoco e dal fumo.
Francesca, invece di mettersi in salvo, come tutti gli uccelli, continuava a sorvolare i più sfortunati, cecando un modo per aiutarli.
La disperazione le suggerì un’idea.
Volò sino al fiume che scorreva ai margini della foresta e lì si immerse nelle acque scure.
Poi riemerse con il corpicino intriso d’acqua e volò sull’inferno di fiamme, scrollando e scuotendo le piume per liberare le gocce d’acqua e farle piovere sulle fiamme.
Incurante del pericolo, sfiorando coraggiosamente le fiamme, tornò indietro e si immerse di nuovo nel fiume.
Poi, via!
“A scagliare il suo carico prezioso sul fuoco che continuava a ruggire.
Piccole gemme piovevano sul rogo.
Una cosa insignificante, ma la cocorita coraggiosa e testarda ripeté più e più volte il suo viaggio tra il fiume e le fiamme.
Le sue belle piume erano tutte bruciacchiate e il suo colore era quello della cenere, non riusciva più a tenere aperti gli occhi, ma non le importava.
“Che altro posso fare!” si ripeteva, “Solo volare, ed io volerò fino allo stremo delle forze pur di salvare una sola vita!”
Due occhi acuti, ma vagamente annoiati osservavano tutto dall’alto.
Un gigantesco avvoltoio veleggiava, godendosi lo spettacolo della giungla in fiamme.
Scorse la cocorita impegnata nella sua lotta contro il fuoco e sghignazzò:

“Che stupida bestia.

Come può pensare di domare il fuoco con quattro gocce d’acqua?
Chi ha mai visto una cosa del genere?”
Il coraggio dell’uccellino però lo aveva commosso un po’ e scese in picchiata verso la foresta in fiamme.
La cocorita stava ancora sfidando il fuoco quando vide apparire al suo fianco l’enorme avvoltoio dagli occhi gialli.
“Vattene, uccellino, il tuo compito è senza speranza!” gracchiò imperioso l’avvoltoio, “Cosa possono fare poche gocce d’acqua contro questo inferno?
Vola lontano prima che sia troppo tardi!”
“Non posso.
Devo fare qualcosa, devo tentare!” rispose la cocorita.
“Guarda in che stato sei!” continuò l’avvoltoio, “Fra un po’ finirai in una fiammata, mi sembri un tizzone affumicato!”
“Riesco ancora a volare…
Qualcosa farò!” replicò la cocorita.
“Ma che ti importa di loro?
Non hanno mai fatto niente per te.” esclamò l’avvoltoio.

“Sono miei amici:

li voglio salvare.” spiegò la cocorita.
La cocorita, stremata e ferita non ascoltava più.
Ostinata, continuava a fare la spola tra l’acqua e il fuoco.
L’avvoltoio, prima di sparire oltre le colonne di fumo, gridò:
“Basta!
Fermati stupida piccola cocorita!
Salva te stessa!”
Francesca era irremovibile.
“Ci mancava anche l’avvoltoio con i suoi consigli!” brontolava, “Consigli!
Anche la nonna e tutti i miei parenti mi direbbero le stesse cose.
Non ho bisogno di consigli, ma di qualcuno che mi aiuti!”
Proprio in quel momento, un gran frullare di ali riempì il cielo.
Una nube colorata, gialla, verde, blu, rossa e bianca si affiancò alla piccola cocorita.
Migliaia e migliaia di cocorite, pappagallini, bengalini, tucani, uccelli piccoli e grandi, si immergevano nell’acqua e andavano a scrollare le piume sul fuoco.
Le fiamme erano violente, ma gli uccelli erano milioni e arrivavano a ondate successive, senza smettere mai.

Come stupito, il fuoco si arrestò.

E cominciò lentamente a sfrigolare e illanguidire.
La cocorita Francesca, insieme alle poche gocce d’acqua che aveva raccolto, scagliò sulle fiamme anche le sue lacrime.
Ma erano lacrime di gioia.
“Grazie.” mormorò e cadde a terra, senza più un filo di forza.
Quando si risvegliò il temporale era scoppiato e l’acqua del cielo stava completando l’opera iniziata dalla coraggiosa cocorita.
“Urrà per Francesca!” gridarono gli abitanti della foresta, che le stavano tutti intorno.
La piccola cocorita aprì gli occhi e disse:
“È una bellissima giornata!”

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La bibbia da leggere

La bibbia da leggere

Il missionario gli aveva regalato una copia del Nuovo Testamento e Lin Ku, un abitante del Borneo, aveva cominciato ad arrotolare le sigarette con quella carta così eccellente.
Matteo, Marco e Luca se n’erano già andati in fumo.

