Le ali ai progetti di oggi

Le ali ai progetti di oggi

Un giorno i tre grandi agenti del Tempo:
il Passato, il Presente e il Futuro discutevano sull’importanza della loro presenza nella vita degli uomini e delle donne di ogni epoca.

“Io resto sempre nella memoria della gente,”

diceva il Passato, “e ne alimento i ricordi e le emozioni!”
“Io,” intervenne il Presente, “aiuto le persone a discernere e a valutare le esperienze fatte con te, così che possono programmare saggiamente e con meno errori il loro avvenire!”
“E tu, cosa dici di te?” domandò il Tempo rivolto al Futuro che era rimasto in silenzio.

E questi rispose:

“Io sono il domani che dà le ali ai progetti di oggi.”
Ognuno ha un ruolo da svolgere nella vita.
È importante, però, che sia utile a sé e agli altri.

Brano senza Autore.

Figlio, anche io, come te…

Figlio, anche io, come te…

Amore mio, prima di essere mamma sono stata figlia…
Anche io, come te, ho avuto i miei momenti belli, ma anche quelli brutti.

Anche a me, come a te, molte cose non piacevano.

Anche io, come te, ero ribelle e sempre contro tutti.
Anche io, come te, facevo arrabbiare la mia mamma.
Anche io, come te, avevo i miei sogni… per me irrealizzabili.
Anche io, come te, odiavo la scuola…

ma solo oggi mi rendo conto di quanto sbagliavo!

Dico questo per farti capire che tutti abbiamo i nostri sogni da realizzare.
Da figlia ti capisco e ti comprendo perché ci sono passata come te, ma da mamma non posso restare a guardare mentre tu vuoi buttare via il tuo futuro!
Io ti sarò vicina in qualsiasi momento tu ne abbia bisogno e

ti aiuterò finché avrò forza a raggiungere i tuoi obbiettivi.

Uno tra tutti la tua istruzione amore mio!
È difficile passare da figlia a mamma, ma la gioia di un figlio non te la dà nessuno.

Brano senza Autore.

L’aiuto missionario

L’aiuto missionario

Mentre il Padreterno è intento a leggere la posta del mattino, qualcuno bussa energicamente alla porta del suo studio.
Sono Gesù, lo Spirito Santo e la Madonna con tanti bambini.

“Perché piangete?” chiede il Padreterno.

“Padre Santo,” risponde Maria, “molti bambini che tu hai mandato sulla terra un mese fa, sono ritornati perché sono stati rifiutati!”
Il Padreterno diventa triste e domanda a Gesù:
“È ritornato anche Arturo, il futuro scienziato a cui avevo consegnato la cura del cancro?”

“Si, Padre mio, anche lui!” rispose Gesù.

“La piccola Matilde, è ritornata anche lei?” domandò ancora il Padreterno.
“Si,” risponde lo Spirito Santo, “i genitori a cui l’avevi affidata non volevano una bimba down!”
Mentre il Padreterno si asciuga le lacrime dice:

“Il mio piccolo Kimbi, la mia perla nera, è rientrato anche lui?”

“No,” risponde felicemente la Santa Vergine, “lui è rimasto in Africa, l’aiuto e l’impegno missionario di Rino e dei suoi amici, hanno permesso alla sua mamma di poterlo accogliere anche se molto povera.
Il Padreterno, rincuorato da questa bella notizia, si alza in piedi e dice:
“Da questo momento, tutti i bambini che sono rientrati saranno gli angeli protettori di Rino e di tutti coloro che difendono la vita!”

Brano senza Autore.

Nobile e plebeo in mezz’ora

Nobile e plebeo in mezz’ora

Come già narrato precedentemente, in quarta elementare fui bocciato per un gatto.
I miei genitori, preoccupati per il mio futuro visto che avrei dovuto ripetere la quarta classe, mi palesarono la possibilità di andare in un collegio gestito da religiosi, aventi la nomea di essere all’avanguardia per metodi e contenuti di insegnamento.

Accettai questa proposta con grande entusiasmo.

Non ringrazierò mai abbastanza tutti coloro che incontrai nel collegio, perché ebbi una grande opportunità di recupero formativo e di riscatto, essendomi trovato molto bene.
Nell’entrarvi mi accolse il padre rettore:
una figura carismatica che mi fece delle domande amichevoli mettendomi a mio agio.

