Il genero usurpatore

Il genero usurpatore

Un caratteristico paesello, posto sulla riva destra del fiume Piave ed a ridosso delle colline dell’Asolano, durante la prima guerra mondiale, fu teatro e baluardo del fronte difensivo italiano durante la rovinosa ritirata di Caporetto, venne pesantemente colpito dalle artiglierie Astro-Ungariche.

Difficile e lunga fu la ricostruzione.

Ci fu bisogno dell’intervento dello Stato che assegnò, a delle cooperative venute da fuori, la riparazione dei muri e dei tetti ridotti in macerie.
Tra le laboriose ed esperte maestranze edili, c’erano anche dei baldi giovani e, uno di questi si innamorò, fin da quando la vide, di una ragazza del paese.
Dopo un breve fidanzamento, seguì un matrimonio riparatore, ed il giovane si accasò presso l’abitazione dei suoceri.
Il nuovo arrivato, fin da subito, non rispettò le gerarchie e le tradizioni consolidate e, pensando di essere lui il padrone di casa e dei campi, iniziò a vantarsi senza pudore.
Il suocero, dopo ripetute lamentele ed innumerevoli richiami, gli disse:
“Ragazzo mio, vola basso, sei solo un fortunato ospite!”

Il genero lo prese alla lettera.

Si tagliò con le forbici le ali del cappello e, come segno di sfida, si aggirava in questo modo per il paese, noncurante di poter diventare una macchietta.
Non soddisfatto, una sera, nel tradizionale filò in stalla, davanti agli stupefatti partecipanti sopraggiunti, continuò a vantarsi di essere lui il nuovo padrone, esclamando:
“Ho pure le mucche che ben vedete e le venderemo solo quando lo dirò io!”

Il suocero, stizzito da tali assurde affermazioni, perse le staffe e replicò:

“Se tutto quel che era mio, ora asserisci che sia tuo, prendi anche questo che non può essere disgiunto!”
Terminata la frase, prese una grande manata di sterco fresco di mucca e glielo tirò in piena faccia.
I partecipanti applaudirono alla spettacolare sortita del suocero, nei confronti dello spudorato e ingrato genero che, da quel momento, fu costretto, così malamente conciato, ad abbassare la cresta.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La felicità a scoppio ritardato

La felicità a scoppio ritardato

C’era una volta un re che aveva una figlia, bella e virtuosa.
Il re non voleva che la sua unica figlia, buona e intelligente, finisse per sposare il primo figlio di re o principe che domandasse la sua mano.
Era giustamente preoccupato e brontolava:
“Questi giovani che sono stati educati nei palazzi, tra onori e ricchezze smisurate, sono dei bambini viziati; ricercano solo il loro piacere, e non sarebbero in grado di governare dopo la mia morte.
Quello che voglio è una persona degna di fiducia, fosse anche un contadino o un operaio.”
Ma tutti quelli che facevano la fila davanti alla sua porta per chiedere la mano della bellissima principessa o erano stupidi e vanitosi, o rozzi e scortesi, o grandi intenditori di armi e cavalli, ma ignoranti e incolti.
Il re decise di cercare per sua figlia un buon artigiano, un operaio, laborioso e previdente, che potesse prendersi cura di lei.

Iniziò perciò a girare i cantieri, alla ricerca di un uomo prestante, laborioso, simpatico e intelligente.

Davanti a ogni casa in costruzione chiamava il proprietario e il capomastro perché gli indicasse qualcuno che faceva al caso suo, un uomo che potesse diventare suo genero e che fosse degno di ereditare un giorno il suo trono.
Un giorno il re passò davanti a una casa in costruzione e vide dei giovani operai che trasportavano mattoni su un’impalcatura.
Uno di loro attrasse la sua attenzione; andò a cercare il proprietario dell’edificio e chiese informazioni su di lui.
“E’ un operaio che lavora per me senza ricevere salario.
Mangia e beve alla mia tavola, dorme in casa mia, ma non riceve denaro!” rispose il proprietario.
E continuò:
“Suo padre era un mercante importante.
Quando morì mi doveva ancora centomila denari d’oro.
Allora ho preso con me il ragazzo e gli ho insegnato il mestiere.
Lavora dall’alba al tramonto, e in tal modo paga il debito del suo defunto padre.”