Gettò uno sguardo frettoloso sul prossimo foglio:

“In principio era la Parola…”
“Non ci capisco niente!” e strappò via la pagina.
Ma come stava per arrotolare il tabacco con il terzo capitolo, si fermò sorpreso:

“Dio ha tanto amato il mondo…”

“Un Dio che ama?” Lin Ku conosceva solo dei che bisognava tenere buoni e continuò a leggere “Che ha mandato il suo unico Figlio…”
Alllora Lin Ku andò di nuovo dal missionario, per farsi dare un’altra copia del libro, ma questa volta per leggerlo.

Brano senza Autore.

L’aureola le sta troppo stretta

L’aureola le sta troppo stretta

Un uomo andò dal medico e gli disse:
“Dottore, ho un terribile mal di testa che non mi abbandona un istante.
Mi potrebbe dare qualche cosa per farmelo passare?”
“Certamente,” rispose il dottore, “ma prima ho bisogno di sapere da lei alcune cose!

Mi dica, beve molti liquori?”

“Liquori?” esclamò l’uomo indignato, “Non bevo mai quelle schifezze!”
“E fuma?” domandò il dottore.
“Trovo il fumo disgustoso!” replicò l’uomo, “Non ho mai toccato il tabacco in vita mia!”
“Sono un po’ imbarazzato nel farle questa domanda, ma… sa come sono certi uomini… le capita di avere qualche avventura notturna?” chiese ancora il dottore.

“Naturalmente no.

Per chi mi prende?
Vado a dormire tutte le sere alle dieci al massimo!” rispose l’uomo.
“Mi dica,” proseguì il dottore, “questo dolore che sente alla testa è come una fitta acuta e lancinante?”
“Sì!” esclamò l’uomo, “È proprio così, una fitta acuta e lancinante!”

“Molto semplice, mio caro signore!”

spiegò allora il dottore, “Il suo problema è che l’aureola le sta troppo stretta.
Non c’è che da allentarla un po’!”

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

Il salto nelle braccia di papà

Il salto nelle braccia di papà

Era una famiglia felice e viveva in una casetta di periferia.
Ma una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio.

Mentre le fiamme divampavano, genitori e figli corsero fuori.

In quel momento si accorsero, con infinito orrore, che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni.
Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore.
Che fare?
Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare.

Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile…

E i vigili del fuoco tardavano.
Ma ecco che lassù, in alto, s’aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò, urlando disperatamente:
“Papà! Papà!”
Il padre accorse e gridò: “Salta giù!”
Sotto di se il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma senti la voce e rispose:

“Papà, non ti vedo…”

“Ti vedo io, e basta. Salta giù!” urlò l’uomo.
Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

I due giovani monaci

I due giovani monaci

Due giovani monaci studiavano in seminario, ed entrambi erano incalliti fumatori.
Il loro problema era:

“Posso fumare mentre prego?”

Non riuscendo a risolverlo, decisero di rivolgersi ai loro superiori.
Più tardi, uno chiese all’altro che cosa gli aveva detto il superiore.
“Sono stato rimproverato aspramente solo per aver parlato del fatto,”

disse il primo, “ed il tuo superiore, cosa ti ha detto?”

“Il mio fu molto compiaciuto,” disse il secondo, “mi ha detto che facevo benissimo.
Ma dimmi, che domanda gli hai fatto?”
“Gli ho chiesto se posso fumare mentre prego.” esclamò il primo.
Il secondo rispose:

“Te la sei voluta tu.

Io gli ho chiesto:
posso pregare mentre fumo?”

Brano di Ramesh Balsekar

Il fumo e l’arrosto


Il fumo e l’arrosto

Nelle città orientali vi sono strade in cui i cuochi preparano le pietanze più squisite sul posto, e la gente si affolla intorno alle loro bancarelle per mangiare e far acquisti.
Ad una di queste bottegucce ambulanti, si avvicinò un giorno un povero saraceno.
Non avendo denari per comprarsi qualcosa, allungò il suo pane sopra una teglia di arrosto, lo impregnò del fumo appetitoso che ne usciva, e se lo mangiò avidamente.
Ma proprio quella mattina, il cuciniere non aveva fatto buoni affari ed era di malumore.
Perciò si rivolse con ira al povero saraceno e gli disse:

“Pagami quello che hai preso!”

“Ma io dalla tua cucina non ho preso altro che fumo!” rispose il poveretto.
“E tu pagami il fumo!” tuonò il cuoco inviperito.
La cosa finì in tribunale.
Il Sultano chiamò a raduno tutti i saggi del regno e propose loro di risolvere la questione.

Cominciarono dunque a discutere e sottilizzare:

chi dava ragione all’uno col pretesto che il fumo appartiene al padrone dell’arrosto, e chi all’altro, sostenendo che il fumo è di tutti, come l’aria che si respira.
Finalmente, dopo lunghe perplessità, la sentenza fu questa:
“Dacché il povero ha goduto il fumo, ma non ha toccato l’arrosto, prenda una moneta e la batta sul banco.

Il suono della moneta pagherà il cuciniere.”

Così fu fatto.
In cambio del fumo dell’arrosto, il cuoco ebbe il suono della moneta.

Novella Araba.
Brano senza Autore, tratto dal Web