Furti a scuola
Tanti anni fa, una maestra di vecchio stampo educativo, narrò ai propri allievi il noto racconto del furto del burro.
Questa storia parlava di un bottegaio e di un suo cliente.
Il bottegaio teneva sotto controllo questo cliente per i continui ammanchi e,
infatti, anche quel giorno, aveva sottratto un panetto di burro, nascondendolo sotto il cappello.
Il negoziante con la scusa del gelo che imperversava fuori, lo avvicinò alla stufa accesa e lo intrattenne in tutte le maniere.
Rimanendo a contatto ravvicinato con la fonte di calore, il burro si sciolse, colando sull’incauto ladro, che venne scoperto.
La maestra spiegò che anche nella sua classe avvenivano da tempo dei fastidiosi furti che lei deprecava.
Il più frequente era il disturbo chiassoso in aula, il quale rubava tempo prezioso alla didattica.
Anche l’abitudine di copiare da un compagno di banco era un grave furto, richiamato anche nel settimo comandamento.
Un altro furto fastidioso era quello inerente i gessi per la lavagna.
Gli alunni li “rubavano” a scuola e li usavano nei dintorni di casa, per disegnare a terra e per il gioco della campana.
Disse che sarebbe stato sufficiente chiedere a lei dato che, in qualche modo, li avrebbe procurati.
L’unico furto concesso e auspicato, secondo questa singolare maestra, era “rubare” con gli occhi quando venivano svolte le arti figurative.