Vedendo il mio cognome mi chiese:

“Dino, sai che la particella De davanti al cognome è un segno di nobiltà?”
In paese non avevo la percezione di ricchezza e di povertà, tantomeno di nobiltà, dato che eravamo tutti contadini con lo stesso stile di vita e scoprire che potevo avere origini nobili mi fece piacere, anche se non capii appieno il significato.
Non passò mezza ora che tutto cambiò drasticamente.
Come corredo, dovevamo portarci le coperte da casa e nel prepararmi il letto nella grande camerata scoprii che gli altri avevano coperte di marca ed io, invece, di foggia militare.
Scoprii in seguito che una grande quantità di coperte erano rimaste in paese in seguito alla ritirata delle truppe tedesche dall’Italia, e per questo io ne possedevo una.

Scoprii per la prima volta di essere povero, altro che nobile.

La situazione si livellò però nelle settimane seguenti, dato che ero il solo a ricevere ogni domenica la visita dei miei parenti.
A differenza di tanti miei compagni, che erano ricchi sì, ma anche, parcheggiati nel collegio.
Nobile o plebeo, capii che la differenza la fa l’amore e, lo stemma araldico della mia famiglia visibile su Google, mi fa solo sorridere e ricordare quel giorno.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Ti auguro…

Ti auguro…

Ti auguro il coraggio di girare pagina quando le cose non vanno come dovrebbero, o semplicemente, come vorresti che andassero.
Ti auguro la forza di lasciar perdere, tutte le volte in cui, pur mettendoci tutta la volontà del mondo,

non si può ingranare.

Ti auguro di non ancorarti a qualcosa che non può e non potrà farti sorridere e piangere di felicità.
Ti auguro la voglia di osare sempre, la capacità di ascoltare i consigli di chi ti vuole bene ma, poi, puntualmente, la caparbietà di decidere solo in base a quel che senti, a ciò che provi.

Ti auguro di poter ricominciare sempre,

anche quando la vita e le situazioni non saranno dalla tua parte perché chi non ricomincia inciampa, inevitabilmente, in ricordi aggrovigliati che ti fanno smettere di pensare al futuro.
Abbi la forza di conservare i momenti vissuti ma di non vivere dentro essi.
Sii forte.

Brano tratto dal libro “La sindrome di Wanderlust.” di Emma Redegalli

Le cose che ho imparato nella vita

Le cose che ho imparato nella vita

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:

  • Non importa quanto buona sia una persona, ogni tanto ti ferirà.
    E per questo bisognerà che tu la perdoni.
  • Ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
  • Non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
  • Le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
  • Dovrai essere tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.
  • Gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
  • La pazienza richiede molta pratica.
  • Ci sono persone che ci amano profondamente, ma semplicemente non sanno come dimostrarlo.
  • A volte la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
  • Solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
  • Non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.
  • Non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno.
    Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
  • Non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma aspettando che tu lo ripari.
  • Forse Dio vuole che incontriamo un po’ di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così, quando finalmente la incontreremo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
  • Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre,

    ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.

  • La miglior specie d’amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti come se sia stata la miglior conversazione mai avuta.
  • È vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
  • Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un’ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
  • Non cercare le apparenze: possono ingannare.
    Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.
  • Cerca qualcuno che ti faccia sorridere, perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia.
  • Trova la persona che faccia sorridere il tuo cuore.
  • Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
  • Sogna ciò che ti va, vai dove vuoi, sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
  • Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.
  • Mettiti sempre nei panni degli altri.
    Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
  • Le più felici delle persone non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
  • L’amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un the.
  • Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori.
  • Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
    Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te piange.
Brano di Paulo Coelho

I Re Magi dimenticati

I Re Magi dimenticati

I ragazzi dell’oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale.
Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe.
C’era una particina perfino per il bue e l’asino.
Avevano distribuito le parti.
Tutti volevano fare Giuseppe e Maria.
Nessuno voleva fare la parte dell’asino.
Avevano così deciso di travestire da asino il cane di Lucia.

Era abbastanza grosso e pacifico:

con le orecchie posticce faceva un asinello passabile.
Purché non sì fosse messo ad abbaiare in piena scena…
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò:
“Avete dimenticato i Re Magi!”
Enzo, il regista, si mise le mani nei capelli.
Mancava solo un giorno alla rappresentazione.
Dove trovare tre Re Magi così su due piedi?
Fu don Pasquale, il vice parroco, a trovare una soluzione.
“Cerchiamo tre persone della parrocchia.” disse, “Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengano con i loro abiti di tutti i giorni e portino un dono a Gesù Bambino.
Un dono a loro scelta.
Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono.”

La squadra dei ragazzi si mise in moto.

