L’albero dai frutti d’oro


L’albero dai frutti d’oro

C’era una volta un imbroglione che fu catturato e condannato a morte.
Chiese clemenza perché gli venisse salvata la vita e per convincere i giudici, offrì un segreto sbalorditivo:
il metodo per piantare alberi capaci di produrre frutti d’oro.
La notizia giunse al Sovrano, il quale pensò che valesse la pena fare un tentativo.
L’imbroglione spiegò che era pronto a dimostrare la sua straordinaria capacità:
gli sarebbero serviti soltanto un pizzico di polvere d’oro, e una pala.
Il sovrano accettò: “Ma, se non è vero, finirai nelle mani del boia!” disse.
Il mattino seguente, il Re insieme a tutta la sua corte, si ritrovarono nel giardino reale.
L’uomo si inchinò profondamente davanti a tutti i nobili e disse:

“Sua Maestà vedrà quanto è semplice.

Io scaverò una piccola buca nella terra:
vi metterò un pizzico d’oro e, per tre giorni, verserò un secchio d’acqua.
Il terzo giorno l’albero spunterà, e porterà tre frutti d’oro che a loro volta potranno essere seminati e diventare altri alberi, ognuno carico di frutti d’oro!”
“Allora!” si spazientì il Re “Smettila di chiacchierare, e semina l’oro!
Se fra tre giorni da ora non vedrò i frutti d’oro, finirai sul patibolo!”
“Oh, sommo Signore!” piagnucolò il furbo imbroglione “Non posso farlo io direttamente!
Tale segreto funzionerà solo a una condizione:
la mano che seminerà l’oro dovrà essere totalmente innocente e non aver mai commesso nulla di ingiusto!

In caso contrario il prodigio non avverrà.

Per questo motivo, come Sua Maestà potrà ben comprendere, non mi è possibile utilizzare il segreto da solo, per me stesso.
Ma, Sua Maestà è nobile e clemente, pertanto potrà compiere questo gesto.”
Il Re afferrò la vanga, ma gli venne in mente quello che aveva commesso durante l’ultima guerra in difesa del regno.
“Le mie mani grondano di crudeltà, compiute in guerra verso i nemici!
Renderei vana la magia.
È bene che ci provi qualcun altro.”
Il Sovrano fece un cenno verso il Ministro del Tesoro, ma il Ministro, invece di avvicinarsi, si ritrasse.
“Oh magnifico Sovrano, ti ho sempre servito fedelmente, ma una volta, una sola volta, mi è occorso un incidente increscioso nella camera del Tesoro:
un pezzo d’oro è rimasto attaccato alla suola delle mie scarpe, e così…”
“Va bene!” brontolò il Re “Sarà il mio incorruttibile Giudice supremo a impugnare la pala!”

Il Giudice rifiutò, con un inchino:

“Volentieri lo farei, Sire.
Tuttavia in questo momento sta per iniziare un importante processo a cui non posso assolutamente mancare… Scusatemi!”
Il Re si voltò a destra e a sinistra, e vide che piano piano, Ministri, gentiluomini, consiglieri, e cortigiani, se l’erano squagliata.
Allora si mise a ridere e, rivolto all’imbroglione, disse:
“Me l’hai fatta, furbo delinquente!
Così, ora so per certo che nessuno è innocente.
Neppure io!
Ho capito la lezione:
prendi i tuoi soldi, vattene, e non farti mai più vedere!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La conquista della penna d’aquila


La conquista della penna d’aquila

In riva ad un lago azzurro, sorgeva un tranquillo villaggio indiano.
A mezzogiorno e a sera, dalle tende uscivano fumo e fragranti profumi che mettevano appetito ai piccoli indiani che giocavano.
Una sera d’estate, il clima del villaggio sembrò improvvisamente cambiare.
Gli uomini della tribù si raccolsero tutti nella tenda di Bisonte Nero, il grande capo, per il consiglio dei saggi e degli anziani.
Si erano riuniti per una questione importante che riguardava i piccoli indiani che avevano compiuto sette anni, dovevano cioè decidere quale sarebbe stata la “prova di forza” che avrebbero dovuto superare per essere accettati come membri della tribù.