Il re allora disse:

“Ti pago tutto quello che ha mangiato e bevuto e in più saldo l’intero suo debito.”
Il proprietario accettò e ricevette la somma proveniente dal tesoro del re.
Senza parlare, il re condusse il giovane muratore nel palazzo reale.
I servitori gli tolsero i suoi abiti dismessi e sporchi di calce.
Il barbiere di corte gli tagliò accuratamente barba e capelli.
I sarti gli prepararono su misura degli abiti ricamati, poi un solerte maggiordomo lo guidò nella sala da pranzo, dove fu servita una squisita cenetta.
Il giovane mangiò e bevve, ma si sentiva frastornato, per tutto quello che gli stava capitando.
I servitori del re lo condussero allora in una stanza del palazzo che era stata preparata per lui, e il giovane cadde sul letto, stanchissimo, e si addormentò.
Tutti erano allegri, meno lo sposo
Il mattino dopo, il re fece chiamare nel suo studio il giovane muratore e gli disse:
“Mi sei piaciuto.
Voglio darti mia figlia in sposa.

Se vuoi sposarla, così com’è, bene.

Altrimenti ti farò uccidere.
Nella stanza accanto ci sono le mie guardie del corpo.
Se rifiuterai, ti incateneranno e ti taglieranno la testa.”
Il povero giovane non aveva scelta.
Perdere la vita, dopo tutto, gli sarebbe dispiaciuto assai.
Perciò rispose al re:
“Accetto.”
Incominciarono i preparativi per le solenne nozze reali.
Il re invitò tutti i nobili del regno, i suoi ministri, i fedeli vassalli e i notabili della città.
La festa cominciò tre giorni dopo e venne celebrata con molto sfarzo e splendore.
Il vino scorreva come acqua.
Tutti gli invitati si divertivano ed erano allegri e felici.
Lo sposo invece era triste e preoccupato:

“Come sarà la mia sposa?

Forse è cieca e zoppa, forse muta o malata…
Perché il re mi obbliga a sposarla per forza?
C’è sicuramente una ragione!”
Il povero giovane era in preda allo sconforto e alla preoccupazione.
Con un certo batticuore attese la fine del ricevimento.
Finalmente tutti gli invitati fecero ritorno a casa e gli sposi rimasero soli.
Il giovane di rivolse alla ragazza:
“Vieni, avvicinati.”
Lei si avvicinò.
“Preparami qualcosa da mangiare.” disse lui tanto per metterla alla prova, “Ho fame.
Non sono abituato alla cucina del castello.”
Sorridendo, la figlia del re preparò una deliziosa macedonia di frutta e del latte.
Poi lui le disse:
“Scrivi una lettera alla mia vecchia madre.”
E lei si sedette e scrisse la lettera.

Lui le disse ancora:

“Raccontami una bella storia, mi piacciono le storie.”
E la figlia del re fece quello che le aveva chiesto suo marito, già conquistata dal suo fascino e dalla sua intelligenza.
Nel giro di pochissimo tempo, insomma, il giovane muratore scoprì che la moglie che gli era stata imposta era praticamente perfetta.
Era bellissima, intelligente, una brava massaia, buona e capace in tutto.
Il giovane si rallegrò moltissimo che gli fosse toccata una sorte così.
Qualche mese dopo, il genero del re invitò tutti i ministri e i notabili del regno e fece dare a palazzo reale una grande festa.
Era contento, allegro, felice.
Ballò tutta la notte, bevve del vino e mangiò frutti deliziosi.
I re e i suoi ministri gli chiesero:
“Come mai eri così triste alle tue nozze e sei invece così felice ora?”
Il genero ed erede del re rispose:
“Il re mi aveva costretto a sposare sua figlia, minacciando di mettermi a morte se non avessi accettato.
Pensai che forse sua figlia aveva un’infermità, che forse fosse cieca o zoppa…”
Ma ora che ho vissuto con lei per alcuni mesi, so che possiede ogni virtù: è bella e buona.
Ecco perché la mia gioia è grande, ho il privilegio di ave ricevuto una perla: la figlia di un grande re, una moglie buona e fedele.”

Brano senza Autore, tratto dal Web