Nel giro di due ore, erano stati trovati i tre Re Magi.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito.
Il cane-asino si addormentò e la barba di san Giuseppe non si staccò.
Senza che nessuno lo potesse prevedere, però, l’entrata in scena dei tre Re Magi divenne il momento più commovente della serata.
Il primo Re era un uomo di cinquant’anni, padre di cinque figli, impiegato del municipio.
Portava in mano una stampella.
La posò accanto alla culla del Bambino Gesù e disse:
“Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d’auto.
Uno scontro frontale.
Fui ricoverato all’ospedale con parecchie fratture.

I medici erano pessimisti sul mio recupero.

Nessuno azzardava un pronostico.
Da quel momento incominciai ad essere felice e riconoscente per ogni più piccolo progresso:
poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via.
Quei mesi in ospedale mi cambiarono.
Sono diventato un umile scopritore di quanto sia bello ciò che possiedo.
Sono riconoscente e felice per le cose piccole e quotidiane di cui prima non mi accorgevo.
Porto questa stampella a Gesù Bambino in segno di riconoscenza.”
Il secondo Re era una “Regina,” madre di due figli.
Portava un catechismo.
Lo posò accanto alla culla del Bambino e disse:
“Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata.
Poi i ragazzi sono cresciuti e ho incominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi.
Chiesi al parroco di fare catechismo ai bambini.
Così ridiedi un senso a tutta la mia vita.

Mi sento come un apostolo, un profeta:

aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un’attività che mi appassiona.
Sento di nuovo di essere importante.”
Il terzo Re era un giovane.
Portava un foglio bianco.
Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse:
“Mi chiedevo se fosse il caso di accettare questa parte.
Non sapevo proprio che cosa dire, né che cosa portare.
Le mie mani sono vuote.
Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la mia vita.
Dentro di me si ammucchiano inquietudini, domande, attese, errori, dubbi.
Non ho niente da presentare.
Il mio futuro mi sembra così vago.
Ti offro questo foglio bianco, Bambino Gesù.
Io so che sei venuto per portarci speranze nuove.
Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita.
Ora che ci sei tu, tutto cambierà!”

Brano tratto dal libro “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La leggenda della farfalla blu

La leggenda della farfalla blu

La leggenda della farfalla blu narra di un uomo vissuto molti anni fa, rimasto vedovo e con due figlie di cui prendersi cura.
Le due bambine erano estremamente curiose, intelligenti e desiderose di imparare.
Per saziare la loro fame di conoscenza, riempivano in continuazione il padre di domande.
Talvolta egli dava loro risposte sagge, ma non sempre era facile convincere le due bambine o rispondere correttamente ai loro quesiti.
Notando l’inquietudine delle sue due figlie, l’uomo decise di mandarle in vacanza presso un saggio che viveva sull’alto di una collina,

per convivere insieme ed imparare da lui.

Il saggio si mostrò in grado di rispondere senza alcuna esitazione a qualsiasi quesito da parte delle due bambine.
Un giorno, però, le due sorelle decisero di architettare un’astuta trappola per il saggio per poter misurare la sua saggezza.
Una notte, le due si misero ad ideare un piano:
proporre al saggio una domanda alla quale egli non fosse in grado di rispondere.
“Come possiamo ingannare il saggio?
Quale domanda potremmo fargli per coglierlo impreparato?” domandò la sorella minore.
“Aspettami qui, te lo mostro subito.” rispose la più grande.
La sorella maggiore discese la collina, e passata un’ora, tornò con il grembiulino chiuso a mo’ di sacco, nascondendo qualcosa.
“Cos’hai lì?” chiese la sorella piccola.
La sorella maggiore infilò una mano nel grembiule e mostrò alla bambina una splendida farfalla blu.

“Che meraviglia!

Cos’hai intenzione di farne?” domandò allora la sorella piccola.
“Sarà questa l’arma che ci permetterà di ingannare il maestro con una domanda a trabocchetto.
Lo cercheremo e, una volta trovato, terrò la farfalla nascosta in una mano.
Domanderò poi al saggio di dirmi se la farfalla che ho in mano sia viva o morta.
Se egli mi dirà che è viva, stringerò forte la mano e la ucciderò.
Se risponderà che è morta, la lascerò libera.
Qualunque sia la sua risposta sarà dunque sempre errata!”
Accogliendo la proposta della sorella maggiore, entrambe le bambine si misero alla ricerca del saggio.
“Saggio,” disse la più grande, “sapresti indicarci se la farfalla che ho tra le mani è viva o morta?”

Al che il saggio, con uno scaltro sorriso, rispose:

“Dipende da te, essa è nelle tue mani!”