Era ormai calato il sole, quando dalla tenda uscirono gli uomini, gli anziani e il grande capo.

I piccoli indiani si avvicinarono a Bisonte Nero impazienti di sapere quale sarebbe stata la prova di forza, e lui con voce solenne dichiarò:
“Domani all’alba con il primo raggio di sole, partirete con le vostre canoe verso l’altra riva del lago e cercherete la penna d’aquila dorata che è nascosta in un posto segreto.”
Al primo chiarore, apparvero dietro le montagne le ombre dei giovani indiani che portavano le loro canoe verso la riva del lago.
Stavano tutti indaffarati a prepararsi quand’ecco arrivare, camminando lentamente, Falco Stanco, un vecchio indiano che abitava in un villaggio dall’altra parte del lago.
Il vecchio si avvicinò ai bambini e disse loro:
“Sono vecchio e stanco e per tornare dalla mia tribù devo andare sull’altra riva del lago, e a piedi ci impiegherei tutta la notte.
Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?”
Il piccolo Volpe Astuta guarda gli altri e dice:
“Ma noi dobbiamo fare la prova di forza!”

E tutti gli altri dissero:

“No, non è possibile; se fosse un altro giorno sì, ma oggi dobbiamo correre.”
“Eh, sì!” pensò Nuvola Rossa “Se uno di noi prende sulla sua canoa Falco Stanco, rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna d’aquila.
Ma che fatica dovrà fare, povero vecchio, per compiere il giro del lago.
E come sarà triste se gli diremo tutti di no!”
Nuvola Rossa si avvicinò al vecchio e disse, deciso:
“Vieni, Falco Stanco; ti porto io!”
Gli altri sorpresi lo guardarono e pensarono:
“Nuvola Rossa non è stato molto furbo, così rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna, ha perso la sua occasione, lui che è tra i ragazzi più abili!”
In quel momento spuntò il primo raggio di sole e con un grido di gioia i piccoli indiani partirono veloci.
Nuvola Rossa vedeva i suoi amici molto più avanti di lui, ormai lontani, e gli venne il dubbio di aver sbagliato.
Poi guardava Falco Stanco, vedeva il suo viso rugoso che sorrideva felice e sentiva nel suo cuore una voce che gli diceva:

“Hai fatto bene, hai fatto bene!”

I piccoli indiani avevano già preso a cercare nei boschi, quando verso Mezzogiorno arrivò anche Nuvola Rossa.
Il piccolo indiano era tutto sudato per la fatica e pensava che già vi era un vincitore.
Ma, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora trovato la penna d’aquila.
Nuvola Rossa riprese forza e entusiasmo, salutò Falco Stanco e si accinse alla ricerca.
Ma il vecchio indiano lo chiamò:
“Aspetta, vieni qui!
Ti devo dare una cosa!”
Un po’ a malincuore, Nuvola Rossa si fermò e andò verso Falco Stanco.
“Ieri sera,” proseguì l’anziano “il grande capo del tuo villaggio mi ha detto:
domani all’alba, quando vorrai tornare al tuo villaggio, recati dai piccoli indiani, chiedi loro di portarti sull’altra sponda, e a chi lo farà quando sarete arrivati, consegnagli questa.”
E Falco Stanco tirò fuori una meravigliosa penna d’aquila dorata!
Nuvola Rossa la afferrò e la sollevò con un urlo di gioia.

Gli altri accorsero pieni di stupore.

Falco Stanco rivolgendosi a Nuvola Rossa disse:
“Hai vinto la prova, perché la forza più grande è la forza dell’amore, e tu hai dimostrato di averla aiutandomi.
Nuvola Rossa ha avuto il coraggio di fare quello che nessuno voleva fare!”
I piccoli indiani si guardarono l’un l’altro, poi dissero:
“E’ vero, la forza più grande è l’amore e adesso anche noi vogliamo fare come Nuvola Rossa!”
Falco Stanco li salutò con la mano e pensò:
“Sì, questo è stato un giorno importante per i piccoli indiani perché hanno imparato che c’è qualcosa nella vita che vale più dell’ arrivare primi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web