Il nostro presente e il nostro futuro sono unicamente nelle nostre mani.
Quando qualcosa va storto, non bisogna dare la colpa a nessuno.
Siamo sempre e solo noi gli unici responsabili di ogni nostra perdita e ogni nostra conquista.
La farfalla blu rappresenta la nostra vita.
Sta a noi decidere cosa fare di essa.

Leggenda Popolare.
Brano senza Autore.

Il professore e gli studenti di sociologia

Il professore e gli studenti di sociologia

Un docente universitario inviò i suoi studenti di sociologia nei quartieri poveri di Baltimora per raccogliere dati sulla situazione sociale di duecento ragazzi.
Gli studenti dovevano scrivere una valutazione sul futuro di ciascun ragazzo.

In ogni valutazione scrissero:

“Non ha possibilità.”
Venticinque anni dopo, un altro docente di sociologia trovò per caso lo studio precedente e incaricò i suoi allievi di compiere un’indagine di controllo per vedere che cosa ne fosse stato di quei ragazzi.
Con l’eccezione di venti di loro che si erano trasferiti o erano morti, si apprese che 176 dei rimanenti 180 avevano ottenuto un successo superiore alla media in qualità di avvocati, medici e uomini d’affari.

Il professore rimase sbalordito e decise di approfondire l’argomento.

Per fortuna tutti gli uomini si trovavano nella zona e il professore fu in grado di domandare a ciascuno:
“Come spiega il suo successo?”
In ogni caso la risposta emozionata fu:

“Merito dell’insegnante!”

L’insegnante era ancora viva, per cui il professore la rintracciò e domandò all’anziana, ma ancora arzilla signora, quale formula magica avesse usato per far uscire quei ragazzi dai bassifondi e dar loro un futuro di successo.
Gli occhi dell’insegnante brillarono e le labbra si incresparono in un lieve sorriso:
“Davvero è molto semplice.” disse, “Ho voluto bene a quei ragazzi!”

Brano tratto dal libro “Brodo caldo per l’anima. Volume I” di Jack Canfield e Mark Victor Hansen

A volte dimentichiamo…

A volte dimentichiamo…

A volte dimentichiamo la nostra importanza.
A volte dimentichiamo che se siamo qui, su questa terra, c’è una ragione, perché tutto ha motivo di essere; dalla forma di vita più piccola ed immobile a quella più maestosa e preponderante.
A volte dimentichiamo che la nostra vita è fatta per entrare in contatto con quella degli altri e che, attraverso gli altri, essa si evolve, cambia, si “aggiusta” per il futuro.
Quando ci sentiamo vuoti, insensati e senza speranza pensiamo a quanto la nostra vita potrebbe essere diversa se, invece di chiuderci come gabbie intorno alla nostra anima, la lasciassimo libera di portare felicità a chi incontra.
Quello che dimentichiamo più spesso è che abbiamo il diritto di essere felici ma anche il dovere di portare felicità al mondo.

Guardati intorno:

non vedi quanto bisogno c’è di portare felicità?
Tutti sono chiusi nel loro pessimismo, nei loro problemi e sono tristi, chiedendosi che senso ha la vita.
Ma tu, tu puoi dare un senso supremo alla vita, puoi scegliere di portare felicità.
Un sorriso, un gesto gentile, l’allegria e la positività di un pensiero fresco e travolgente.
Cosa ci guadagna il mondo ad esser pieno di gente che tristemente pensa solo a se stessa, ai propri problemi e vede tutto negativo?

Cosa ci guadagni tu?

Non si fa altro che generare brutti pensieri, che generano brutte azioni, che generano rassegnazione ed immobilismo.
Portare felicità al mondo, portare felicità agli altri esseri viventi, non fa altro che portare felicità anche a te stesso.
Portare felicità, con piccoli gesti, pensieri o parole positive che danno speranza, crea energia nuova e buona per il futuro.
Perché se tutti ci ricordassimo di portare felicità e positività in ogni nostro giorno, il mondo sarebbe ben diverso da come è adesso, molte persone sarebbero diverse…

sarebbero felici!

Fai dunque in modo di portare felicità; dissemina nel mondo e nel cuore della gente la “follia” dell’allegria e della positività!
“Non c’è un dovere che sottovalutiamo più del dovere di essere felici.
Quando siamo felici, seminiamo anonimi benefici sul mondo, che restano sconosciuti anche a noi stessi o, se rivelati, sorprendono più di tutti il loro benefattore.”

Brano di Robert Louis Stevenson